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sabato 26 dicembre 2020

La principessa dorminpiedi

 Pubblico nuovamente, con qualche piccola variante, "La principessa dorminpiedi", apparsa anche sul sito "Tiraccontounafiaba.it", e in questo blog, nel marzo 2018.

Non  risponde esattamente ai canoni della fiaba vera e propria, ad esempio manca l'elemento magico anche se il mago c'è, ma è solo un imbroglione.
Ho deciso di proporvela ugualmente, nonostante sia una quasi-fiaba.
 Buona lettura.





La principessa dorminpiedi
Barbara Cerrone


Ogni re ha il suo cruccio, viceversa non si può dire che ogni cruccio abbia il suo re. Il monarca di cui vi parlo oggi aveva un grave problema: la principessa Betsabea, sua figlia. 
Niente da dire, Betsabea era una ragazza alta, bella, bionda, occhi azzurri, viso angelico, pelle rosea, mente acuta, cuor sincero, buon carattere, semplice, vera, nobile, fiera, elegante, virtuosa ma…eh sì, c’era un ma, un grosso ma: dormiva sempre. Di giorno, di notte, in piedi o seduta lei ronfava, e nessun medico aveva saputo spiegare la causa di quello strano morbo che tanto morbo poi non era, visto che la fanciulla sembrava un fiore appena sbocciato e mangiava di buon appetito (sonnecchiando).
Chiunque volesse scambiare due parole con lei, compresi i genitori, doveva accontentarsi dei pochi minuti durante la giornata in cui lei rimaneva abbastanza sveglia da poter capire una frase intera e rispondere senza russare. Per il resto del giorno la sua mente e i suoi occhi navigavano nel mare dei sogni: dormiva in piedi, seduta, sdraiata. Dormiva mentre passeggiava in giardino sottobraccio a due damigelle. Dormiva mentre ricamava; filava; giocava; nuotava; studiava; leggeva; abbracciava; salutava; danzava. Dormiva sempre. E russava, anche, talmente forte che tutta la corte fu costretta a procurarsi dei tappi di cera per non sentirla, solo che così era diventata una corte di sordi che dovevano comunicare a gesti e non vi dico l’imbarazzo con le delegazioni straniere!
Di questa gran disgrazia il re si doleva spesso con sua moglie, la regina Armida, la quale, poverina, non sapendo che dire né che fare, puntualmente tirava fuori un fazzolettino ricamato e piangeva calde lacrime, consolata dalle sue damigelle che, all'occorrenza, le soffiavano anche il regal naso. 
“Mia cara, non serve piangere, qui serve agire” diceva il re scuotendo il capo, perché sapeva bene che di azioni ne avevano fatte tante ma senza  risultati.
“Hai ragione,” ammetteva la regina, “ smetto subito ma che si fa? Il nostro medico dice che è melanconia, il guaritore che sono umori fermi, la negromante che si tratta di fattura ma nessuno ha saputo dare cure che facessero un qualche effetto.”
 Così dicendo riponeva il fazzoletto e si rimetteva a ricamare.
Una volta in cui la ragazza russava più del solito, le vibrazioni erano talmente forti che la sua dama di compagnia corse dalla regina per chiederle il da farsi.
“Eh, ”rispose la sovrana, “ l’unica cosa che puoi fare è accompagnarla in camera sua e adagiarla sul letto, così nessuno la sentirà. Poveri noi!”
“Sarà fatto, mia regina” disse la dama  tornando svelta dalla principessa.
La ragazza nel frattempo si era svegliata (era uno di quei rari attimi in cui riusciva a tenere gli occhi aperti) e accolse la dama fissandola come se fosse stata una visione.
“Teodosia,” questo era il nome della damigella, ”che fai? Io voglio andare in giardino a giocare a palla, perché mi porti via?”
“Principessa, voi non vi rendete conto…stavate dormendo in piedi e… perdonatemi: russavate, ecco, e molto forte, tanto che la regina vostra madre mi ha chiesto di portarvi via perché non vi sentissero.”
“Davvero? Oh, povera me! Finirà mai questo tormento? Guarirò mai dalla mia malattia? Quale principe vorrà mai sposare una principessa dorminpiedi?” e così dicendo ripiombò subito nel sonno; Teodosia allora le mise una mano intorno alla vita per sostenerla e la condusse fino alla sua camera, dove la dormiente rimase fino al breve risveglio della sera.
