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lunedì 7 maggio 2018

Il diavolo e il contadino - omaggio alla fiaba popolare italiana


Il mondo contadino, così come ce lo hanno raccontato, da noi è scomparso.
Ma le radici non si devono negare né recidere, perché fanno parte di noi, di quel che siamo, nonostante la tecnologia e il benessere che sembrano contraddistinguere la nostra epoca.
In omaggio a quelle radici, dunque, e alla fiaba popolare italiana che spesso ha per protagonisti i coltivatori della terra, ecco la mia piccola  storia.








Il diavolo e il contadino
Barbara Cerrone


Un giorno un contadino, mentre zappava nel campo, fu avvicinato da un uomo tutto vestito da gran signore che gli parlò così:
“Buongiorno, come state buon uomo? Vi rende questa terra?”
“Così, così, signor mio. Si campa a stento.”
“Eh, vi capisco, ma oggi è il vostro giorno fortunato.”
“E perché mai?” disse il contadino fermandosi a squadrarlo bene. “Che giorno è oggi che porta fortuna a un contadino?”
“E’ il giorno in cui mi avete incontrato e con me vien la fortuna.”
“Ah, e chi siete? Un mago?” rispose lo zappaterra col riso che gli increspava tutto il viso.
“Un mago no, ma ci siete vicino…ho dei poteri che neanche immaginate. Se non credete prendete questo germoglio e piantatelo subito: vi cresceranno dei meli che faranno mele d’oro e in capo a un anno sarete ricco più del conte che vive nel castello.”
“Sì, ci credo, “fece il contadino, “ce n’è di gente che crede di imbrogliare noi villici pensando d’esser più furba e noi dei tonti!”
“No, caro mio, è proprio perché vi so una gran mente che vi propongo ora quest’affare. Certo, c’è un prezzo da pagare, ma si sa che nulla è regalato nella vita.”
“Ah, c’è la gabola…dicevo io! E quale sarebbe questo prezzo, il mio signore? Volete fare a metà o vi prendete tutto?”
“No, niente di tutto questo, son ricco più del re, non ho bisogno. Io sono un cercatore.”
“Di che? D’oro, per caso?”
“D’anime belle e pure, figlio mio, son quelle che catturo.”
“D’anime, dite? Oh, non sarete mica…”
“Sissignore, vedo che hai capito: son proprio lui, quello che il prete odia più di tutto.”
“E mica solo il prete, pure io vi odio e vi scaccio senza meno.”
“E la ricchezza? E l’oro?”
“Camperò come son sempre campato. Andate via, brutto mostro, e non ricomparite o v’infilo da parte a parte col forcone”.
Il diavolo, perché era proprio lui, vista la mala parata se ne andò tutto storto, col proposito di rifarsi all'occasione.
Il giorno dopo mentre il contadino zappava ancora nel suo campicello ecco che ritorna quel satanasso, a cavallo di un destriero tutto nero, come l’animaccia sua.
“Eh, dura la terra, contadino, vero?” fece quel demonio tutto baldanzoso. “Ma se tu mi dessi retta in poco tempo ti scorderesti la zappa e anche la terra.”
“Un contadino non si scorda mai la terra,” rispose il contadino, “siamo un tutt'uno io e lei, è come se fosse  la mia sposa. Lasciami, infame, che con me non hai da far nulla!”
“Dici così, ora, ma aspetta che ti arrivi fra capo e collo una bella carestia e poi ne parliamo, zotico sciocco. Stammi bene, per quel che puoi” disse ridendo il mostro, e se ne andò.
Passa un altro giorno e torna il diavolaccio, questa volta in carrozza. 
Si ferma, vede il contadino come sempre chino sulle zolle e dice:
 ”Olà, pezzo d’idiota, ti annuncio presto presto gran disgrazie, grandine, poi siccità, poi le locuste, poi anche la fame nera e se mi va anche la peste. Preparati, tu che facevi tanto il sostenuto, e sappimi dire, quando tornerò, se ancora mi disprezzi o accetti il patto”.
Il contadino gli fece segno di andare al posto suo, cioè al diavolo, poi tornò a lavorar la terra e fece come se non esistesse. Il demoniaccio fuggì ancora ma nella testa aveva gran vendetta.
Passa un altro giorno ancora e viene Belzebù con tre carrozze, guidate ciascuna da un bello scheletrino fresco fresco di cimitero.
“Buongiorno, schiavo della terra! Senti, che ne pensi se smettiamo le polemiche e diventiamo amici? Non ti manderò né peste né carestia, ti prometto una grande eredità. Terra feconda a iosa, tanta da non poterla più lavorare da solo, sarai un gran signore e caverai tante di quelle messi dalla terra da sfamarci tutto il paese e quelli più vicini. Dimmi che mi dai l’anima e sarà tutto fatto.”
“La terra è buona se non è rubata o maledetta, “ rispose il contadino, “ la tua puzza di zolfo e fa le messi amare. Buona giornata a te e a quei poveretti che ti porti dietro”.
Anche questa volta quel dannato restò deluso e con le corna rotte, ma diavolo era diavolo e non sapeva rinunciare al suo sporco bottino, così tornò alla carica il giorno che seguì. “‘Eccoti, poveretto: com'è oggi il tuo sudore? Sa più di sale o sa d’amaro? Via, rifletti su ciò che ti conviene.”
“Ho riflettuto, bestiaccia che sei, e ora penso di essermi anche troppo divertito: ecco la mia riflessione e buon pro ti faccia” e nel dir così tirò fuori un crocefisso tutto intriso d’acqua benedetta e glielo mise dritto davanti a quegli occhiacci neri. 
“Ahi! Ohi! Uhi!”
Che lamenti si levarono verso il cielo! Ma erano del demonio e ricaddero subito come piombo sopra la terra e poi giù nel profondo, in quell'inferno da dove era venuto e dove si conobbe la misura del suo fallimento.
Fu relegato a compiti umilianti, quel diavolo sciocco e presuntuoso.
Dal canto suo, il contadino riprese subito a lavorar la terra, guardando il cielo per indovinar la pioggia.




1 commento:

  1. Cara Barbara mi fa piacere che ti sia decisa ad aprire il blog. Oggi ti ho citato proclamandoti vincitrice del gioco di ieri. Se inserisci i lettori sarò la tua prima lettrice. Forza, su, che altri mi seguiranno e diventeranno i tuoi lettori. Buona serata.
    sinforosa

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