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martedì 15 ottobre 2019

Ermanno, sarto e re



Un sarto dall'animo puro, uno strano vestito, una notte di magia...
buona lettura


Ermanno, sarto e re
 Barbara Cerrone


C’era nell'aria un che di autunnale, malgrado a detta di molti  quell'anno l’autunno  stentasse ad  arrivare.
Il bosco sapeva di fresco, di umido, di pace; gli animali dormivano già, nonostante il sole insistente. Si preparava la lunga notte che come un tunnel porta dritta dritta alla tenera luce della primavera.
La terra tratteneva il calore incamerato durante l’estate come scorta, se lo teneva stretto nel grembo profondo, a mo’ di borsa dell’acqua calda.
Sulla pancia della terra il mondo degli uomini camminava frenetico, disperdendosi nei mille rivoli dei quotidiani affanni.
Fra questi esseri  caricati come pupazzi da una molla invisibile c’era anche lui, Ermanno.
Era alto...poco poco, e pesava...poco poco. Un omino piccino e buffo coi capelli di carota fresca e gli occhi blu come un cielo estivo. Un brav'uomo, tutto sommato, pieno di buoni sentimenti e senza odio per nessuno.
Di mestiere faceva il sarto, era bravo ma non aveva molti clienti perché il villaggio era povero, anche lui lo era, e faticava un bel  po’ ad andare avanti con i quattro soldi che riusciva a guadagnare. In compenso  aveva molti amici con i quali gli piaceva giocare a carte, oppure a tombola, specialmente nelle lunghe sere d’inverno.
La sua vita era semplice, e c’è da dire che, nonostante le ristrettezze, a lui piaceva proprio così com'era.
Un giorno Ermanno restò a lavorare fino a tardi nel suo laboratorio per finire un lavoro urgente.
Era stanco, aveva lavorato tutto il giorno,  gli occhietti blu gli si incrociavano e quasi non vedeva più dove metteva l’ago, ma con il poco lavoro che c’era doveva stringere i denti e sacrificarsi pur di guadagnare il necessario per sopravvivere.
Gli mancavano solo le ultime rifiniture, si voltò verso la finestra per cercare con lo sguardo le forbici, e lo vide.
Un enorme naso a patata schiacciato contro il vetro.
Il resto della faccia si intuiva a malapena. Ermanno riuscì solo a capire che era un uomo piuttosto basso, con un buffo berretto messo di sghimbescio sulla testa.  Fece per andare ad aprire la porta ma un improvviso timore lo fermò: c’erano stati molti brutti episodi, in paese, tipacci che di notte con una scusa si erano introdotti nelle case dei suoi compaesani per derubarli, Ermanno non voleva rischiare e si arrestò.
Intanto l’uomo alla finestra si era messo a bussare al vetro, prima con delicatezza poi sempre più forte, tanto che il nostro amico temette lo rompesse. Per evitare il peggio si decise ad aprire la finestra, giusto uno spiraglio, sufficiente per scambiare due parole con lo strano tipo senza rischiare troppo.
“Dunque,” gli disse con tono irritato, “ che volete a quest’ora? Perché tanto fracasso che quasi mi mandate la finestra in frantumi?”
“Perdonatemi, “ fece quello con un inchino, “ il mio nome è Arras, mi manda qui la mia signora, Ambrosia, la quale ha urgenza di un vestito. Lo deve indossare domani stesso in occasione di una grande  festa che si terrà a palazzo. Ho qui la stoffa e anche le misure, sono  scritte su questo foglio, ecco, prendete.  Fatele un modello da gran dama, io tornerò a prenderlo domattina stessa.”
“Un momento, un momento,  nemmeno se lavorassi tutta la notte potrei cucirlo in così poco tempo, inoltre  devo finire un altro lavoro, è di una mia buona cliente, me l’ha portato prima di voi. Ho tanto bisogno di lavorare ma stavolta devo dire di no. Ci sono altri sarti, nel paese vicino.”
