Quando l'affetto vince anche il più terribile degli incantesimi...
Buona lettura
Fiori di pietra
L’inverno si era rifatto vivo, in paese, crudo e
cattivo come se fosse appena cominciato.
“Stai a vedere che adesso nevica” disse la madre
sbattendo le uova.
Gemma sorrise: come poteva nevicare in pieno mese di
maggio? Sua madre esagerava. Era solo un capriccio momentaneo del tempo e poi
sarebbe tornato il caldo, lo aveva sentito alla televisione.
“No, mamma, non nevicherà. Farà solo un po’ più
freddo, per qualche giorno, e poi ci sarà di nuovo il sole.”
“Uhm, eppure una volta è successo, sì, la neve a maggio…ero
una ragazzina. Che rabbia! Avevo già messo la maglietta con le maniche corte.
Se ora fa uno scherzo del genere poveri i miei fiori!”
Gemma sorrise di nuovo. Per la madre i fiori erano
come altri figli, ci teneva tanto; li coccolava; li curava; le ore più belle
della sua giornata le passava in giardino, a parlare con le piante.
“Non nevicherà, mamma, e i tuoi fiori staranno
benissimo”.
Le parve che a quelle parole il viso di sua madre si
distendesse, come se avesse avuto solo bisogno di essere rassicurata. La vide
gettare all'indietro la testa per scostare i riccioli scuri dalla fronte mentre
accennava un sorriso.
Gemma riprese a fare i compiti, la mamma infornò il
dolce che avrebbe servito a cena.
Verso sera tornò anche il padre di Gemma. Era stanco,
aveva avuto una brutta giornata e non voleva quasi parlare.
Gemma gli ronzò intorno per un po’, tentò di
raccontargli della mamma e della sua paura che nevicasse ma lui era distratto e
non sembrava disposto ad ascoltarla.
Capita agli adulti di essere troppo stanchi, Gemma
lo sapeva e non se la prese troppo. Avrebbe parlato con il padre la mattina
dopo, con una bella notte di sonno sarebbe stato più disponibile.
La cena fu particolarmente buona, quella sera,
c’erano i piatti che a Gemma piacevano di più e la torta, che era da leccarsi i
baffi. Poteva andare a dormire
soddisfatta, magari dopo un po’ di tv e le solite coccole a Teo, il gatto.
Il giorno dopo un insolito chiarore la svegliò prima
del solito. Si affacciò alla finestra: neve! Fuori il giardino era tutto
imbiancato.
“Mamma, mamma, hai visto?” Disse correndo in cucina.
“La neve! La neve a maggio, mamma.”
“Che ti avevo detto? Sono cose che possono
succedere. Io me lo sentivo, ieri, e poi il meteo aveva parlato di
precipitazioni nevose a bassa quota. Però, i miei poveri fiori! Dovrò coprirli
per proteggerli, non vorrei che stanotte ci fosse una gelata. Questo tempo
folle non si sa cosa ti può combinare.”
“Prepiciti…sì, insomma, io non avevo sentito di
queste prepiticipi…come si chiamano. E ora? Chissà se chiudono la scuola.”
“Internet non funziona oggi, non posso collegarmi
col sito della scuola o del comune per vedere se ci sono comunicazioni. Ora
chiamo la mamma di Clotilde, lei abita vicino alla tua maestra, magari si sono
già parlate.”
Gemma guardò la madre allontanarsi a caccia del
telefonino che lasciava sempre in giro qua e là, e puntualmente dimenticava
dove l’aveva messo.
“Pronto? Sì, Anna, sono Mara. Sai mica se con questa
neve chiudono la scuola? Sì? Bene, sarà contenta Gemma. Domani poi è sabato, di
andare a scuola se ne riparla lunedì.”
Gemma aveva sentito tutto e già si immaginava una
giornata di pacchia a fare palle di neve con Michela, la sua migliore amica.
Andò a lavarsi di gran carriera, come non faceva mai
quando doveva andare a scuola.
“Mamma, vado da Michela, così facciamo i compiti
insieme e poi un pupazzo di neve, in giardino.”
“Va bene, va bene ma state attente a non cadere. E
mettiti la sciarpa, che fa freddo. Ah, e gli scarponcini rossi, quelli che
porti sempre quando andiamo in montagna.”
“Sì, mamma!”
Gemma uscì con le ali ai piedi per andare da Michela,
la sua amica abitava a poca distanza da casa sua, in un grande appartamento al
terzo piano di un tranquillo caseggiato.
I compiti, quella mattina, li fecero per davvero. D’accordo,
un po’ alla svelta, ma li fecero. Poi decisero che era l’ora di andare da
Gemma, in giardino, a fare il pupazzo.
