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mercoledì 2 maggio 2018

I have a dream...

Non so voi, ma io sogno un mondo verde.

Nella mia fiaba il sogno si realizza.

Buona lettura.











Il regno di pietra
Barbara Cerrone




C’era una volta un bosco...fin qui niente di strano, vero?
Il fatto è che il bosco in questione era nato,quasi per una distrazione degli umani, dentro una città fortificata dove il re aveva proibito di far crescere qualunque pianta, perfino il colore verde era vietato, e chi lo indossava veniva messo a morte.
Il suo regno fuori dai confini era conosciuto come il regno di pietra, e di sole pietre era fatto, senza l’ombra di un prato o di un fiore.
Il re aveva stabilito che anche le terre  da coltivare fossero  poche, troppo poche per sfamare quella povera gente che spesso soffriva la fame, mentre lui si faceva mandare pane e companatico dal ricco e prosperoso regno di un monarca suo amico e gozzovigliava, mangiando delizie e primizie di  ogni sorta.
Accadde un giorno che il re, di ritorno dall'ultima guerra, per caso alzasse lo sguardo verso l’alto e vedesse le cime degli alberi del bosco svettare ondeggiando al vento.
“Alberi! ” gridò in preda all'ira.”Un bosco nel mio regno? Com’è successo? Guardie,ministri, ciambellani:a me! Che quegli alberi siano subito abbattuti  o saranno le vostre teste a cadere!”
Quei poveretti non se lo fecero dire due volte,  si affannarono  subito a cercare boscaioli e taglialegna, e chi non riusciva a trovarne uno correva a prendere la scure  e si arrangiava da solo per far vedere la buona volontà.
Picchia e taglia ne abbatterono una decina, ma il re non era ancora soddisfatto.
“Tutti, tutti! Dovete tagliarli tutti! ” starnazzava correndo come un pazzo da una stanza all’altra della reggia.
Il fatto è che quel sovrano al posto del bosco voleva costruire un altro palazzo, per la gloria sua e del suo regno di pietra, e gli architetti, gli ingegneri e tutti i gran cervelli del momento già si sentivano le tasche gonfie delle  monete d’oro che il re aveva promesso a chi avesse presentato il progetto più ambizioso.
In tutto quel trambusto c’era anche chi non si curava affatto di ciò che stava accadendo, Mercuzio, ad esempio, dormiva come un ghiro disteso sul pagliericcio nella stalla.
Non si era accorto, il buon stalliere del re, che intorno a lui c’era tutta quella agitazione e pigro com'era non se ne voleva proprio accorgere.
Non era un cattivo soggetto, Mercuzio, ma la sua infingardaggine era nota in tutto il regno; il re aveva spesso minacciato di licenziarlo ma lui trovava sempre qualche scusa e alla fine il re se lo teneva perché come stalliere era il più bravo e i suoi cavalli gli erano così affezionati che lo seguivano ovunque egli andasse.
Mercuzio, dicevamo, dormiva lietamente nella stalla mentre il re gridava e i taglialegna si affannavano ad abbattere tutti quegli alberi meravigliosi.
Era proprio nel bel mezzo del suo riposino quando la fata Misurina lo svegliò.
“Mercuzio, Mercuzio: svegliati!”
“Oh, oh, chi mi chiama?” fece Mercuzio aprendo a malapena gli occhi.
“Sono io, mi vedi? La fata Misurina, sono qui per darti un bell’incarico e se lo fai a modo sarai il più ricco e il più felice di tutto il regno.”
“Ricco? Io? Ti ascolto.”
“ Il gran consiglio delle fate  ha deciso. il bosco deve essere salvato e  tu sei stato scelto per l’impresa. Le mie sorelle sono stanche di veder distruggere il verde in questo triste regno. Se riuscirai avrai il tesoro nascosto nella grotta del sorriso.”
“Magari! Eccomi qua, sono pronto. E poi, detto fra noi, il verde piace anche a me e sono stanco di vedermi intorno solo pietre. Che cosa devo fare?”
“Con una scusa sospendi il taglio degli alberi,  aspetta che faccia buio, vai nel bosco ma cammina sempre dritto, non girare mai né a destra né a sinistra o ti perderai. Cammina cammina arriverai davanti ad una casa: non esitare, entraci subito, o la porta si chiuderà per sempre.