“No, no, la mia signora è stata molto chiara, dovete cucirlo voi e solo voi. L’altro vestito lo finirete domani, questo è più urgente. Non potete rifiutarvi, questa stoffa è fatata , se non farete il lavoro al posto del  laboratorio domattina troverete un mucchietto di cenere.”
“Oh, povero me, povero me! Non posso farcela in una notte sola.”
“Ce la farete, e ora addio, a domattina”,  disse Arras, e svanì, come nebbia al sole.
Il povero Ermanno si mise le mani nei pochi capelli che gli restavano in testa: come poteva cucire un vestito da gran dama in una notte sola? E se non lo avesse fatto...oh, era proprio disperato!
Guardò meglio la stoffa: non era certo quel che si dice una pezza di pregio, anzi, sembrava la tela grezza che si usa per fare i sacchi.
“E devo farne un abito da gran sera? Mah!”
Si lamentò  ancora per un po’ , scuotendo il capo per la desolazione, poi però si mise al lavoro perché non c’era scelta e di tempo ce n’era ancora meno.
Tagliò, infilzò, cucì tutta la notte. Finalmente, all'alba, il vestito era pronto.
“Non avrei mai creduto di farcela,” pensò, “ anche questo ha della magia. Mi sono meritato un po’ di riposo, quasi quasi schiaccio un pisolino prima che arrivi il nasone a prenderselo”.
Il laboratorio si trovava al piano terreno della sua casa, Ermanno non fece che salire una rampa di scale e fu in camera sua. Si buttò sul letto e, senza avere nemmeno il tempo di svestirsi, per la grande stanchezza  si addormentò.
Quando si svegliò erano le undici passate.
“ Che ore sono? Le undici e mezzo! Spero proprio che il nasone non sia già passato per ritirare il vestito o io sarò nei guai”.
Si precipitò in laboratorio e si guardò intorno:   era come lo aveva lasciato qualche ora prima.
E il vestito? Lo aveva riposto nella cassapanca, ben ripiegato, perché non si sgualcisse, aprì e...che sorpresa! Al posto dell’abito  di misera tela ce n’era uno  di finissimo broccato.  Rubini e lapislazzuli impreziosivano la scollatura, e tutto l’insieme mandava un tale bagliore che Ermanno ne rimase quasi accecato.
“Ma cos'è successo? Che magia è questa?” esclamò il sarto, con le gambe che gli tremavano.
Mentre guardava e riguardava quell'abito incantato, ecco arrivare Arras in tenuta di gala.
“Vedo che hai mantenuto l’impegno.Bene. La mia signora, fata Ambrosia, te ne ricompenserà.”
“Una fata? Ecco, ora si spiega! Perché allora darmi quella brutta stoffa?” chiese Ermanno, ancora confuso.
“Era una prova. Io sono un folletto, la mia signora come ti ho detto è una fata e da fata aiuta chi ha bisogno. Sapendo della tua povertà voleva darti una mano,  ma prima doveva metterti alla prova. Quella brutta stoffa, come la chiami tu, è tale che in mano a un malvagio si fa di fuoco e gli brucia le mani, ma se la tocca una persona  veramente buona allora la sua bontà ne fa un preziosissimo  tessuto.
Fata Ambrosia ha girato il mondo per cercare persone da beneficare, purché  avessero un cuore puro. Ne ha trovate poche, ahimè, molte ora hanno nelle mani i segni della loro cattiveria. Le buone invece  sono diventate ricche e onorate, e per tutta la vita lo saranno. Anche tu, Ermanno, d’ora in avanti avrai ricchezza e  gioia. Lunga e bellissima sarà la tua esistenza, e ora dammi quel vestito, la mia fata sarà felice di vederlo”.
Arras prese l’abito  e quello subito si trasformò di nuovo in una brutta pezza di tela grezza e sporca.
Ermano, ancora incredulo, si pizzicò le guance per esser certo di non aver sognato, ma  nello stesso istante   un  magnifico tesoro si materializzò  davanti ai suoi occhi: oro, diamanti, gemme preziose e denaro, tanto denaro da non saper che farne.
E non fu che l’inizio. Ogni mattina, sopra il suo tavolo da lavoro, compariva un  nuovo tesoro.
Non basta: la gente del villaggio volle farlo marchese e da marchese, poi, divenne re.
Un re amatissimo e molto rispettato, il più felice che abbia mai portato una corona in testa.