A casa trovarono la mamma di Gemma intenta a coprire
i fiori con il telo perché il freddo improvviso non li uccidesse.
Si misero a fare il loro pupazzo, ridendo e
tirandosi palle di neve. Come si divertirono!
Mentre giocavano così una strana donna passò per la
strada, indossava una specie di palandrana nera e aveva un cappello grigio dal
quale spiovevano lunghi capelli bianchi e arruffati. Con fare misterioso di
avvicinò al cancello, Gemma e Michela ne furono quasi spaventate.
“Vi divertite, eh, bambine? Eh, questo è un paese
pieno di gente allegra. Si sta bene in questo posto, vero? Sì, ma non sarà per
molto!” disse la donna con una risataccia acida che avrebbe fatto venire i
brividi al più coraggioso degli eroi, e poi si allontanò in gran fretta,
guardandosi attorno come se avesse paura di essere inseguita
Le bambine si guardarono negli occhi: che fosse una
pazza, quella strana donna?
Gemma avrebbe voluto correre subito dalla mamma per
parlarle di quello strano incontro ma Michela, che non aveva voglia di tornare
a casa, l’aveva fermata e, portando il dito indice alla tempia, le aveva fatto
capire che quella donna doveva essere matta e non bisognava badarle. Meglio
continuare a giocare.
Il pomeriggio passò veloce, fecero un bellissimo
pupazzo e poi l’amica tornò felice a casa sua, Gemma rientrò in casa per la
cena e andò a letto presto, perché fra una cosa e l’altra si era stancata un
bel po’.
Durante la notte fece strani sogni e la mattina seguente
si svegliò piuttosto agitata.
Come faceva ogni giorno, per prima cosa si diresse
verso la cucina per salutare la mamma che, come sempre, a quell’ora preparava
la colazione. Passando lanciò
un’occhiata veloce alla finestra: quello che vide la lasciò di sasso.
Il giardino, il suo bel giardino pieno di fiori, ora
era un cumulo di sassi. La neve era scomparsa, la terra, arida, senza un filo
d’erba, dava a tutto l’insieme l’aspetto di un deserto.
“Mamma, mamma! Hai visto? Il nostro giardino…” gridò
correndo in cucina.
Ma la mamma non c’era, anzi, in casa sembrava non ci
fosse nessuno, tale era il silenzio che regnava ovunque.
Gemma fece il giro delle stanze, ma non trovò
neppure Teo, il gatto. Tutti sembravano scomparsi.
“Forse sono a far la spesa?” si disse per
rincuorarsi, anche se i suoi non andavano mai a far la spesa così presto.
Quanto al gatto, poi, uscì in giardino a cercarlo ma non era nemmeno lì.
Dileguato anche lui. Di certo non era nei paraggi: un gatto pigro e fifone come
lui, che non aveva mai varcato la soglia del cancello…impossibile.
Si guardò intorno, il giardino-deserto le faceva
quasi paura. Che cosa era successo? Le veniva da piangere, non avrebbe voluto
ma le lacrime le pungevano gli occhi. Pungevano così tanto che alla fine pianse
davvero.
“Mamma, papà, dove siete? Cosa è successo?” gridava,
tra le lacrime.
Finalmente si fece coraggio e andò a cercare
Michela, voleva vedere se almeno da lei era tutto normale.
A casa di Michela non c’era nessuno. Gemma suonò più
volte il campanello ma non ebbe risposta.
Si guardò intorno: silenzio e vuoto ovunque.
“Che cosa faccio, ora? Dove vado?”
Decise di andare al negozio di alimentari della Gina,
per vedere se i suoi erano lì. In ogni caso, pensava, il negozio della Gina era
una specie di centro smistamento chiacchiere dove se in paese succedeva
qualcosa si sapeva subito.
Con suo grande sgomento vide che anche il negozio era
chiuso. La faccenda si faceva preoccupante sul serio.
Non sapendo più che fare, la bambina decise di
provare con i suoi vicini, chissà che non sapessero qualcosa, e in ogni caso la
potevano aiutare: era sola, la casa sembrava abbandonata e in giro nessuno che
potesse dirle cosa era successo.
Prima di andare dai vicini passò da casa, per vedere
ancora se per caso erano tornati i suoi, o almeno Teo si era rifatto vivo.
Il giardino, a guardarlo, era una desolazione. Ci
passò in mezzo come in un campo di battaglia. C’era di che mettersi a piangere
di nuovo, Gemma sentiva arrivare un fiume di lacrime dal profondo del suo cuore
smarrito quando improvvisamente lo vide. Un fiore. Di pietra, sembrava…no, no,
forse era sale…no! Sabbia, ecco, era sabbia. Insomma Gemma non capiva che
strano tipo di fiore fosse, somigliava ad un’enorme margherita, ma le faceva
così tanta impressione!
