I libri...non so voi ma per me la vita sarebbe molto più triste senza di loro.
Buona lettura.
C’era una volta un libro che non era mai stato scritto. Lui
desiderava tanto che qualcuno lo scrivesse ma niente da fare, nessuno si
decideva a farlo.
Un bel giorno il libro non scritto prese le sue cose, le
mise in valigia e partì, alla ricerca di uno scrittore.
Varcò mari e monti, visitò città e paesi, continenti
conosciuti e sconosciuti ai più: lo scrittore non si trovava.
Scoraggiato, si fermò accanto ad una fonte per dissetarsi,
poiché aveva percorso chilometri e chilometri sotto il sole ed aveva molta
sete.
Mentre beveva gli si avvicinò uno scoiattolo, anche lui
molto assetato.
“Ehi, “ gli disse, “ cerca di far presto perché anch’io ho
una gran sete.”
“Ecco fatto, bevi pure, amico mio. Per caso sei di queste
parti?” chiese il libro asciugandosi le pagine bagnate.
“Sì, perché?”
“Conosci per caso qualche scrittore che possa scrivermi? Ho
girato il mondo e non ne ho trovato nemmeno uno disposto a farlo.”
“Caro mio, non è facile. Comunque prima fammi bere e poi ci
penso su un attimo”.
Lo scoiattolo bevve e bevve, sembrava non fermarsi più.
Quando finalmente ebbe finito, si asciugò il muso e si mise a pensare se
conosceva qualcuno che potesse avere voglia di scrivere quel povero libro così
infelice.
Pensa e ripensa, gli venne in mente un tizio che da anni provava
a fare lo scrittore senza alcun successo.
“Forse un nome ce l’ho. Qua vicino abita un certo Giovanni,
un uomo molto triste perché vuole fare lo scrittore ma le sue storie non
piacciono a nessuno. Sarà felice di scriverti, anche se poi non so chi ti
leggerà.”
“Andrò da lui così saremo contenti in due, io perché
qualcuno finalmente mi scriverà e lui perché potrà scrivermi”.
Lo scoiattolo disse al libro dove abitava Giovanni e se ne
andò, augurandogli buona fortuna.
Di pagina in pagina il nostro amico libro arrivò a casa
dello scrittore.
Toc, toc, toc!
Bussò.
“Chi sarà mai a quest’ora? “Si chiese Giovanni aprendo timidamente
la porta. “Toh, un libro. E tu che ci fai qui? Fammi vedere un po’ cosa dicono
le tue pagine...uhm, ma sono tutte bianche!”
“Lo so, è per questo che sono qui. Sto cercando qualcuno che
mi scriva. Tu sei uno scrittore, vero? Allora pensaci tu.”
“Volentieri, “rispose Giovanni
facendolo entrare, “ma i miei libri non li vuole nessuno, farai una brutta
fine. Ti lasceranno a muffire su uno scaffale dimenticandosi di te. Sei proprio
sicuro di volere che ti scriva io?”
“Sicurissimo. Non ho trovato nessuno che volesse farlo,
finora. Sono certo che io e te insieme
faremo un bel lavoro.”
“E come fai a saperlo? Così, a occhio? ”Comunque va bene, ti
scriverò, visto che insisti, prima però fammi trovare l’ispirazione o qui non
si fa nulla”.
Giovanni fece accomodare il libro in soggiorno, gli mise
sotto una bella poltrona comoda per buona ospitalità e perché si vedeva che
quel povero ammasso di fogli bianchi era stanco per il gran viaggiare (detto
tra noi aveva le pagine tutte spiegazzate) e poi si sdraiò sul divano che era proprio lì
accanto.
“Non vorrai dormire proprio adesso!” si lamentò il libro
vedendo che il suo scrittore chiudeva gli occhi.
“Ma no, non dormo, mi serve per trovare l’ispirazione. Solo così arriva: chiudo
gli occhi, mi rilasso e lascio che le idee affiorino alla mia mente come petali
sulla superficie di uno stagno”.
