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lunedì 25 giugno 2018

Campane addormentate


Un'altra fiaba che trova ispirazione nella tradizione popolare, dove diavoli e diavoletti complicano spesso la vita a poveri contadini, preti e varia umanità ma per fortuna tutto è bene...eccetera, eccetera.

Buona lettura.








Le campane addormentate
Barbara Cerrone




Le campane addormentate

 

 

C’era una volta un bellissimo paese dove la gente viveva felice e in pace con tutti.

La chiesa di questo villaggio era piccola ma molto bella, e aveva le campane più famose della vallata.

Suonavano così bene che venivano a sentirle dai paesi vicini, come fosse un concerto.

I campanari del paese, poi, erano fra i più rinomati, e vincevano gare su gare, portando a casa fior di trofei.

Il sagrestano era così orgoglioso di quelle campane che le lustrava come l’argenteria, dimodoché queste brillavano al sole, richiamando l’attenzione di tutti coloro che passavano da quelle parti.

Niente turbava la serenità di quella gente, nessun litigio, nessuna guerra, tutti lavoravano e vivevano tranquilli, secondo le proprie possibilità.

Accadde una mattina che l’anziano parroco si svegliasse più presto del solito.

Si alzò che la perpetua non era ancora arrivata a preparargli il caffè, guardò su, nel cielo, e vide che era ancora buio.

“Uhm, troppo presto, stamani. Vuol dire che tornerò a letto, anche se non ho sonno riposerò le mie gambe”.

Si distese nel lettuccio e provò a chiudere gli occhi ma un rumore lo fece scattar su come una molla.

“Chi è? Che succede?” gridò.

Nessuna risposta.

Si convinse allora che era stato un topo giù in cantina e tornò a sdraiarsi.

Ma ecco di nuovo il rumore, più forte di prima.

“Insomma, chi è là?” fece alzandosi dal letto.

Anche questa volta non ci fu risposta e il parroco decise di andare a vedere.

Aveva paura ma procedeva come se non ne avesse avuta perché, pensava, un ministro di Dio non può mostrarsi timoroso, confida nel Signore che è il suo baluardo, perciò non teme nulla. 

Se lo diceva mentre si dirigeva piano piano, circospetto, verso la cucina.

Se lo diceva e se lo ripeteva ma di paura ne aveva eccome, povero parroco, che in fondo era pur sempre un essere umano.

In cucina non c’era nessuno, e nemmeno nella piccola stanza da bagno, nell’ingressuccio o in cantina.

“Che sarà stato, allora?”  si chiese.

Di lì a poco bussò alla porta la perpetua.

“Che ha,” chiese entrando, “sembra un morto...che le è successo?”

“Nulla, Bertina, è solo che ho sentito un rumore e non capisco da dove viene. Qui non c’è nessuno.”

“E se non c’è nessuno vuol dire che era un rumore da poco” disse la perpetua, sbrigativa.      

“Sarà così” rispose il parroco, e si dispose a dir messa come ogni mattina.

Il rumore, però, si rifece vivo.

“Ah, sentito, Bertina? Qui c’è qualcuno nascosto.”

Bertina era una brava donna, puliva, pregava e faceva il suo dovere ma quanto a sentire...

“Eh, come? Io non ho sentito nulla!” borbottò mentre spolverava le mensole in cucina.

“Eh, già, siamo sordi, siamo! Come al solito dovrò sbrigarmela da solo”.

Il buon prete si fece coraggio, e si diresse come uno sparviero verso la cantina, dalla quale il rumore sembrava provenire.

Quando fu davanti alla porta, un topo, neanche troppo grosso, gli si fece incontro con aria minacciosa, alzandosi sulle zampette che pareva un leone arrabbiato.

“Tu, dove pensi di andare? Io sono qui per rovinarti la festa! “Gridò il topo.” E te la rovinerò. Non passerà un minuto che tu, e le tue campane, cadrete in un sonno profondo e  i cari compaesani se vorranno assistere alla Messa  dovranno far dei chilometri, fino al paese vicino, perché la tua chiesa da questo momento è sotto  la mia giurisdizione. Nessun prete ti potrà sostituire, perciò niente più messe e niente più preghiere. E ringrazia che ti addormento e non ti ammazzo!”

Figuratevi il parroco! Capì subito chi gli stava davanti e corse a prendere l’acqua benedetta ma non fece in tempo a fare un passo che già dormiva, e con lui le sue campane, che sembravano legate come prima di Pasqua.

La notizia corse velocissima sulle bocche stupite dei paesani: la buona perpetua, accortasi dell’accaduto, non perse tempo ad informare tutto il paese, e il paese tutta la vallata.

Si tentò di chiamare un prete esorcista ma il più vicino era in pellegrinaggio e non sarebbe tornato che dopo qualche mese. Ne fu convocato un altro che, a quei tempi, per arrivare fin lì avrebbe comunque impiegato il suo bel tempo, intanto i fedeli si dovevano arrangiare se volevano assistere alla Santa Messa.

