Le nuvole in gabbia
Topo Alfredo aveva
fame.
“Tessa, tesoro, che si
mangia stasera?” chiese alla moglie.
“Quello che vuoi, però
prima bisogna far la spesa.”
Tessa stava guardando
la sua fiction preferita alla tv, quando questo succedeva nessuno, nemmeno un
gatto, avrebbe potuto smuoverla.
“Ho capito. Vado io”
disse Alfredo.
“Non tornare con quel
formaggio ammuffito che hai portato ieri, mi raccomando: ci sarà pure qualcosa
di meglio nella dispensa! La muffa fa male alla salute, lo dicono sempre in
tv”.
Alfredo promise, poi
prese la borsa della spesa e uscì fischiettando dal vecchio fienile.
Vivevano lì da
generazioni, lui e i suoi avi.
“Per un topolino di
campagna non c’è un posto migliore di questo” diceva nonno Eraldo.
Alfredo lo ripeteva
sempre alla moglie che sognava di andare ad abitare nella casa padronale, difronte
al fienile.
Topo Alfredo non capiva
come Tessa potesse desiderare davvero di vivere in quella grande casa piena di
rumore e infestata da umani di tutte le grandezze ad ogni ora del giorno e
della notte.
Molto meglio il vecchio
fienile, riservato e silenzioso, dove al massimo si faceva vedere quel tipo
alto alto che lavorava per gli umani, trafficare un po’ con il fieno e poi se
ne andava, lasciando lui e la sua famiglia liberi di scorrazzare come e quanto
volevano.
Alfredo si guardò
intorno per controllare che non ci fosse Fred, il gatto, poi attraversò il
cortile veloce come un fulmine e si infilò in casa passando dalla finestra del
ripostiglio, che era sempre aperta.
Nessun umano
all'orizzonte. Alfredo tirò un sospiro di sollievo: non aveva paura di loro, di
solito riusciva sempre a fargliela in barba, solo facevano troppo rumore per i
suoi gusti. Specialmente quelli di taglia piccola. Gli impedivano la
concentrazione, mentre lui aveva bisogno di averne tanta, in quel momento.
Conosceva la casa come
la sua tana, esplorò tutte le stanze, nel caso ci fosse stato in giro qualche
residuo di cibo; visto che non c’era nemmeno una briciola fuori posto, si
diresse verso la grande cucina, in fondo al corridoio.
La dispensa era una
specie di vecchia cassapanca che stava proprio sotto la finestra, c’era una
fessura in basso, da lì Alfredo scivolava dentro senza difficoltà e andava a
far man bassa di cibarie.
Anche quel giorno
Alfredo il topo si infilò nella dispensa e cominciò a rovistare con energia.
Era una buona giornata,
c’erano provviste da mangiarci un anno intero. Alfredo prese tutto quello che
le sue zampette poterono arraffare, riempì il sacco che aveva con sé e scappò
via.
Era già alla finestra
quando lo sguardo gli cadde su due canarini chiusi in una gabbia che entrando
non aveva notato.
“Poverini, come fate a
resistere chiusi in una gabbia?” chiese il topo scuotendo il muso appuntito.
“Non abbiamo scelta, ci
hanno chiusi qui tanto tempo fa” rispose Pik, il più vivace dei due.
“Sono stati gli umani,
immagino.”
“Sì, sono stati loro,”
disse Pak,“ma non per cattiveria, sono convinti di volerci bene. Scappare,
dici? Fosse facile! L’unica speranza è la piccola, quella che chiamano Alice.
Lei apre spesso la gabbia ma ogni volta l’umana grande arriva in tempo a
fermarla.”
“Uhm, allora è presto
fatto. Bisogna attirare l’attenzione di questa…Alice e distrarre la grande. Ci
penso io.”
“Davvero ci aiuteresti?”
chiesero in coro i canarini.
“Certo! Datemi solo il
tempo di tornare nella tana a portare le provviste e poi torno con i rinforzi.”
Tornato a casa Alfredo chiamò
subito a raduno i suoi piccoli.
“C’è una missione da
compiere, venite con me” disse.
“Missione? Quale
missione?” chiese preoccupata la moglie, che da lui se ne aspettava sempre una.
“Si tratta di aiutare
due canarini chiusi in gabbia. Ho bisogno di uno di voi, ragazzi: chi viene ad
aiutarmi?”
Figuratevi!
“Io!” “Io!” gridarono i
topolini, spingendosi l’un l’altro.
“Basta, basta, se fate
così decido io. Viene con me…tutti e due. Andiamo, non c’è tempo da perdere.”
“Alfredo, sei sicuro
che non ci sia pericolo? I piccoli…” chiese di nuovo la moglie.