Il libro non sembrava molto convinto, tuttavia conosceva gli
scrittori e sapeva che avevano i loro metodi per ispirarsi, perciò non provò
nemmeno ad insistere, si mise buono buono ad aspettare e già che c’era
schiacciò anche un pisolino.
Quando lo scrittore aprì gli occhi era notte fonda.
“Uhm, ma sono le due di notte,” esclamò guardando l’orologio
a pendolo appeso alla parete difronte, “ sarà meglio che vada a dormire,
allora. Non temere, libro, mi sono venute delle bellissime idee. Prendo due
appunti e poi vado a nanna, ti consiglio di fare altrettanto. Buonanotte, ci
vediamo domattina”.
Giovanni prese un taccuino, buttò giù due righe e poi,
sbadigliando a più non posso, salì al piano di sopra dove si trovava la sua
camera da letto.
“Ecco qua, “ brontolò il libro che invece non aveva affatto sonno,”
e adesso che faccio tutta la notte qui, da solo? Speravo che si mettesse a
scrivere, gli scrittori spesso lo fanno, scrivono di notte perché c’è più
silenzio intorno e si concentrano di più. Bah, non mi resta che sfogliarmi le
pagine per passare il tempo, forse così prima o poi ci scappa anche un
sonnellino”.
Per sua fortuna il sonno arrivò davvero, più o meno a pagina
trecentoventitré.
Giovanni lo svegliò che erano le nove.
“Buongiorno. Su, dai: apri le pagine! Ho da scrivere per due
libri come te.”
“Davvero?” Rispose il libro stropicciandosi la copertina.”
Allora comincia subito, non vedo l’ora di essere scritto”.
Giacome si mise alla scrivania e cominciò a scrivere come un
forsennato. Si alzò a mezzogiorno passato.
“Sembravi una furia scatenata,” fece il libro,” hai scritto
davvero tanto: posso leggermi?”
“Non ancora. Quando avrò finito il capitolo. Nel frattempo
mi preparo il pranzo. Tu vuoi qualcosa? Non so, un po’ d’inchiostro…”
“No, grazie. Finché non sarò scritto preferisco restare
digiuno. Questione di etica.”
“Va bene, come vuoi. Io intanto pranzo”.
Fra un piatto di pasta e una frittata si fecero le due del
pomeriggio.
Il libro fremeva.
“Non avrai mangiato troppo?” Chiese non appena il suo amico
riprese a lavorare. ”Sai, con un pranzo impegnativo sullo stomaco poi viene
sonno…”
“Oh, non a me. Io ho bisogno di energia per il mio cervello,
stai tranquillo, so quel che faccio”.
E si rimise di buzzo buono a tirar fuori parole e frasi
dalla penna.
Alle sette il primo capitolo era finito.
“Ora si tratta di correggere la bozza, “disse lo scrittore
stiracchiandosi le braccia,” ma lo farò dopo cena”.
Tutte queste pause per mangiare preoccupavano il nostro
libro, gli sembrava che il suo autore perdesse troppo tempo. Tuttavia non osava
replicare perché temeva di nuocere alla sua ispirazione che fino a quel momento
scorreva come un fiume in piena.
Da quel giorno in poi lo scrittore lavorò come un forsennato
per un anno intero, fermandosi solo per mangiare un boccone e per dormire.
“Ecco, ci siamo. Adesso rivedo l’ultimo capitolo ed è fatta.
Sei scritto” disse Giovanni al libro al quale tremavano le pagine per
l’emozione.
“Davvero? Ora anch’io finalmente sono un libro scritto come
gli altri, niente più pagine bianche?”
“Davvero. Guardati.”
Lo scrittore gli mise davanti uno specchio, e cominciò a
sfogliargli le pagine una ad una.
“Oh, ma è meraviglioso!”
“Sei felice? Ora ti manca solo il titolo: che ne dici di Il lungo viaggio? A me pare giusto. Se
anche per te va bene, non ci resta che andare da un editore. Speriamo che
qualcuno ti voglia” sospirò l’uomo prendendolo sotto il braccio.
