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sabato 28 novembre 2020

La sveglia addormentata

Anche le sveglie possono essere pigre...

buona lettura.


La sveglia addormentata

Barbara Cerrone

 

 




C’era in paese una sveglia addormentata, da tempo ormai si era appisolata,  e per svegliarsi  si ascoltava il gallo che perlomeno non era mai in fallo.

Tutti dicevano: “Ma che vergogna, che cosa inusitata, non si è mai vista una sveglia addormentata!”  Perfino il sindaco pose la questione, tutto il consiglio votò la mozione.

Si interpellarono i più gran dottori che di un congresso interruppero i lavori,  ma la faccenda era assai complicata così nessuno riusciva mai a risolvere il gran problema della sveglia addormentata.

Venne una volta un bravo musicista, che a dire il vero non era nella lista dei consultati per la brutta storia della sveglietta che del suo dovere pareva avere perso la memoria.

“Non ci capisco una sola nota, questa non canta, non balla e non suona: secondo me a far la sveglia non è buona”.

Venne anche un medico dalla lontana Islanda, aveva gli occhi cerchiati come un panda per la stanchezza del viaggio fatto a piedi, che se non vedi quasi non ci credi. Estrasse subito dalla borsa nera uno strumento con la forma a pera per auscultare la sveglia pigra e scura che del dottore non ebbe paura.

“Mi sembra strana, non ci cavo un picchio, sembra una sveglia fatta col radicchio tanto è molliccia e senza struttura: siete sicuri che non sia una verdura?”

Dopo di lui capitò un ingegnere, un uomo serio ma continuava a bere del succo puro di ribes con la fragola e pretendeva di mettersi a tavola nel pomeriggio e verso le tre, quando la cena ancora  qui non c’è.

“Se io non mangio non vedo più niente, questo vi dico, o mia brava gente. Datemi pane, formaggio e un po’ di vino e io vi sveglio anche un comodino”.

Ebbe il suo pane, anche il suo formaggio, ma di svegliarla non ebbe il coraggio.

“Dorme serena, perché disturbarla? Tornerò poi a vederla e visitarla”.

Con questa scusa se ne andò a pancia piena, e la svegliuccia dormì ancora più serena.

Dopo aver fatto tutti i tentativi e indagato i possibili motivi, la brava gente di tutto il villaggio si mise quieta e aspettò che maggio venisse a dar la sveglia alle persone, in modo da allentare la tensione che quel problema aveva dato a tutti, e a primavera cogliere coi frutti tutto il vantaggio di saper aspettare senza aver fretta di ricominciare con i pareri e con i consulti, spuntati ovunque come dei virgulti.

“A primavera si desta la natura!” disse convinto il signor Pietrinascura.

E venne maggio, i prati erano in fiore, nacquero bimbi e in tutti anche l’amore ma per la sveglia niente primavera, dormiva sempre da mattina a sera.

“Che sciocchi a credere che bastasse maggio, “ disse una donna stesa accanto al faggio,” a ridestare la nostra sveglina, lei dorme ancora da sera a mattina”:

Convinti ormai che tutto fosse inutile, e riprovarci ancora più futile, si rassegnarono tutte le persone e per la sveglia si scrisse una canzone.

“Sveglia sveglina,” diceva il ritornello, “ dormirai meglio giù nella cantina. Perciò adesso, insieme a mio fratello, io ti deposito dentro quel sacello dove starai finché del sonno sarai prigioniera, fosse per anni o una vita intera”.

Da quel momento la sveglia andò in pensione, senza tormento, senza delusione.

Lì riposò per mille anni ancora, e credo proprio che dorma tuttora.

Un coccodrillo sul bus

 Eccomi di nuovo con una breve fiaba...quasi un flash!


Un coccodrillo sul bus

Barbara Cerrone





Una mattina un coccodrillo salì sull’autobus che portava in centro. E i passeggeri? Vi chiederete voi.  Spaventati a morte. Chi dava di gomito al vicino e indicava il bestione tranquillamente seduto dietro all’autista, accanto al finestrino; chi tremava e, sempre tenendo d’occhio l’animale, cercava il campanello per prenotare la fermata più vicina e scendere veloce come un fulmine; chi brandiva l’ombrello come una spada sperando di spaventarlo; chi invece si avvicinava all’autista, un marcantonio alto due metri con le spalle come un armadio; chi, ancora, fingeva indifferenza come per dire Embé? Non avete mai visto un coccodrillo?

C’era perfino chi si dava i pizzichi sulle guance per vedere se per caso stava sognando.

 Invece, cari miei, non era un sogno. Il coccodrillo c’era per davvero e non sembrava nemmeno accorgersi dello scompiglio che aveva provocato fra quegli umani mezzo addormentati che andavano al lavoro come ogni mattina.

In poco tempo, lo si può capire, l’autobus si svuotò. Mai come quel giorno si videro tante persone andare a piedi per le vie della città alle 8 di mattina, con un freddo che congelava anche i pensieri.

A bordo restarono solo l’autista e il coccodrillo.  Che avreste fatto voi al posto del conducente? Avreste parcheggiato nel primo posto adatto e ve la sareste data a gambe? Probabilmente anch’io. L’autista invece era un tipo diligente, ci teneva al suo lavoro e voleva finire il turno,  perciò proseguì la corsa e per rompere il ghiaccio decise di fare due chiacchiere col suo bizzarro passeggero.

Venne fuori che il lucertolone  si chiamava Annibale e che era venuto dall’Africa  per andare a trovare uno zio molto ammalato ospite dello zoo cittadino. L’autista si commosse per tanta dedizione, trovò che in fondo quello era proprio un bravo coccodrillo e lo accompagnò fino all’ingresso dello zoo temendo che si potesse perdere, non essendo pratico del posto.

Annibale non finiva più di ringraziarlo, finì che lo invitò in Africa, disse che aveva un certo amico proprietario di una casetta nei pressi di un piccolo villaggio che lo avrebbe ospitato volentieri. Un tipo in gamba, disse.

Che tipo di amico fosse, se umano o animale, non lo specificò ma all’autista non parve poi così importante visto che aveva appena fatto amicizia con un coccodrillo.