Intanto nella reggia c’era chi rumoreggiava, ci si chiedeva da più parti come avrebbe fatto ad assicurare una discendenza una dorminpiedi capace di star sveglia solo pochi minuti al giorno. 
Il problema era grave, ne andava del futuro del regno, perciò i notabili erano davvero preoccupati e pensavano di chiedere al re di abdicare in favore del cugino Malvolto.
Chi era Malvolto? Il solito pretendente al trono cattivo, assetato di potere, avido e…brutto come la paura in una notte buia e tempestosa. Era il figlio del fratello del re, Odoardo, morto di indigestione durante non ricordo più quale epica battaglia. 
Odoardo, in punto di morte, pare avesse farfugliato al proprio attendente, tal Mercadante da Norimberga, qualcosa come: “Giura che ti impegnerai a fare di Malvolto un bravo usurpatore da grande! ” 
 Mercadante, dal canto suo, ci si era impegnato ben  benino, lo aveva mandato perfino all'estero a studiare,  tanto che a quindici anni Malvolto era già un esperto in complotti, trame di corte e trescacce varie.
Figuratevi, allora, l’angoscia del sovrano quando al suo regal orecchio arrivarono voci di una possibile congiura a favore di Malvolto! Non dormiva più la notte. Non ci stava più nella pelle. Non diceva più parola. Insomma era in ambasce. Viceversa Betsabea, che nulla sapeva di tutto questo gran fermento, era sempre più assonnata e immersa nei suoi sogni come un pesce nel mare.
Un giorno, mentre la principessa dorminpiedi era stesa sul divano, ufficialmente a riflettere sul proprio futuro (in realtà russava come un ghiro in letargo) si presentò a palazzo un certo mago Artemio, personaggio bizzarro e un po’ fasullo ma di gran moda presso le corti dell’epoca.
Arrivò accompagnato dai suoi fidi, un gatto zoppo, un cane cieco e tre topi a reggergli il mantello.
Era un mago diplomato alla scuola di magia di vattelappesca ma piaceva, e nessuno capiva il perché; oltretutto, fisicamente era piuttosto repellente, così alto e pieno di verruche sul viso angoloso ma tant'è: piaceva.
Anche in quella corte il suo fascino colpì nel segno, incantò subito la regina madre con il potere dei suoi occhi miopi e la convinse, lei che soffriva di vertigini, a camminare in bilico sul davanzale di una finestra della torre merlata come se da lì volesse prendere il volo.
Un’altra volta, invece, rimbambì a tal punto il re da riuscire a farlo cavalcare lungo una mulattiera che si affacciava su uno strapiombo. Il re poi ebbe visioni della carica di Balaklava, previde il terremoto di San Francisco ed ebbe incubi per una settimana. Sono cose che succedono.
Episodi come questi si ripeterono tante di quelle volte che i dignitari di corte cominciarono a temere per la vita dei loro sovrani, ma i due regnanti credevano fermamente che  Artemio avrebbe trovato prima o poi un rimedio per la loro figlia dorminpiedi, e guai a chi lo toccava.
A dire il vero questa speranza il mago non gliel'aveva data affatto, anzi, sapeva bene di non poter far nulla e non voleva compromettere la sua fama, perciò aveva sempre ammesso, non senza prima biascicare due o tre delle sue litanie,  che per svegliare Betsabea non c’erano pozioni né magie.
 Nonostante ciò, il re e la regina continuavano a sperare, e ogni giorno tornavano a chiedergli se aveva trovato un rimedio.
L’insistenza dei sovrani era tale che Artemio cominciava a temere di perdere  il suo  posto di mago a corte se non si fosse fatto venire subito un' idea.  Il guaio era che non aveva fra le sue pozioni nessun intruglio adatto, perciò si proponeva di studiare un qualche imbroglio, un trucco che gli permettesse di salvar la faccia, almeno per un po’.