Fece per avvicinarsi quando PUF! Eccone spuntare un altro, a poca distanza dal primo.
“Quante stranezze in un giorno solo!” mormorò la piccola
avvicinandosi ai fiori.
All'improvviso Gemma ebbe come un’illuminazione, si
ricordò della strana donna che lei e Michela avevano visto il giorno prima.
Ripensare a quell'episodio ora, con quel mistero
inspiegabile, tutta quella gente che sembrava scomparsa e quegli strani fiori
le faceva venire i brividi: e se fosse stata una strega? E se avesse lanciato
una maledizione sul paese, sulla sua casa? Una specie di maleficio, insomma.
Annusò entrambi i fiori.
“Buffo, “pensò, ”questo ha lo stesso profumo che
indossa mamma quando esce. E quest’altro, poi…è uguale al dopobarba di papà.”
“Per forza, piccola mia, “disse una voce che
conosceva bene, “sono io, la mamma! E quello è papà.”
“Mamma!” Gridò la bambina guardandosi attorno. “Dove
sei? Non ti vedo.”
“Dove meno te lo aspetteresti. Qui. “
“Qui dove?”
“Il fiore, Gemma.”
“Il fiore? Vuoi dire che sei diventata un fiore?”
“Proprio così, un fiore di pietra. E lo stesso tuo
padre ma lascialo stare, per ora. Sta dormendo, gli parlerai più tardi.”
“Mamma com'è possibile? Chi è stato a farvi questo?”
“E chi lo sa? Io stavo preparando la colazione, Teo
stava mangiando nella sua ciotola quando…PAF!
Ci siamo ritrovati così.”
“Una magia, per forza. Lo sapevo, non dovevo dar
retta a Michela. Ieri sera abbiamo incontrato una donna misteriosa, ci ha detto che ci vedeva
felici ma non lo saremmo state ancora per molto. Sembrava proprio una strega.”
“Oh, figliola, non so se raccontarmelo sarebbe
servito a qualcosa, che avrei potuto fare contro una strega? ”
“Ma Teo dov'è? Non vedo altri fiori, qui.”
“Lui è proprio scomparso, non si sa che fine abbia
fatto, povero micio. Mi dispiace, tesoro, non so dirti altro.”
“E tutti gli altri? I nostri vicini? La gente del
paese? Dove saranno?”
“Scomparsi anche loro? Poveri noi, Gemma, qui la
faccenda è seria davvero”.
Madre e figlia chiacchierarono ancora un poco, poi
la mamma disse a Gemma che era ora di cenare, del resto in frigo c’era di tutto
e le avrebbe detto lei come e cosa preparare. Stesse pur tranquilla.
La bambina obbedì, seppure a malincuore, perché
l’idea di cenare tutta sola, senza i suoi né Teo che si sdraiava sulle sue
gambe le dava una grande tristezza.
“Chissà come mai solo i miei sono diventati dei
fiori di pietra mentre tutti gli altri sono scomparsi. Ci sarà pure un motivo…”
pensava la bambina apparecchiando la tavola vicino alla finestra per vedere i
suoi genitori.
“Certo che c’è!”
Gemma si voltò, spaventata: dietro le persiane c’era
lei, la strega del giorno prima.
La piccola fece un salto.
“Mamma, mamma!” gridò.
Ma che poteva fare sua madre?
“Che vuoi ancora da me? Non ti basta quello che hai fatto?”
disse Gemma alla strega.
“Mi basta, mi basta. Tu chiedi perché solo i tuoi
sono stati trasformati in fiori ed io voglio risponderti. Tutto il paese è
scomparso. La tua gente è prigioniera nella terra della dimenticanza. Nessuno si
ricorderà di quelle persone, resteranno per sempre laggiù e tu non le vedrai mai
più. I tuoi, invece, li ho fatti diventare dei fiori di pietra perché tutti
erano felici, in questo paese, ma tu eri la più felice di tutti. Per questo ho deciso
che fossi la sola ad avere sempre qui, sotto gli occhi, i tuoi genitori in modo
da non poter mai scordare come li ho trasformati. Volevo che ti tormentassi nel vederli e soffrissi
più degli altri.”
“Ma perché? Che ti ho fatto?”
“Nulla. Io odio le persone felici, e buone, come te.
Io non sono né buona né felice. E ora, se permetti, torno da dove sono venuta.
Buon divertimento, carina. Ah, ah, ah!”
Gemma restò senza fiato. Una cattiveria così non
pensava proprio che esistesse.