domenica 13 ottobre 2019

Abbracciamondo


Capita a volte,  a grandi e piccini, di sentirsi così felici da aver voglia di abbracciare tutto il mondo, ma quando capita ai più piccoli può trasformarsi in una vera magia.
Buona lettura.



Abbracciamondo
Barbara Cerrone



Era una bella giornata , Teo  era così felice che aveva voglia di abbracciare tutto il mondo.
“Impossibile, figlio mio, “ disse la mamma con un bel sorriso, “ non puoi abbracciare tutto il mondo, ci vorrebbero delle braccia lunghe chilometri e chilometri.”
Teo si guardò le braccia: effettivamente erano un po’ corte, con delle braccia così al massimo avrebbe potuto abbracciare mamma o papà, di certo non il mondo intero.
“Se solo potessero crescere tanto da arrivare in cima al mondo!” pensò Teo tirandole, quasi volesse tentare di  allungarle.
E  tira tira alla fine, con sua grande sorpresa,  le sue braccia da corte che erano cominciarono ad allungarsi davvero.  Si allungarono al punto che fu costretto ad arrotolarle per non farle uscire dalla stanza.
“Mamma, mamma,” gridò, “vieni a vedere!”
La mamma era in cucina a preparare la cena , lì per lì pensò  che Teo volesse ancora parlarle della sua voglia  di abbracciare il mondo  perciò  gli rispose con un vago Sì, sì, arrivo  e continuò con le sue faccende, ripromettendosi di andare  da lui subito dopo aver infornato il pollo.
“Mamma, “ si lamentò ancora il povero Teo, “ vieni subito, crescono ancora!”
Ed era proprio così, le sue braccia non si erano fermate, crescevano ancora e ancora, tanto che ad un certo punto non bastò più arrotolarle, fu costretto a  buttarle  giù dalla finestra, dove continuarono ad  estendersi all'impazzata  come un lungo serpente senza fine.
Teo ormai non  vedeva più le sue manine, ed era ancora più disperato perché gli servivano, specialmente ora che aveva un po’ di raffreddore e doveva soffiarsi il naso.
“Aiuto, aiuto!” gridò ancora una volta,  ma sembrava proprio che nessuno lo sentisse, nemmeno la mamma che era di là, in cucina.
Disperato, non gli restava che uscire e inseguirle come poteva, in modo da riprendersi almeno le mani.
Corri corri si ritrovò in un paese sconosciuto. Sperduto e solo, chiese  a un passante  come si chiamava quel posto e quanto era distante da casa sua.
“Eh, “fece quello,”caro il mio bambino, questo è  Chenoncè e dista un buon quantoglipare dal tuo paese. Se ti sei perso sono affari tuoi, qui non ti aiuterà nessuno perché a Chenoncè non abita nessuno, io sono di passaggio, anzi, adesso me ne vado e tanti saluti”.
Teo ebbe un bel protestare, il tizio non volle saperne di dargli altre informazioni e se ne andò via, veloce come un fulmine.
In questa situazione complicata  che avrebbe mai potuto fare Teo? Riprese a inseguire le sue braccia, che nel frattempo erano ancora cresciute:  il povero bambino non ne vedeva più la fine.
Nella sua corsa  attraversò l’Africa, l’Asia, l’America e poi tutta  l’ Europa,  a farla breve girò il mondo intero.
Vide paesi, case, boschi e gente ai lati della strada a incitarlo come si fa con i ciclisti in gara.
 Incontrò due presidenti e un re, un viceministro gli strinse la mano, “Complimenti,” gli disse,” non si erano mai viste braccia tanto lunghe. Torni a trovarci, la rivedremo con piacere”.
Quando si accorse che le braccia si erano finalmente fermate il sole stava per tramontare, di lì a poco sarebbe calata la sera, insomma era proprio l’ora di tornare a casa per la cena.
 Il piccolo Teo raggiunse  braccia e mani,  le raccolse infilandosele in tasca un po’ alla meglio e mentre le spingeva dentro a forza, perché erano davvero troppo lunghe e faticavano ad entrarci, si disse che era proprio vero, era riuscito ad abbracciare tutto il mondo. Nonostante la gran corsa e la fatica,  gli venne quasi  voglia di abbracciarlo ancora.
“Evviva, evviva,” gridava saltando di gioia,” con le mie braccia sono arrivato dappertutto, appena a casa lo dirò alla mamma!”
Mentre saltava e rideva così, ecco passare di lì un’anziana signora che zoppicando andò verso di lui e gli rivolse la parola.
“Bel bambino, mi daresti una mano ad attraversare la strada? Come vedi fatico a camminare, se mi aiuti saprò ricompensarti. Dimmi cosa desideri e io te lo darò.”
“L’aiuterò signora, ma quel che voglio  è solo tornare a casa mia, dalla mia mamma.”
“Benissimo, aiutami che poi  ti ci porto io”.
Teo  si disse che la povera signora non era certo in grado di riportarlo a casa ma decise ugualmente di aiutarla, la prese sottobraccio  ed ecco che lei...sorpresa! Si mise a correre come il vento, trascinandosi dietro l’incredulo Teo che per la gran velocità quasi  volava nell'aria, come un aquilone. Un po’ di fifa l’aveva, è vero, però era così bello essere trasportato così,  sembrava di essere una piuma!  
In un battibaleno il nostro amico  si ritrovò davanti a casa. La  misteriosa signora, invece,  non c’era più.  Teo la cercò, per ringraziarla, ma inutilmente. Era sparita. E le sue braccia? Erano tornate come prima.
Teo si sentiva  confuso:  quanto tempo era passato? Mezz'ora? Un quarto d’ora? E cos'era stato, il suo, un sogno o una magia? Non lo sapeva. Pensandoci si disse che non era poi così importante, era riuscito ad abbracciare tutto il mondo e a tornare a casa in tempo per la cena.
Dalla finestra aperta della cucina giungevano  le voci dei suoi genitori: la mamma canticchiava apparecchiando la tavola,  e suo padre, che doveva essere  appena tornato,   stava raccontando la sua giornata alla mamma.
Aprì piano piano la porta ed entrò.
“Tesoro, scusa se non sono venuta subito da te, ho avuto problemi con il forno e poi mi ha chiamato la nonna ... che dovevi dirmi?”
“Oh, non importa, mamma. Era solo una sciocchezza.”
 “Bene, allora vai a lavarti le mani che è pronto in tavola” disse la mamma scompigliandoli i capelli.