“Stai tranquilla, ci
sono io a proteggerli. Saremo prudentissimi. Tu intanto apparecchia la tavola
che fra poco si mangia”.
Topo e topolini
attraversarono di corsa il cortile, presero per la solita finestra ed entrarono
in casa.
Alfredo chiese ad
Augusto, il più piccolo dei suoi figli, di cercare l’umana di nome Alice per
farsi seguire da lei fino alla gabbia, e al più grande, che si chiamava Adelmo,
di tirarsi dietro l’umana grande in modo che non corresse dietro alla figlia, come
faceva sempre, per impedirle di aprire la gabbia.
I topolini obbedirono
felici, fregandosi le zampe.
Augusto trovò Alice in
cucina, stava mangiando una caramella e non gli badava, nonostante lui facesse
mille smorfie per farsi notare.
Alla fine fu costretto
a farle il solletico ai piedi, la bambina abbassò lo sguardo e finalmente lo
vide.
“Uh, che carino!”
esclamò.
Augusto filò via subito
verso la stanza dove era appesa la gabbia, voltandosi continuamente indietro
per vedere se la bambina lo seguiva.
La piccola non deluse le
sue aspettative. Appena fu davanti alla gabbia, come al solito, l’aprì.
E l’umana grande? Era
in cortile, alle prese con Adelmo, gli stava correndo dietro con la scopa in
mano.
Alice prese in mano i
due canarini e cominciò a vezzeggiarli, dimentica ormai del topolino.
Fu facile per Pak e Pik
sfuggirle dalle manine. Volarono via in un attimo, e ringraziando topo e
topolini, si allontanarono tra gli alberi e ciao.
I nostri roditori,
trionfanti dopo la felice impresa, stavano facendo ritorno al fienile quando
due nuvole scure come la notte li chiamarono dal cielo.
“Ehi, voi, non crederete
mica di farla franca? Vi abbiamo visti. Avete fatto scappare i canarini, ora lo
diremo agli umani e vi scateneranno contro il gatto Fred.”
“Abbiamo fatto una
buona azione, erano in gabbia e soffrivano. Perché volete fare la spia?” disse
Alfredo con tono supplichevole.
“Perché vi abbiamo
visti e lo vogliamo dire. E poi perché oggi siamo arrabbiate: non vedi come
siamo nere? Qui tra poco faremo un temporale che neanche te lo immagini, caro
il mio topo!”
“E sia! Se volete
proprio farci un dispetto, allora in gabbia ci mettiamo voi due, così vediamo
se vi piace” disse Alfredo agitando le zampine.
“Le nuvole in gabbia,
figurati! E come pensi di chiuderci? Noi siamo fatte d’acqua, sciocco di un
roditore.”
“C’è poco da ridere.
Ora vi faccio vedere io!”
Alfredo tornò nella
grande casa, dove nel frattempo era scoppiato un putiferio perché la fuga dei due
uccellini era stata scoperta.
In quel trambusto
nessuno si accorse del topo che prese indisturbato la gabbia e svelto svelto se
ne tornò in cortile.
“Ecco,” fece Alfredo,
“ora vedrete come vi ci infilo, o non mi chiamo più Alfredo”.
Le nuvole fecero una
smorfia come per dire Povero illuso,
a dire il vero nemmeno il topo sapeva come fare a imprigionarle, ma voleva a
tutti costi dare una lezione a quelle due sbruffone e lì per lì si inventò una
formula che se non sbaglio diceva così:
“Topin topetto, io sono
un maghetto. Topin topolone, chiudi qui dentro quel nuvolone.”
Detto, fatto.
Una nuvola era già
imprigionata.
Il primo a sorprendersi
fu proprio Alfredo.
“Tirami subito fuori da
qui!” gridava la malcapitata, ma Alfredo faceva finta di non sentire e intanto si
preparava a ingabbiare anche la seconda.
“Topin topetto, io sono
un maghetto. Topi topolone, chiudi dentro anche quest’altro nuvolone”.
E l’altra nuvola era
bella che chiusa.
Il fatto è che per
quanto si sforzassero e si spremessero per sgocciolare via, le prigioniere non
riuscivano a fare nemmeno una gocciolina. Più che nuvole sembravano due pietre,
compatte e ferme dentro la loro prigione.
“Ma come avrò fatto? “si
chiese Alfredo grattandosi la testa.
“E ora divertitevi un po’ voi a stare in
gabbia, “soggiunse il topo,” io e i miei topolini andiamo a pranzo,
arrivederci”.
Appese la gabbia a un
gancio dietro il fienile e se ne andò a mangiare con la sua famiglia.
Avevano un bell’urlare
e inveire, le nuvolone, sempre più nere per la gran rabbia. Alfredo non ci
pensava nemmeno a farle uscire. Per il momento.
