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sabato 16 maggio 2020

Ognuno ha la sua gabbia - "Le nuvole in gabbia"




Ognuno ha la sua gabbia. 
La libertà a volte è solo apparenza, dietro gesti e parole si possono nascondere paure e condizionamenti, influenze più o meno inconsce di un mondo che spesso punta a uniformarci secondo esigenze che non sono le nostre.
Consumatori e consumati, crediamo di decidere e siamo decisi.
Difficile conquista, la libertà, comunque la si pensi. 
Avere una mente libera, vedere senza paraocchi la realtà, saperla decifrare e togliere i lacci al cervello perché non venga impostato come il layout di una pagina scritta da altri, questa è la libertà delle libertà.
Raggiungerla non è una prerogativa delle fiabe, forse basta solo volerlo, non aver paura ad aprire gli occhi e a fare un esercizio di coraggio che può condurci, dritti e sicuri, in vista della nostra anima.
Ed ora, a proposito di gabbie...
ecco una nuova fiaba.
Buona lettura







Le nuvole in gabbia

 Barbara Cerrone

 

 


Topo Alfredo aveva fame.

“Tessa, tesoro, che si mangia stasera?” chiese alla moglie.

“Quello che vuoi, però prima bisogna far la spesa.”

Tessa stava guardando la sua fiction preferita alla tv, quando questo succedeva nessuno, nemmeno un gatto, avrebbe potuto smuoverla.

“Ho capito. Vado io” disse Alfredo.

“Non tornare con quel formaggio ammuffito che hai portato ieri, mi raccomando: ci sarà pure qualcosa di meglio nella dispensa! La muffa fa male alla salute, lo dicono sempre in tv”.

Alfredo promise, poi prese la borsa della spesa e uscì fischiettando dal vecchio fienile.

Vivevano lì da generazioni, lui e i suoi avi.

“Per un topolino di campagna non c’è un posto migliore di questo” diceva nonno Eraldo.

Alfredo lo ripeteva sempre alla moglie che sognava di andare ad abitare nella casa padronale, difronte al fienile.

Topo Alfredo non capiva come Tessa potesse desiderare davvero di vivere in quella grande casa piena di rumore e infestata da umani di tutte le grandezze ad ogni ora del giorno e della notte.

Molto meglio il vecchio fienile, riservato e silenzioso, dove al massimo si faceva vedere quel tipo alto alto che lavorava per gli umani, trafficare un po’ con il fieno e poi se ne andava, lasciando lui e la sua famiglia liberi di scorrazzare come e quanto volevano.

Alfredo si guardò intorno per controllare che non ci fosse Fred, il gatto, poi attraversò il cortile veloce come un fulmine e si infilò in casa passando dalla finestra del ripostiglio, che era sempre aperta.

Nessun umano all'orizzonte. Alfredo tirò un sospiro di sollievo: non aveva paura di loro, di solito riusciva sempre a fargliela in barba, solo facevano troppo rumore per i suoi gusti. Specialmente quelli di taglia piccola. Gli impedivano la concentrazione, mentre lui aveva bisogno di averne tanta, in quel momento.

Conosceva la casa come la sua tana, esplorò tutte le stanze, nel caso ci fosse stato in giro qualche residuo di cibo; visto che non c’era nemmeno una briciola fuori posto, si diresse verso la grande cucina, in fondo al corridoio.

La dispensa era una specie di vecchia cassapanca che stava proprio sotto la finestra, c’era una fessura in basso, da lì Alfredo scivolava dentro senza difficoltà e andava a far man bassa di cibarie.

Anche quel giorno Alfredo il topo si infilò nella dispensa e cominciò a rovistare con energia.

Era una buona giornata, c’erano provviste da mangiarci un anno intero. Alfredo prese tutto quello che le sue zampette poterono arraffare, riempì il sacco che aveva con sé e scappò via.

Era già alla finestra quando lo sguardo gli cadde su due canarini chiusi in una gabbia che entrando non aveva notato.

“Poverini, come fate a resistere chiusi in una gabbia?” chiese il topo scuotendo il muso appuntito.

“Non abbiamo scelta, ci hanno chiusi qui tanto tempo fa” rispose Pik, il più vivace dei due.

“Sono stati gli umani, immagino.”

“Sì, sono stati loro,” disse Pak,“ma non per cattiveria, sono convinti di volerci bene. Scappare, dici? Fosse facile! L’unica speranza è la piccola, quella che chiamano Alice. Lei apre spesso la gabbia ma ogni volta l’umana grande arriva in tempo a fermarla.”

“Uhm, allora è presto fatto. Bisogna attirare l’attenzione di questa…Alice e distrarre la grande. Ci penso io.”

“Davvero ci aiuteresti?” chiesero in coro i canarini.

“Certo! Datemi solo il tempo di tornare nella tana a portare le provviste e poi torno con i rinforzi.”

Tornato a casa Alfredo chiamò subito a raduno i suoi piccoli.

