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sabato 4 agosto 2018

L'albero - quando la natura vince



Quando la natura vince...





L’albero
Barbara Cerrone


C’era una volta un bellissimo albero che aveva molti anni ma era ancora in gamba, e viveva felice nel bosco insieme ai suoi fratelli verdi.
Un brutto giorno il principe del luogo ordinò ai suoi boscaioli di abbattere cinque dei suoi fratelli  per farne legna da portare al castello, scegliessero loro quali.
I boscaioli decisero di tagliare i più vecchi: fra questi ultimi c’era anche il nostro bell’albero che lì per lì sentì le foglie sbiancarsi dalla paura.
“Lasciatemi, lasciatemi! Non voglio morire!” gridava mentre gli colpivano il tronco con la scure  ma i boscaioli non potevano sentirlo, e continuavano a colpire senza fermarsi.
Finito il lavoro quella brava gente caricò i tronchi sul carro e li portò al castello.
“Bene, siete stati solerti come sempre, “disse il re,” una ricompensa vi attende, miei fedeli. Adesso però consegnate tutto al mio spaccalegna e andate a casa a riposarvi.”
Lo spaccalegna era un omone grande e grosso che era a servizio del re da dieci lustri, prese il legname e cominciò subito a farne pezzi da metter nei camini delle stanze reali.
Il re, però, era giovane e capriccioso, gli venne in mente che la regina, più capricciosa di lui, voleva un nuovo tavolino per la sua camera da letto perché si era stancata di  quello che  aveva, andò dallo spaccalegna e gli disse:
“Aspetta, la mia regina vuole un nuovo tavolinetto e quel legname sembra proprio adatto, perciò lascia uno dei tronchi per il falegname e portaglielo affinché accontenti la mia sposa”.
Lo spaccalegna si inchinò alla volontà del suo re e portò subito il tronco più bello al falegname.
Non lo indovinate? Eh, sì! Il tronco scelto era proprio quello del nostro albero.
Il falegname in quattro e quattr’otto fece un tavolino che era le sette meraviglie: intarsi come ricami ne impreziosivano il piano e le gambe, tornite e levigate, erano un capolavoro di eleganza.
“Ecco fatto, “disse quel bravo artigiano consegnandolo al re in persona,” questo è il più bel tavolino che sia uscito dalle mie mani. Spero che la vostra maestà ne sia soddisfatta.”
Il sovrano lo mostrò subito ala regina che ne fu entusiasta e lo fece portare subito in camera sua.
Tutti felici e contenti, dunque? Tutti, tranne il povero tavolino che non voleva rinunciare ad essere un albero e a vivere nel bosco, fra il verde e i fiori.
Dopo qualche mese la regina si era già stancata anche di quel tavolino nuovo.
“Uffa, sposo mio, questo tavolino mi annoia, fatene legname da ardere, e dite al vostro falegname che ne voglio uno nuovo” disse quella svampita al re, che subito volle accontentarla.
Venne uno dei servitori a prendere il mobile da bruciare ma quando lo sollevò si accorse che sul piano del tavolo c’era qualcosa.
“Uh, e che cos’è questo?” disse il servitore.”Ah, ecco: un filo d’erba. Chissà come c’è arrivato? Magari sì è impigliato nelle vesti della regina quando è andata in giardino. Ora lo tolgo.”
Fece per prenderlo ma si accorse che quel filo d’erba non era solo appoggiato: fu costretto a tirarlo via con tutte le radici.
“Possibile?” si chiese.” L’erba che cresce sul tavolo? Mah, comunque sia adesso l’ho estirpato.”
Senza pensarci oltre gettò il filo d’erba e andò a cercar l’accetta per far di quel tavolo tanti piccoli pezzi di legno da gettar nel camino.
Non aveva fatto tre passi che di fili ne notò altri due. Tre. Quattro. Un prato d’erbetta fresca copriva il tavolino e non smetteva di crescere!
“Adesse ci mancano solo le margherite!” esclamò.
E  infatti...
“NOOO! Questo legno è stregato, aiutooo!” urlò il poveretto lanciando in aria il tavolo, con tutto il prato e le margherite appena nate.
“Insomma che succede?” tuonò il re entrando nella stanza.
Quando vide il tavolo a terra prima si lagnò della pigrizia dei servitori, poi vide il prato con i fiori e gridò anche lui come un ossesso.
“Aiuto, aiuto! Un mago, presto, una fata, un...quel che vi pare, purché qualcuno venga!”
Corsero tutti: servitori, armigeri, cortigiani, perfino l’annoiata sua consorte. Tutti.
Intanto, erbetta e margherite continuavano a spuntare, fra la confusione generale.
La sciocca regina prima trovò la cosa divertente, poi però svenne, considerandolo più consono al suo ruolo.
Nessuno sapeva cosa fare, la paura era seconda solo alla meraviglia.
L’unico che non temeva nulla era proprio il tavolino.
 Le sue radici correvano sotto i nodi scuri di quel mobile elegnate, le sue foglie si specchiavano in quell’erba sottile, la sua corteccia faceva scudo ai piccoli fiori.
“Sono ancora un albero”diceva, “ e questo è il mio bosco.”
Nel frattempo il ciambellano aveva chiamato non so più quanti maghi per liberar la corte dalla stregoneria ma quelli non cavarono un ragno dal buco; lo stesso accadde con quattro fattucchiere, cinque indovini e sei astrologhi di passaggio.
Niente da fare, sul tavolo continuava a crescer l’erba a profusione.
Davanti a tanta verde ostinazione il re non sapeva più che pesci prendere, decise allora di convocare il consigliere più saggio della corte, quello che consultava nei momenti di crisi e di sventura.
“So già di che si tratta,” disse quello quando fu davanti al sovrano,” in tutta la corte non si parla d’altro. Sire, non abbiamo scelta: riportatelo nel bosco e piantatelo.”
“Che? Che? Che? Io dovrei cedere ai capricci di un tavolino?”
“No, sire, alla volontà di madre natura e del suo figlio, l’albero che avete tagliato. Riportatelo dov’era o sarà peggio per tutti noi.”
Il re storse il naso e anche la bocca, brontolò, si lamentò, chiamò la regina che fece due sbadigli e poi se ne andò senza dir parola. Fece tutto questo e molto altro ancora, poi  si rassegnò e disse:
“E sia! Chiamate i boscaioli, che lo riportino nel bosco e lo piantino, non lo voglio più in questa reggia!”
Quando il tavolino rivide  il suo bosco gli caddero lacrime di gioia giù, lungo le gambe levigate, le sue radici cominciarono a tremare e si gettarono subito a terra.
Dopo una settimana i boscaioli tornarono nel bosco a tagliar legna per i camini del palazzo, per curiosità andarono a vedere che ne era stato del tavolino e non lo trovarono: al suo posto troneggiava una quercia gigantesca che mosse piano i rami al loro passaggio.
“Guarda, ci saluta!” disse uno di loro.
“Macché! Gli alberi non salutano, non hanno anima né cervello, proprio come te” ribattè un altro.
Nessuno vide come. Io nemmeno ve lo posso dire, so solo che davanti alla quercia c’era una pozzanghera e questo tipo ci si trovò dentro, gambe all’aria, e la quercia a fargli marameo con tutti i rami.

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