Pensa e rifletti, rifletti e pensa, gli venne in mente una strana bibita, amara e scura, che aveva sorbito qualche anno prima in un paese lontano; si ricordò che, dopo averla bevuta, non aveva potuto prender sonno per qualche ora e il suo ospite gli aveva detto che, sì, era normale, era proprio un effetto di quella bevanda. Ma come farla arrivare fin lì? Scrivere a quella sua conoscenza lontana? Andar lui stesso a prenderne una scorta e, se fosse andata male, venderla poi agli allocchi come elisir di gioventù, tanto per rifarsi dello smacco? Pensò fosse meglio parlarne al re, che decidesse lui il se e il come.
“Sire,” gli disse il giorno dopo, “ forse so quale elisir ci vuole per la malattia di vostra figlia ma occorre procurarselo perché non si trova qui.”
“Davvero? E dove si trova? ” rispose il re tutto emozionato.
“In un lontano paese, dove io sono stato tanto tempo fa. Conosco una persona che ha questa miracolosa pozione ma non so che fare. Andare io a prenderla? E’ un viaggio lungo e pericoloso, poi ci sono le spese. Scrivere a quel signore e chiedergli che me ne spedisca? Anche qui i rischi non mancano, e il costo non lo so quantificare.”
“Ah, non vi preoccupate del costo, quello è affar mio. L’unica cosa di cui dovete preoccuparvi è che la pozione arrivi, il modo più sicuro è che andiate voi stesso? Allora partite subito. Vi darò tutto ciò che vi necessita, compresa una scorta di uomini al seguito per la vostra sicurezza. Partite, tornate con quel rimedio e che Dio sia con voi”.
A queste parole, Artemio il mago si ritirò, e andò nella sua stanza a far bagagli.
Il giorno dopo, all'alba, un corteo di uomini a cavallo, muniti di armi, viveri e denari in quantità si mosse da palazzo reale, mago in testa, alla volta del paese lontano dove  si poteva trovare la magica bevanda che avrebbe fatto di una dorminpiedi una sveglia principessa.
Procedettero senza intoppi fino al mare, il mago Artemio, che si era dotato di tutte le comodità possibili in quell'epoca in cui ce n’erano assai poche, schiacciava pisolini ad ogni sosta con la scusa di dover riflettere sulle massime questioni.
Uomini e cavalli, stanchi per il lungo viaggio, arrivati nella bella città di  Venicia  si diressero verso il porto per imbarcarsi  e proprio lì Artemio, per un puro caso del destino, incontrò un suo vecchio compagno di scorribande.
“Teodoro!” gridò vedendolo salire sulla sua stessa nave.“ Mi riconosci? Sono Artemio, ricordi?”
“Chi?” rispose costui guardandolo per un attimo fisso negli occhi. “ Ah, sì, certo! Quanto tempo...e cosa ti porta mai su questa navicella?”
“Oh, figliolo mio, i casi della vita” rispose Artemio e raccontò di questi casi al vecchio amico, mentre con il suo seguito, topi, gatto e cane compresi, prendeva posto a bordo.
“Capisco,” disse alla fine Teodoro, “certo, hai avuto una gran bella pensata ma sappi che a Venicia si può già trovare la bevanda che cerchi. In questa città commerciano con il paese dove sei diretto e qualche mercante ha già portato il qahwa che tiene svegli e dà gran tono al fisico,  e tu potevi evitare di fare tanta strada.”
“Non lo sapevo, caro mio e ormai la nave salpa ma ti ringrazio: dovesse andare bene per il  mio scopo saprò dove trovarne ancora, alla bisogna.”
Il viaggio filò liscio come l’olio, neanche una tempesta  o un temporaluccio, tanto che l’equipaggio se ne lamentò.
 “Ma così non c’è divertimento!” disse il più anziano. Non restava che sperare nel viaggio di ritorno.
Invece per i passeggeri e per Artemio, che passò tutto il tempo a ciarlare col suo amico, fu proprio un gran bel viaggio, il tempo passò così velocemente che quasi quasi il mago si stupì di esser già arrivato quando le coste di quel paese dove i serpenti danzavano a suon di musica comparvero all'orizzonte.
I due amici sbarcarono, si salutarono e presero strade diverse. Il mago e i suoi si diressero verso il palazzo del gran signore alla ricerca del qahwa, l’amico Teodoro andò…per i fatti suoi, non ci riguarda.