“C’è una missione da compiere, venite con me” disse.

“Missione? Quale missione?” chiese preoccupata la moglie, che da lui se ne aspettava sempre una.

“Si tratta di aiutare due canarini chiusi in gabbia. Ho bisogno di uno di voi, ragazzi: chi viene ad aiutarmi?”

Figuratevi!

“Io!” “Io!” gridarono i topolini, spingendosi l’un l’altro.

“Basta, basta, se fate così decido io. Viene con me…tutti e due. Andiamo, non c’è tempo da perdere.”

“Alfredo, sei sicuro che non ci sia pericolo? I piccoli…” chiese di nuovo la moglie.

“Stai tranquilla, ci sono io a proteggerli. Saremo prudentissimi. Tu intanto apparecchia la tavola che fra poco si mangia”.

Topo e topolini attraversarono di corsa il cortile, presero per la solita finestra ed entrarono in casa.

Alfredo chiese ad Augusto, il più piccolo dei suoi figli, di cercare l’umana di nome Alice per farsi seguire da lei fino alla gabbia, e al più grande, che si chiamava Adelmo, di tirarsi dietro l’umana grande in modo che non corresse dietro alla figlia, come faceva sempre, per impedirle di aprire la gabbia.

I topolini obbedirono felici, fregandosi le zampe.

Augusto trovò Alice in cucina, stava mangiando una caramella e non gli badava, nonostante lui facesse mille smorfie per farsi notare.

Alla fine fu costretto a farle il solletico ai piedi, la bambina abbassò lo sguardo e finalmente lo vide.

“Uh, che carino!” esclamò.

Augusto filò via subito verso la stanza dove era appesa la gabbia, voltandosi continuamente indietro per vedere se la bambina lo seguiva.

La piccola non deluse le sue aspettative. Appena fu davanti alla gabbia, come al solito, l’aprì.

E l’umana grande? Era in cortile, alle prese con Adelmo, gli stava correndo dietro con la scopa in mano.

Alice prese in mano i due canarini e cominciò a vezzeggiarli, dimentica ormai del topolino.

Fu facile per Pak e Pik sfuggirle dalle manine. Volarono via in un attimo, e ringraziando topo e topolini, si allontanarono tra gli alberi e ciao.

I nostri roditori, trionfanti dopo la felice impresa, stavano facendo ritorno al fienile quando due nuvole scure come la notte li chiamarono dal cielo.

“Ehi, voi, non crederete mica di farla franca? Vi abbiamo visti. Avete fatto scappare i canarini, ora lo diremo agli umani e vi scateneranno contro il gatto Fred.”

“Abbiamo fatto una buona azione, erano in gabbia e soffrivano. Perché volete fare la spia?” disse Alfredo con tono supplichevole.

“Perché vi abbiamo visti e lo vogliamo dire. E poi perché oggi siamo arrabbiate: non vedi come siamo nere? Qui tra poco faremo un temporale che neanche te lo immagini, caro il mio topo!”

“E sia! Se volete proprio farci un dispetto, allora in gabbia ci mettiamo voi due, così vediamo se vi piace” disse Alfredo agitando le zampine.

“Le nuvole in gabbia, figurati! E come pensi di chiuderci? Noi siamo fatte d’acqua, sciocco di un roditore.”

“C’è poco da ridere. Ora vi faccio vedere io!”

Alfredo tornò nella grande casa, dove nel frattempo era scoppiato un putiferio perché la fuga dei due uccellini era stata scoperta.

In quel trambusto nessuno si accorse del topo che prese indisturbato la gabbia e svelto svelto se ne tornò in cortile.

“Ecco,” fece Alfredo, “ora vedrete come vi ci infilo, o non mi chiamo più Alfredo”.

Le nuvole fecero una smorfia come per dire Povero illuso, a dire il vero nemmeno il topo sapeva come fare a imprigionarle, ma voleva a tutti costi dare una lezione a quelle due sbruffone e lì per lì si inventò una formula che se non sbaglio diceva così:

“Topin topetto, io sono un maghetto. Topin topolone, chiudi qui dentro quel nuvolone.”

Detto, fatto.

Una nuvola era già imprigionata.

Il primo a sorprendersi fu proprio Alfredo.

“Tirami subito fuori da qui!” gridava la malcapitata, ma Alfredo faceva finta di non sentire e intanto si preparava a ingabbiare anche la seconda.

“Topin topetto, io sono un maghetto. Topi topolone, chiudi dentro anche quest’altro nuvolone”.

E l’altra nuvola era bella che chiusa.

Il fatto è che per quanto si sforzassero e si spremessero per sgocciolare via, le prigioniere non riuscivano a fare nemmeno una gocciolina. Più che nuvole sembravano due pietre, compatte e ferme dentro la loro prigione.

“Ma come avrò fatto? “si chiese Alfredo grattandosi la testa.

 “E ora divertitevi un po’ voi a stare in gabbia, “soggiunse il topo,” io e i miei topolini andiamo a pranzo, arrivederci”.