Ebbe così inizio un via vai di fedeli fra il paese colpito dal maleficio alle chiese più vicine, via vai che faceva somigliare quella brava gente devota a una fila di formiche in cammino verso una briciola di pane.

Passò un mese, il parroco dormiva ancora della grossa, appoggiato sul lettino sistemato dalla fedele perpetua con quattro cuscini, come fosse un re.

Giunse dalla città la notizia di un incidente capitato all’esorcista che veniva da lontano.

Come se non bastasse quel che è successo e Le disgrazie non vengono mai sole furono i commenti della gente, assai poco originali, ma di originale c’era già un prete che dormiva da un mese e un maledetto maleficio che colpiva le campane e la chiesa, per quella gente era già abbastanza.

L’esorcista, nel tentativo di cacciare un diavolo dal corpo di un anziano contadino quasi alla fine della propria vita, per lo sforzo immane era caduto dentro una fossa, e lì si era spiacevolmente accorto che una delle sue robuste gambe non aveva gradito il volo e si era, guarda un po’, proprio rotta, costringendolo a star fermo per un pezzo.

E ora che si fa?  Fu il seguito del commento, anche questo poco originale ma che ci potevano fare se il problema era proprio quello: che fare?

Fra tante facce costernate e incerte, si fece avanti un giovanotto dal fisico robusto e il cuor di leone, proprio come si addice a un giovane che non conosce il pericolo e ci va incontro come ad una festa.

Disse, con gran baldanza, che avrebbe tolto lui le castagne dal fuoco e il parroco dal letto.

“Che ci vuole? Basta stanare il topo invasato e fargli uscire a forza quel demoniaccio dal corpo. Ci penso io, non occorre il prete.”

Gli occhi della gente fecero un domino nel guardarsi l’un l’altro, l’ultimo sguardo ritornò al ragazzo che se lo prese e ridendo disse:

“Non vi preoccupate, me la cavo. Sono grande e grosso e il topo è piccolo, glielo caccio io il demonio dal corpo”.

Fu inutile ricordare al ragazzotto che non era tanto questione di forza quanto di preghiere, di autorità nel cacciar diavoli e di esperienza, infine, che solo un prete esorcista poteva avere; fece spallucce, poi prese un bastone e se ne andò a caccia del topo come un gatto.

Rivoltò la casa da cima a fondo finché non lo trovò, quel maledetto, col naso ficcato nel formaggio.

“Eccoti qua, ora ti sistemo a dovere!” gli urlò roteando il bastone.

Ma il topo, invasato, era più forte di lui.

Con i denti aguzzi gli diede un morso sulla mano e così forte che lo costrinse a lasciare cadere il bastone, il topo fu lesto a raccoglierlo e cominciò a picchiarlo.

Ne prese così tante, quel povero ragazzo, che quasi ne moriva o giù di lì.

Scappò, approfittando di un momento di distrazione di quell’ infame, e non si ebbero più notizie di lui per anni e anni.

Appena fu noto l’esito della missione lo sconforto si impadronì di nuovo di quel popolo smarrito.

“E ora cosa ci si inventa?” questa la domanda che ora circolava di bocca in bocca.

Venne su un vecchio, un anziano che andava in chiesa tutti i giorni e pregava come un santo.

Gli dissero:” Per carità! Vuoi morire? Quel topo ha il maligno in corpo e ti ucciderà!”

Il vecchio, però, non volle saperne e andò deciso incontro al suo destino.

Trovò il topo ma non lo sfidò. Non aveva armi, solo il suo rosario.

Si mise a sedere davanti a quella bestia cominciò a sciorinare preghiere su preghiere.

Il topo gli vomitava addosso tutti gli insulti che il suo infame ospite gli suggeriva, finché gli insulti non gli bastarono più e passò all’azione.

Gli si avventò contro come una furia e prese a morderlo con tutte le sue forze.

Il vecchio sanguinava, aveva il corpo piagato dalle ferite ma continuava a pregare e a pregare, con più fervore, semmai.

Continuò fin quasi all'alba, le sue forze erano esaurite e pensava già di morire quando finalmente il topo ebbe un sussulto e stramazzò a terra che sembrava morto.

Nello stesso istante dalla sua bocca uscì una melma nera e fetida che a contatto con l’aria si dissolse e sparì.

Il topolino, allora, aprì gli occhietti furbi e si rialzò, correndo via veloce.

“Venite, fratelli, è tutto finito!” urlò il vecchio.

Una fiumana di gente si riversò nella casa e gli si fece attorno: medicarono le sue ferite, lo abbracciarono, lo acclamarono come un eroe e lo portarono in trionfo giù per strada.

Le campane suonarono a festa e il parroco finalmente si svegliò gridando il nome della perpetua, che non lo sentì perché la sua sordità era rimasta tale e quale.

Nella chiesa si riprese a celebrare la messa e in paese tornò la felicità che non se ne andò più, perché fra quella brava gente ci si trovava bene. Molto bene.


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