Il palazzo, immenso e circondato da un parco di sontuosa bellezza, aveva la facciata decorata con mosaici preziosi, smeraldi e lapislazzuli vi s'intrecciavano come in una danza a far disegni di pavoni, fiori e fontane zampillanti. Vederselo davanti per il nostro mago fu come assistere a un miraggio, solo che era vero.Verissimo.
“Accidenti!” esclamò Artemio aguzzando gli occhi. “ Non me lo ricordavo così bello!  Entriamo e speriamo che il signore si ricordi ancora di me e ci tratti da amici.”
Poiché quel signore aveva buona memoria furono accolti a suon di inchini e salamelecchi, mille tappeti furono stesi al loro passaggio, e per alloggio stanze degne di un re furono date a tutti loro, perfino ai topi, che ringraziarono sentitamente.
Il giorno dopo Artemio espose il caso nei dettagli (compreso il gran russare della fanciulla) e ottenne comprensione, aiuto e grandi scorte di quei chicchi scuri da farne polvere per la bevanda.
Dopo due giorni di agi e di riposo, Artemio e i suoi si congedarono dal loro ospite e presero la via del ritorno carichi di doni, di prezioso qahwa, e di nuova speranza, merce sempre a buon prezzo per chi la sa apprezzare.
Erano appena sbarcati a Venicia quando un emissario del re, preoccupato che tutto fosse andato per il meglio, venne loro incontro con altri viveri e cavalli freschi per il cambio.
L’arrivo a casa fu una specie di trionfo: feste, saluti, complimenti e petali di fiori. Sparò perfino due colpi il gran cannone.
 Fu subito scaldata l’acqua per l’infuso e portato un bel pestello per ridurre in polvere un po’ di quei chicchi.
La principessa Betsabea, neanche a dirlo, dormiva come un sasso ma fu svegliata a forza da una damigella (i secchi  d’acqua a volte fanno miracoli) e, mentre una domestica le teneva aperti gli occhi, Teodosia le versò un po’ di quel liquido scuro nella bocca e gliela chiuse perché lo mandasse giù.
“Oh, oh…cos'è questa cosa amara?” chiese la principessa storcendo un poco il naso.
“Bevete che questa potrebbe essere la vostra panacea”  disse Teodosia. E giù a versargliene ancora nel gargarozzo.
Ne sorbì un bel tazzone almeno o forse due, la principessa, e sentì come un morso allo stomaco, tanto che si temette per la sua salute.
Si chiamò d’urgenza il medico di corte e si gridò, dapprima, all'omicidio cercando sotto e sopra il mago Artemio e tutta la sua cricca.
Mentre si gridava e si brigava, un paggio solerte notò che era rimasta sveglia da trenta e più i minuti la bella Betsabea!
“Figlia mia adorata, “la vezzeggiò la madre chiamata al suo capezzale, “ tu dunque resti sveglia, finalmente? Oh, grande gioia, oh gioia senza fine!” e tirò fuori l’eterno fazzoletto.
Il mal di stomaco, intanto, era passato e la fanciulla, più sveglia di un’allodola al mattino, saltò sul letto pronta a far le corse.
Artemio fu condotto innanzi al re per fargli i complimenti e ricolmarlo dei più alti onori: primo ministro, primo ciambellano, primo un po’ in tutto e una tenuta fuori porta, per gradire.
La nostra Betsabea, che da quel dì ne bevve di  qahwa e lo diffuse fra le sue amiche, le più addormentate, finalmente ebbe una vita sveglia e piena di gioia.
Un giorno si sposò con un principe straniero, mi pare, figlio di quel signore che le mandava il qahwa ogni mese; a dire il vero questa fu un’idea del re suo padre il quale, per risparmiare sul costo della merce, pensò a un matrimonio combinato con quel rampollo, e pensò bene. Lo sposo era assai bello, assai ricco, assai intelligente e assai gentile, fu subito amore e amor per sempre. Condito da un bel po’ di lapislazzuli.
Che volete da me? Questa è una fiaba e tutto fila liscio, perfino i matrimoni combinati.
I due sposini, felici, felicissimi, ebbero subito un bellissimo bambino, sano e robusto come si conviene.
Sì.
Peccato che non dormiva mai.
 “Ve l’avevo detto, principessa.Troppo qahwa nella dolce attesa”,  diceva il medico e sospirava la nutrice.
Pazienza pensava il re.  “La perfezione non è di questo mondo” diceva alla consorte rassegnato,
 “ beviamo un po’ di qahwa che anche per stanotte veglieremo.”