Si rivolsero a ben dieci editori in città, uno più famoso
dell’altro ma nessuno di loro volle saperne di quel romanzo che giudicarono
troppo bizzarro per avere successo.
“I soldi, “mormorò Giovanni tornando a casa, “molti editori
pensano solo ai soldi. Ma non ti preoccupare: domani andremo nella città vicina
e proveremo anche lì. Ci sono almeno venti case editrici importanti, una che ci
prenda in considerazione ci dovrà pur essere”.
Il libro annuì piegando l’indice, aveva perso la fiducia ma
non voleva scoraggiare il suo nuovo amico.
Il giorno dopo, ahimè stessa scena. Editori dispiaciuti,
gentili o sgarbati che li facevano ricevere da segretarie distratte e altere
per rispondere sempre la stessa cosa:” Non è di nostro interesse”.
C’era di che strapparsi pagine e capelli.
“Tenteremo ancora. Nella città di G. ce ne sono venticinque.
Ci andremo domani”.
A G. purtroppo non andò affatto meglio.
“Mi dispiace davvero, la prima volta che ti scrivono e va
così male!” esclamò Giovanni con le lacrime agli occhi.
Al libro venne anche il sospetto che Giovanni non fosse poi
così capace di scrivere, ma non ebbe il
coraggio di dirglielo perché sembrava
crudele dopo tutto l’impegno che aveva messo in quell’impresa.
Si tenne per sé questi brutti pensieri e si chiuse nel suo
mondo di carta.
Passarono altri giorni durante i quali libro e Giovanni sprofondarono
nella malinconia più nera, nel più cupo scoramento, nella disperazione più
assoluta, nella…insomma stavano maluccio.
Tanto era il dolore che una sera Giovanni disse al suo amico
libro che voleva andar via.
“Ho deciso, parto. Vado nelle Indie e non torno più. Non so
cosa farò ma di certo non scriverò più. Non posso portarti con me, il viaggio è
troppo pericoloso. Ti lascerò ai giardini pubblici, qualcuno ti raccoglierà e
magari ti leggerà, in fondo è per questo che sei nato. Vedrai, avrai una vita
migliore di quella che può offrirti uno
scrittore fallito come me”.
Il libro provò a dissuaderlo, cominciò perfino a stracciarsi
le pagine ma non ci fu nulla da fare, Giovanni era determinato: la sera dopo prese
il libro e lo portò ai giardini dove lo lasciò, delicatamente deposto su una
panchina.
Figuratevi il povero libro: che tristezza, che dolore per
quell’abbandono! Non ce l’aveva con Giovanni, perché capiva che solo una grande
desolazione lo aveva portato a quel gesto, anzi era in pensiero per lui, temeva
che nello stato d’animo in cui si trovava gli potesse succedere qualcosa di
brutto.
“Povero il mio autore, “pensava fra le righe, “e povero me.
Chi mi prenderà? Speriamo che sia una persona che ama i libri per davvero e non
uno sciupa- pagine che poi nemmeno mi legge”.
Eh sì, se per un libro non scritto la vita non è bella per
uno scritto che nessuno legge è davvero triste.
Il rischio è di finire nel fondo di un magazzino fra gli
invenduti oppure negli scaffali di una libreria fra i dimenticati o, peggio, in
mezzo ai poveri libri comprati per riempire gli spazi vuoti nelle librerie di
chi non legge.
Il lungo viaggio
restò sulla panchina per una settimana intera. La notte si accartocciava tutto
per l’umidità, il giorno un sole ancora
quasi estivo gli faceva sudare l’inchiostro. Una vita dura, quella del libro
senza tetto e senza lettori.
Finalmente, dopo sette giorni e setti notti esposto a tutte
le intemperie, quando ormai aveva perso la speranza, un uomo gli si avvicinò.
“Guarda guarda,“ disse prendendolo fra le mani, “un libro.