 Al centro della stanza vedrai un tavolo con  una zolla, prendila e portala qui ma attento a non perderne neanche un granello, poi mettila davanti alla porta del palazzo reale e vai a dormire nella tua stanza come al solito.”
Dette queste parole la fata scomparve in un baleno, come sono solite fare le fate, specie se hanno fretta.
Mercuzio non pose tempo in mezzo e corse subito a sbrigare quella faccenda.
Prese i cavalli, gli sussurrò due paroline all’orecchio e quelli si lanciarono come furie addosso ai taglialegna che presero a fuggire qua e là, terrorizzati, e non ci fu guardia armata che poté farli tornare indietro a  rischiare di finire sotto gli zoccoli di quelle bestie inferocite.
“E questa è fatta” disse tra sé Mercuzio, “ al re dirò che i cavalli sono impazziti per il rumore che facevano tutte quelle scuri e che domani darò loro una pozione per calmarli.”
Il re si bevve quella bella storia e Mercuzio si dispose ad aspettar la sera.
Quando calò il buio si incamminò tutto baldanzoso verso il bosco ed eseguì a puntino il piano della fata.
Tornato a casa, mise la zolla  davanti alla porta del palazzo, chiuse la stalla e andò a dormire in santa pace.
Il giorno dopo il re fece per affacciarsi alla finestra ma questa era bloccata e non si apriva. Allora chiamò le guardie ma nemmeno loro riuscirono ad aprirla, provarono perfino con l’ariete: nulla.
Il bello era che tutte le finestre erano sigillate, come se qualcuno nella notte le avesse inchiodate al muro.
“Proviamo ad aprire la porta” disse il re che già cominciava a spaventarsi.
Niente. Nemmeno la porta si apriva.
Il sovrano allora si mise a urlare all’attentato, corse di qua, pianse di là, tutta la corte udì le sue grida e i suoi lamenti ma nessuno sapeva cosa fare.
E nel bel mezzo di tutto quel trambusto eccoti comparire la fata Misurina.
“Non ti affannare, re della pietra, la terra si vendica e tu non puoi farci nulla! Intorno al tuo palazzo nella notte è cresciuta una foresta di alberi, arbusti, di rampicanti e di edera vischiosa che tiene il tuo palazzo nel suo pugno verde. Non puoi uscire, non puoi affacciarti. Rassegnati, sei prigioniero.”
“Ma ci sarà un modo per salvarsi, aiutami,fata!” la implorò il re.
“Un modo ci sarebbe. Devi pentirti per tutti gli alberi che hai fatto abbattere, per tutto il verde che hai distrutto, e lasciare che il bosco viva in pace. Non solo, prometti che farai nascere ovunque nel tuo regno orti e giardini, e che d’ora in poi  smetterai di costruire solo palazzi e lascerai che la terra da coltivare sia abbastanza da sfamare tutti i tuoi sudditi.
Lascia che il tuo regno diventi finalmente come un giardino dove l’amore per le piante sia secondo solo a quello per le persone. Soltanto così ti salverai, ma bada: non fare imbrogli o finirai sepolto nella tua stessa reggia.”
Il re, che tremava come una foglia, giurò e spergiurò che avrebbe fatto del suo paese un paradiso e subito si mise a dare ordini.
Nello stesso istante la morsa del verde lasciò il palazzo e porte e finestre si aprirono, leggere come l’aria.
“Tutto grazie a una zolla di terra!” esclamò Mercuzio  correndo a prendere il suo premio.
La fata Misurina  lo aspettava già nella grotta del sorriso.
.“Ecco, tutto questo è tuo,” disse,” fanne buon uso.”
E scomparve un’altra volta, benedetta fata.
Mercuzio si riempì le tasche di gioielli e monete d’oro e tornò a casa più allegro di un fringuello.
E il re? Mantenne la promessa. Piantò alberi, giardini e orti dappertutto.
La gioia si diffuse con il profumo dei fiori, i contadini ebbero terra da coltivare in abbondanza e il cibo non mancò mai più a nessuno nel regno che era stato delle pietre.

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