giovedì 24 dicembre 2020

Auguri!


Siate felici, e uniti, in questa dolce notte di attesa. Aspettiamo insieme Colui che incarna la Speranza. 

Per chi non crede c'è comunque un'occasione da cogliere per vivere con serenità e gioia questa notte.

Auguri a tutti.
Barbara

sabato 19 dicembre 2020

Natale anche per me

 Anche un topolino può aver voglia di festeggiare il Natale...almeno nelle fiabe!

Buona lettura



Natale anche per me!

 Barbara Cerrone



Topo Fred era triste. Il Natale si stava avvicinando, le vetrine dei negozi erano addobbate a festa, il grande abete della piazza principale abbagliante di luci, tutti erano eccitati e felici per la festa imminente e lui?

Lui niente. Per i topi niente Natale. Si è mai sentito di un cenone natalizio fra topi? E che i topi si scambino regali allo scoccare della mezzanotte del 24 sera? No! Eppure lui, topo Fred, il Natale lo sentiva eccome. Gli sarebbe piaciuto festeggiarlo come gli umani, magari con qualche pezzo di formaggio in più, qualche prelibatezza di quelle che i negozianti portano solo in occasione delle feste.

Insomma, avrebbe voluto anche lui il suo Natale. 

Passeggiava con aria da cane bastonato (lui, un topo!) per le strade della città, in pieno giorno, tanto nessuno gli faceva caso, presi com’erano tutti dalla frenesia degli ultimi acquisti.

Per esempio gli sarebbe piaciuto ricevere un regalo: e perché no? Una bella confezione, chiusa magari da un nastro rosso o dorato, e dentro una fetta di pecorino o un paio d’etti di spalmabile…si sarebbe accontentato anche di un formaggino pur di avere un regalo.

E invece niente.

“Dai, non si è mai visto un topo che festeggia il Natale,” lo consolava il cugino Arsenio, “è roba da umani. Noi siamo topi, il Natale non ci riguarda”.

Topo Fred non era convinto, pensava che il Natale invece dovesse riguardare tutti quello che lo desideravano, non gli sembrava giusto che un topo, in quanto topo, fosse tagliato fuori dalla festa.

Più si avvicinava la data fatidica più il suo umore si faceva cupo e intrattabile.

“Topo Fred, come va il formaggio?” gli chiedevano gli amici per strada, lui rispondeva con un grugnito, senza alzare lo sguardo da terra.