Chissà chi ti ha dimenticato qui? Vediamo…non c’è il nome del proprietario,
dunque come si fa a riportarti a casa tua? Pazienza. Vuol dire che verrai con
me e se qualcuno ti reclamerà allora ti restituirò”.
Il libro non stava più nelle righe dalla gioia: un lettore
si interessava a lui, un lettore lo prendeva e lo portava a casa!
L’uomo si infilò Il
lungo viaggio nella tasca sinistra del cappotto e si avviò con l’aria di
chi ha avuto un colpo di fortuna.
“Che bello, avrò una casa,” pensava il libro al caldo della
tasca,” chissà cosa fa invece il mio povero amico Giovanni. Sarà già partito
per le Indie? Sono così in pensiero per lui!”
Combattuto fra la gioia di avere trovato un lettore e
l’ansia per il destino del suo amico, non si accorse nemmeno che erano già arrivati
in quella che sarebbe diventata la sua nuova casa.
“Marisa, guarda cosa ho trovato ai giardini: un libro. Penso
che ti piacerà, parla di un viaggio” disse l’uomo posandolo sul tavolo della
cucina.
“Oh, Antonio dove pensi che lo trovi io il tempo di leggere?
Dallo ai ragazzi, magari a loro interessa” brontolò una donnina indaffarata ai
fornelli, senza degnare il libro di uno sguardo.
“Va bene, allora lo darò a loro”.
Il lungo viaggio quel giorno passò molte volte da una stanza
all’altra di quella grande casa prima di rendersi conto di essere finito nelle
mani di non lettori.
“Ecco, ci siamo. Adesso mi lasceranno su uno scaffale,
dimenticato. Oppure alla prossima fiera di beneficienza mi regaleranno a
qualche volontaria a caccia di donazioni per essere poi pescato come un pesce
da un fortunato vincitore al quale non importerà nulla di me perché magari
puntava a un regalo diverso. Peggio di così sarebbe solo essere bruciato”.
Dopo un mese ad ammuffire su uno scaffale, pieno di polvere
e senza essere mai nemmeno aperto, Il
lungo viaggio finì nel robusto zaino di un volontario della parrocchia,
venuto a cercare doni per la pesca di beneficienza di Natale.
Esposto accanto a giornaletti per bambini e fumetti per ogni
età, il libro si sentiva fuori posto.
E poi faceva freddo. Sullo scaffale almeno stava al caldo.
Ora sentiva i brividi attraversargli la carta da parte a parte, come una lama
di ghiaccio.
“Che ne sarà di me?” pensava accartocciandosi per i brividi.
Una sera, Natale era vicino, alla bancarella dove era
esposto si avvicinò una donna. Vestita di stracci, con l’aria smarrita,
attratta dal titolo prese il libro e cominciò a sfogliarlo.
“Quanto costa?” chiese al ragazzo che stava dietro il banco.
“Oh, pochissimo. Tre euro. Quel libro lì non lo vuole
nessuno.”
“Lo voglio io,” disse la donna,” però tre euro non li ho.
Vanno bene due?”
“Ecco…ma sì, va bene. Vada per due euro”.
Umiliato per essere stato valutato così poco, Il
lungo viaggio si rallegrò di aver trovato almeno qualcuno che lo trovava
degno di interesse.
La donna, che si chiamava Giorgia, se lo mise nella vecchia
borsa delicatamente, come se fosse stato una reliquia.
Per lei il libro era più prezioso dell’oro, lo amava già,
anche se non lo aveva ancora letto.
“I libri sono sempre stati i miei amici più fedeli” disse appena
arrivata a casa posandolo sul camino spento.
Nei giorni seguenti Giorgia si dedicò alla lettura con
passione, dopo due giorni era già all’ultimo capitolo.
“Bellissimo!” esclamò quando ebbe finito di leggerlo.
Dal canto suo il libro era al settimo cielo: dopo tanti che
lo avevano ignorato, dimenticato, lasciato ora c’era qualcuno che non solo lo
aveva letto da cima a fondo ma lo trovava bellissimo.
C’era di che inumidirsi le pagine per la commozione.