Appese la gabbia a un gancio dietro il fienile e se ne andò a mangiare con la sua famiglia.

Avevano un bell’urlare e inveire, le nuvolone, sempre più nere per la gran rabbia. Alfredo non ci pensava nemmeno a farle uscire. Per il momento.

“Che stiano almeno un giorno e una notte a meditare sulla loro cattiveria” disse alla moglie che quasi quasi si era impietosita.

Il giorno dopo il nostro topo si alzò di buon mattino, voleva vedere cosa facevano le due prigioniere e se era il caso liberarle, perché la lezione era durata abbastanza.

Sotto la gabbia c’era una specie di laghetto che ad avere una barchetta ci si poteva quasi navigare: le nuvole avevano pianto tutte le lacrime che avevano per la disperazione di essere ingabbiate.

Si erano fatte magre magre e pallide come lenzuoli, tanto che Alfredo quasi non le riconosceva.

“Vedo che vi siete calmate” disse.

“Ti prego, facci tornare libere lassù, nel nostro amato cielo. Non faremo la spia, lo promettiamo!” lo supplicarono in coro.

“Va bene, va bene, vedo che avete imparato la lezione. Ora uscirete e niente scherzi, eh? Tornate lassù e fate le brave, almeno fino al prossimo temporale”.

Aprì la gabbia e le due nuvolette salirono leggere su nel cielo, e siccome erano stanche e deboli per quanto erano dimagrite, si sdraiarono e si misero a dormire.

“Tutto è bene quel che finisce bene,” sentenziò Alfredo, “ora mi merito una bella colazione. Un momento: vedo due uccellini laggiù, somigliano…ma sì! Sono Pik e Pak!”

Erano proprio loro, i canarini che aveva liberato il giorno prima e stavano volando verso di lui.

“Salve Alfredo, “disse Pik, “abbiamo visti laghi e foreste, mari e monti, città e paesi. Ora siamo di nuovo qui, vogliamo andare dalla nostra Alice, ci manca tanto. E chissà quanto le siamo mancati.”

“Ma vi rimetteranno in gabbia. Siete sicuri di volerlo fare? Io non so se riuscirò a liberarvi un’altra volta.”

“Si, vogliamo proprio tornare dalla nostra piccola amica ora, “fece Pak svolazzandogli sulla testa, “abbiamo visto tante cose e assaporato la libertà, torneremo in gabbia solo per mangiare e fare…i nostri bisognini. Siamo sicuri che gli umani, vedendoci di nuovo qui, capiranno che possono lasciare aperta la gabbia perché noi, anche se dovessimo partire di nuovo, torneremo sempre a casa.”

“Forse avete ragione, ragazzi. Auguri, allora. Ci vedremo qui in giro, eh?”

Pik e Pak volarono in casa fischiettando, come se niente fosse.

Dal cortile, Alfredo sentì le grida di gioia della bambina, e la festa che si fece nella grande casa quel giorno.

Gli umani non chiusero mai più Pik e Pak nella gabbia, i canarini volavano liberi e felici in casa e fuori.

Quando la bambina andava a spasso si posavano sulle sue spalle e uscivano con lei, in giro per il paese, tanto che Alice fu presto soprannominata Alice canarina.

Il soprannome se lo tenne stretto anche da grande, quando i suoi amici non c’erano già più.

Quanto ad Alfredo, visse felice e a lungo con la sua famiglia.

I figli crebbero sani e forti, quando anche loro furono padri nonno Alfredo, durante le lunghe sere d’inverno nel fienile, ai nipotini raccontava sempre la storia di quando tutti insieme avevano liberato dalla prigionia i canarini e messo in gabbia due nuvoloni neri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





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2 commenti:

  1. Una bellissima favola, sei proprio molto brava.
    Pensa che io ho un canarino, è il quinto che ho, quando il primo, per una mia distrazione, è volato fuori della gabbia non è più tornato e senz’altro è morto in quanto quella notte è venuto un temporale potente.
    Sono rimasta per quasi vent’anni senza averne più perché avevo sofferto troppo poi una sera di novembre ne ho trovato uno e da allora non so star senza queste meravigliose creaturine. Se ti interessa nella rubrica “Cuccioli di casa” c’è la storia, vera, dei miei animali.
    Mi sono unita al tuo bel blog perché non voglio perderti. Saluti belli.
    sinforosa

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  2. Grazie,
    sei davvero gentile.
    Io sono una fan del tuo blog, il mio non è bello come il tuo ma ti ringrazio per l'apprezzamento, per me conta molto.
    Sono "sparita" negli ultimi tempi un po' perché sono discontinua nel seguire il mio stesso blog e un po' per l'incidente che mi è capitato. Ora sto meglio, spero di riuscire ad essere più presente anche nel commentare i tuoi post,sempre piacevoli e intelligenti. Certe volte vorrei tornare bambina per averti come maestra: conosci una magia? Ciao, a presto
    Barbara

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