“Non vedo l’ora che passi questa festa,” sospirava mamma Gigia, “ogni volta che viene Natale il mio Fred mette il muso e diventa più triste di un funerale”.

Amici, parenti, perfino il gatto Orazio sapevano che si trattava solo di aspettare che arrivasse il 7 gennaio e Fred sarebbe tornato ad essere il solito Fred, allegro e pieno di vita, sempre in cerca di amici e compagnia.

Il problema era arrivarci, a quel fatidico 7 gennaio! Con quel topolino arrabbiato che si aggirava per il cortile e mamma Gigia sempre più sconsolata per quel figlio con strane idee nella testa.

La vigilia era il giorno più difficile, mamma Gigia lo sapeva, e cercava disperatamente di preparargli i suoi piatti preferiti per sollevargli il morale: sformato di Brie, caciocavallo in salamoia, pecorino saltato. ..tutto inutile. Fred davanti a tutte quelle leccornie girava la testa da un’altra parte, e non toccava cibo.

“Il mio tesoro,” sospirava ogni volta mamma Gigia,” non si riesce a fargli capire che deve rassegnarsi, il Natale non è per i topi”.

Dopo anni che a dicembre Fred era più nero di una vedova in gramaglie nessuno sperava più che la situazione potesse cambiare, e se non fosse stato per quel tipo…ma andiamo con ordine.

Accadde tutto proprio  la vigilia di Natale di tanto tempo fa. Cominciava a nevicare, cosa che rendeva il Natale ancora più Natale, se capite cosa intendo. I bambini giocavano facendo palle di neve, qualcuno costruì anche un omino, senza naso, però, perché la sua mamma non aveva una carota da prestargli per fare il naso.

“Le ho usate per il brodo, che ne sapevo che te ne serviva una per il pupazzo di neve? Vai a sentire la Rosalba, magari lei ne ha una”.

Mentre i piccoli umani si affannavano a cercare la carota, il nostro topo era più triste che mai e come al solito in questa occasione vagava come un’anima in pena. Passeggiava senza una meta, guardando fisso a terra, d’un tratto inciampò: una grossa pietra. Fred la colpì, facendola rotolare in mezzo alla strada, fece per muoversi quando vide uscire dalla pietra un topolino bianco bianco.

“E tu chi sei?” chiese topo Fred.

“Non importa il mio nome, sono tuo amico e sono qui per aiutarti. Vuoi festeggiare il Natale come gli umani, vero?”

“Sì, ma come lo sai?”

“Da dove vengo io certe cose si sanno, conosciamo tutti i vostri sogni. Se proprio vuoi una bella festa natalizia non hai che da voltarti da quella parte e l’avrai, ma ricorda: non devi parlare, per nessun motivo. Nemmeno se ti fanno delle domande. Se non aprirai bocca tutto andrà bene, e avrai il tuo bel Natale, altrimenti…guai a te! Ora voltati e buona festa, piccolo”.

A queste parole il topolino bianco sparì e Fred fece come gli aveva detto, si voltò.

Intorno a lui strade e case erano scomparse, si ritrovò in un grande salone addobbato a festa: al centro un enorme albero di Natale splendeva di luci, più in là un bellissimo presepe ricordava la dolcezza della Natività.

Umani, gatti e topi vestiti da gran sera si scambiavano regali e sedevano alla stessa tavola, gomito a gomito, come vecchi amici. Dopo il pranzo balli, canti, e giochi a non finire. C’era chi giocava a tombola e chi a Mercante in fiera, chi a carte e chi invece sonnecchiava sopra il divano di velluto, fra cuscini morbidi e caldi plaid colorati. Fred si divertì con la tombola, ma non disegnò una partitina a carte con un certo gatto dai baffi aristocratici e l’aria autorevole di chi proviene da una nobile famiglia.