“Che stiano almeno un
giorno e una notte a meditare sulla loro cattiveria” disse alla moglie che quasi
quasi si era impietosita.
Il giorno dopo il
nostro topo si alzò di buon mattino, voleva vedere cosa facevano le due
prigioniere e se era il caso liberarle, perché la lezione era durata
abbastanza.
Sotto la gabbia c’era
una specie di laghetto che ad avere una barchetta ci si poteva quasi navigare: le
nuvole avevano pianto tutte le lacrime che avevano per la disperazione di essere
ingabbiate.
Si erano fatte magre
magre e pallide come lenzuoli, tanto che Alfredo quasi non le riconosceva.
“Vedo che vi siete
calmate” disse.
“Ti prego, facci
tornare libere lassù, nel nostro amato cielo. Non faremo la spia, lo
promettiamo!” lo supplicarono in coro.
“Va bene, va bene, vedo
che avete imparato la lezione. Ora uscirete e niente scherzi, eh? Tornate lassù
e fate le brave, almeno fino al prossimo temporale”.
Aprì la gabbia e le due
nuvolette salirono leggere su nel cielo, e siccome erano stanche e deboli per
quanto erano dimagrite, si sdraiarono e si misero a dormire.
“Tutto è bene quel che
finisce bene,” sentenziò Alfredo, “ora mi merito una bella colazione. Un
momento: vedo due uccellini laggiù, somigliano…ma sì! Sono Pik e Pak!”
Erano proprio loro, i
canarini che aveva liberato il giorno prima e stavano volando verso di lui.
“Salve Alfredo, “disse Pik,
“abbiamo visti laghi e foreste, mari e monti, città e paesi. Ora siamo di nuovo
qui, vogliamo andare dalla nostra Alice, ci manca tanto. E chissà quanto le
siamo mancati.”
“Ma vi rimetteranno in
gabbia. Siete sicuri di volerlo fare? Io non so se riuscirò a liberarvi un’altra
volta.”
“Si, vogliamo proprio tornare
dalla nostra piccola amica ora, “fece Pak svolazzandogli sulla testa, “abbiamo
visto tante cose e assaporato la libertà, torneremo in gabbia solo per mangiare
e fare…i nostri bisognini. Siamo sicuri che gli umani, vedendoci di nuovo qui,
capiranno che possono lasciare aperta la gabbia perché noi, anche se dovessimo
partire di nuovo, torneremo sempre a casa.”
“Forse avete ragione,
ragazzi. Auguri, allora. Ci vedremo qui in giro, eh?”
Pik e Pak volarono in
casa fischiettando, come se niente fosse.
Dal cortile, Alfredo
sentì le grida di gioia della bambina, e la festa che si fece nella grande casa
quel giorno.
Gli umani non chiusero
mai più Pik e Pak nella gabbia, i canarini volavano liberi e felici in casa e
fuori.
Quando la bambina andava
a spasso si posavano sulle sue spalle e uscivano con lei, in giro per il paese,
tanto che Alice fu presto soprannominata Alice canarina.
Il soprannome se lo
tenne stretto anche da grande, quando i suoi amici non c’erano già più.
Quanto ad Alfredo,
visse felice e a lungo con la sua famiglia.
I figli crebbero sani e
forti, quando anche loro furono padri nonno Alfredo, durante le lunghe sere
d’inverno nel fienile, ai nipotini raccontava sempre la storia di quando tutti
insieme avevano liberato dalla prigionia i canarini e messo in gabbia due
nuvoloni neri.
Una bellissima favola, sei proprio molto brava.
RispondiEliminaPensa che io ho un canarino, è il quinto che ho, quando il primo, per una mia distrazione, è volato fuori della gabbia non è più tornato e senz’altro è morto in quanto quella notte è venuto un temporale potente.
Sono rimasta per quasi vent’anni senza averne più perché avevo sofferto troppo poi una sera di novembre ne ho trovato uno e da allora non so star senza queste meravigliose creaturine. Se ti interessa nella rubrica “Cuccioli di casa” c’è la storia, vera, dei miei animali.
Mi sono unita al tuo bel blog perché non voglio perderti. Saluti belli.
sinforosa
Grazie,
RispondiEliminasei davvero gentile.
Io sono una fan del tuo blog, il mio non è bello come il tuo ma ti ringrazio per l'apprezzamento, per me conta molto.
Sono "sparita" negli ultimi tempi un po' perché sono discontinua nel seguire il mio stesso blog e un po' per l'incidente che mi è capitato. Ora sto meglio, spero di riuscire ad essere più presente anche nel commentare i tuoi post,sempre piacevoli e intelligenti. Certe volte vorrei tornare bambina per averti come maestra: conosci una magia? Ciao, a presto
Barbara