Giorgia era povera e sola, ma non era sempre andata così
male la sua vita. Un tempo era stata una scrittrice, famosa e amata dai suoi
lettori. Poi l’ispirazione l’aveva abbandonata, o forse era lei che aveva
abbandonato l’ispirazione, vai a sapere. Da quel momento aveva smesso di
scrivere, poiché non sapeva fare altro viveva di elemosina e di piccoli lavori
domestici che le commissionavano i vicini, come annaffiare il giardino o
portare a spasso il cane.
Facevano proprio una bella coppia, quei due. Un libro che
nessuno aveva voluto, nemmeno il suo autore, e una scrittrice dimenticata da
tutti.
Due così non potevano che stare insieme.
Da quel giorno in poi Giorgia e il libro furono
inseparabili, lei lo lesse e rilesse più volte. Non capiva come avessero potuto
abbandonare un simile capolavoro, diceva:” Se solo lo avessi scritto io un
romanzo così!” e sospirava, sospirava.
Poiché non sapeva rassegnarsi all’idea che fosse stato
ignorato da tutti, la donna, dopo molte indecisioni risolse di andare dal suo
vecchio editore.
Non lo vedeva da anni ma trovò ugualmente il coraggio di
presentarsi a lui, un pomeriggio.
Aveva con sé il
libro.
“Che sorpresa;” disse lui vedendola,” vieni a dirmi che hai
avuto un’idea per un romanzo?”
“No, vengo a parlarti di un’opera che non ho scritto io.
Ecco, questo libro l’ho trovato ai giardini, abbandonato come fosse cartaccia,
e invece è un capolavoro. Leggilo, e dimmi se sbaglio”.
Mise Il Lungo viaggio sulla
scrivania e se ne andò, senza
aggiungere altro.
Passarono quindici giorni, Giorgia continuava la vita di
sempre, fra stenti e nostalgia del passato.
Una mattina Cino, il tuttofare che il suo vecchio editore
sguinzagliava in giro per varie commissioni, bussò alla sua porta.
“Giorgia, finalmente! Il capo ti cerca da giorni: ma non hai
più il telefono?” chiese, trafelato.
“E che me ne farei? Nessuno mi cerca. Che vuole da me il tuo
capo?”
“Vuole parlarti del libro, devi venire il più presto
possibile da lui, ti riceve anche senza appuntamento.”
“Del libro?” Per un attimo gli occhi di Giorgia si
illuminarono.” Certo, vengo subito”.
L’editore l’accolse a braccia aperte. Il lungo viaggio gli
piaceva, ne era entusiasta. Volle conoscerne l’autore.
Non fu facile rintracciare Giovanni, perso nelle Indie a
cercar fortuna, ma dato che anche da quelle parti il passaparola serve a
qualcosa, presto gli giunse notizia che un editore importante lo stava cercando.
Si mise subito in viaggio, e fece la sua fortuna.
Da allora ne fece di strada il nostro libro!
Le copie non facevano in tempo ad uscire che erano già
esaurite. Un successo clamoroso.
Inutile dire che il libro era felicissimo, anche per tutte
le copie sorelle che andavano a ruba.
Tutti erano felici. Anche Giorgia, che non ci aveva
guadagnato niente, né fama né soldi.
Tuttavia anche per lei i giorni cupi sembravano sul punto di
finire. In qualche modo Il lungo viaggio
l’aveva aiutata a riprendere contatti col suo mondo, e con la sua ispirazione
che sembrava esaurita, ma soprattutto le aveva ridato la cosa più importante:
la voglia di scrivere.
A poco a poco le idee cominciarono a fluirle nella mente,
scrisse un bellissimo racconto e poi altri ancora, fino a farne una raccolta
che l’editore fu felice di pubblicare.
Insomma, amici miei, libro e scrittori ebbero il loro bel
momento che a quanto pare dura ancora oggi.
Una storia a lieto fine…ma che dico? Una storia senza fine.
La storia dell’ispirazione, della fantasia e di un libro coraggioso che qualche
sciocco voleva buttar via.