A mezzanotte la festa finì e tutti presero a sciamare verso l’uscita. Fred stava per avviarsi con gli altri ma, volendo dare un’ultima occhiata a quel magnifico salone, lo sguardo gli cadde distrattamente su una delle due finestre e la vide: una figurina avvolta in uno scialle che conosceva bene lo stava fissando attraverso i vetri.

“Mamma!” gridò Fred, e subito si pentì, ricordandosi la raccomandazione del topo bianco.

“E ora? Che succederà?” si chiese con la tremarella nelle zampe.

Non gli ci volle molto per scoprirlo. 

Immediatamente, come rispondendo ad un richiamo, tutti gli ospiti della festa tornarono indietro e cominciarono a dargli la caccia. Gli umani tentavano di colpirlo con bastoni improvvisati, mentre i gatti lo inseguivano minacciosi, a fauci spalancate.

Quanto ai topi, erano troppo occupati a scappare  per correre in aiuto di Fred e se la davano a gambe correndo all’impazzata chi di qua, chi di là.

Anche topo Fred correva ma tutta quella folla che lo inseguiva era davvero troppo per un topolino solo, se la stava vedendo davvero brutta.

“Non fate così, ricordatevi che fino a un momento fa eravamo tutti amici. Ah, aiutooo!” gridava il poveretto,  ma nessuno lo ascoltava.

Corri corri ad un certo punto si trovò con le spalle al muro, era in trappola e capì di non avere via di scampo.

“Topo bianco, dove sei? Perdonami se ho sbagliato, ma ho visto la mamma, era là fuori a cercarmi e sembrava così preoccupata…non volevo parlare, mi è scappato. Aiutami, topo bianco!” implorò l’infelice topolino.

“Ora chiedi il mio aiuto, dopo che hai fatto il guaio?” tuonò il topo bianco comparendo all’improvviso alle sue spalle.

“Oh, ti prego, non puoi essere così spietato. Aiutami, tutti possono sbagliare.”

“Non hai mantenuto la parola, e questo è molto grave. Tuttavia sei giovane, inesperto. Voglio essere generoso con te, ti darò un’altra occasione. Ti aiuterò, ma prometti che d’ora in poi sarai un topo di parola e bada di non deludermi o per te non ci sarà più perdono”.

“Prometto, prometto. Grazie, amico. Grazie”.

Il topo bianco, che invece era di parola, con un giro di coda fece scomparire tutta quella marmaglia impazzita. A dire il vero scomparve anche il palazzo, e Fred si ritrovò nel suo lettino, come se niente fosse accaduto.

“Sono a casa, che bello! Grazie topo bianco, ovunque tu sia. Nonostante tutto è stata una bellissima festa”.

Quando mamma Gigia entrò in camera sua come ogni sera per augurargli la buona notte, topo Fred le chiese come aveva fatto a trovarlo in quel palazzo bellissimo e chi l’aveva riportata a casa.

“Palazzo? Quale palazzo? Io sono stata qui tutta la sera a giocare a nascondi-formaggio con tuo padre. “

“Ma come, non eri tu affacciata  alla finestra di quel palazzo?”

Fred allora  raccontò alla madre l’incredibile avventura di quella sera.

Mamma Gigia prima lo guardò con condiscendenza, poi gli accarezzò la testa con un bacio, gli diede la buonanotte  e uscì dalla stanza. Fred  ronfava quando in cucina papà Girolamo chiese alla moglie:

“ Si è calmato? Ogni anno a Natale è questa storia, prima o poi dovremo davvero organizzargli una festa, al nostro piccolo.”

“Si è calmato, sì. Ora dome, pensa che mi ha raccontato di aver festeggiato il Natale con umani  gatti e topi, tutti insieme in allegria”.

Mamma Gigia riferì per filo e per segno quello che Fred le aveva detto, mimando tutte le scene coem aveva fatto il figlio, compresa quella dell’inseguimento.

“Eh, certo che ne ha di fantasia il nostro ragazzo, “fece papà Girolamo con un sorriso, “se fosse stato un umano avrebbe potuto fare lo scrittore”.