Il guaio era che non sapeva come uscirne, ammesso
che ci fosse una via d’uscita.
“Ci vorrebbe un mago, o una fata. E chi conosce fate
o maghi? Io no di certo”.
Con questi pensieri si addormentò quella sera. Anche
il lettino, come la tavola prima, lo aveva portato vicino alla finestra, così
da vedere i suoi e magari mandargli un bacio, prima di dormire.
Nonostante i mille pensieri che le affollavano la
mente si addormentò subito, e sognò.
Sognò la sua amica Michela, vestita di azzurro, le
veniva incontro con un sorriso triste.
“Gemma, “le disse,” sono prigioniera della terra
della dimenticanza, tutto il paese è con me. Resteremo per sempre laggiù se tu
non ci aiuti. Pensa a noi, Gemma, ogni giorno, non ci dimenticare. Solo così
possiamo sperare di tornare”.
A questo punto Gemma si svegliò, con il cuore le
batteva forte. Il messaggio della sua
amica le dava nuova speranza, no, non l’avrebbe mai dimenticata! Né lei né la
sua gente.
Era ancora notte fonda e si rimise a dormire.
La mattina seguente appena sveglia corse a
raccontare tutto ai suoi genitori.
“Che dici, mamma? Era davvero un messaggio di Michela?
O era solo un sogno?”
“Io credo di sì, “rispose la mamma,” in ogni caso
non resta che aspettare questa notte. Se Michela comparirà di nuovo nel sonno,
se ti parlerà ancora allora è probabile che non si tratti solo di sogni ma che
sia proprio lei a comunicare con te nell'unico modo che ora le è possibile.”
“Sì, credo anch'io. E tu, papà? Cosa ne pensi?”
“Credo che tua madre abbia ragione. Bisogna
aspettare stanotte, e chissà che la tua amica Michela non abbia qualche
messaggio utile anche per noi”.
Il cuore di Gemma si riempì di nuova speranza, la
notte, che prima le faceva paura così, tutta sola, nella casa vuota, ora le
sembrava il più bel momento della giornata e non vedeva l’ora che arrivasse.
Quella sera andò a dormire prima del solito e si
addormentò subito perché la giornata era stata pesante, con tutte quelle cose
da fare! Ora che mamma e papà erano stati tramutati in fiori di pietra toccava
a lei fare tutto, dalle pulizie alla cucina, e la sera era completamente esausta.
Dopotutto era pur sempre una bambina.
Insomma, si addormentò come un angioletto, e dopo
pochi minuti il sogno arrivò.
“Gemma, sono io, Michela. Non posso stare molto, questa
volta. Non mi è permesso venire a trovarti ma io ho trovato il modo: penso
intensamente a te, alla casa. Tutto qui, il segreto, ma guai se la strega se ne
accorge! Mi spingerà nel fondo dell’oblio e per me non ci sarà più scampo. Dunque,
se vuoi farci tornare tutti devi fare lo stesso, ogni giorno. Pensa a noi,
pensa al paese com’era. Mi raccomando! Ora devo andare. Non so se riuscirò a
tornare, ma tu pensaci e desidera fortemente che tutto torni come prima”.
Gemma si svegliò. Questa volta non c’erano più dubbi,
il messaggio veniva proprio da Michela.
Il giorno dopo ne parlò di nuovo con i genitori.
“Gemma,” disse sua madre, “adesso non ti resta che
fare come dice la tua amica. Forse è la soluzione per liberare anche noi
dall'incantesimo. Non resta che provare.”
“Sì, mamma. Non sarà difficile pensarvi tutti,
ricordarvi com'eravate. Vi penserò giorno e notte, vedrai. Anche Teo, penserò”.
La mamma annuì, come poteva annuire un fiore,
scuotendo leggermente la corolla, mentre suo padre (così almeno le parve)
abbozzò un leggero sorriso. Come sorrida un fiore non so, ma lui secondo Gemma
lo fece e così dolcemente che alla bambina veniva quasi da piangere pensando al
volto di suo padre quando le sorrideva.
Ecco,
pensa, pensa! Si diceva Gemma, e la sua mente riviveva
il passato con la vividezza del presente.
Giorni e giorni così, sempre a pensare intensamente
ai suoi, al suo paese, al passato insieme.
Dopo due settimane così Gemma era scoraggiata.
“Non succede niente, niente!” si sfogò un giorno con
la madre.
“Bambina mia, non so che dire, eppure sembrava
proprio che Michela volesse suggerirti il modo per uscire da questi guai. “
“Forse era solo un sogno, mamma”.
Già, così sembrava. Solo un sogno, e la realtà un
incubo senza fine.
La bambina era disperata, ma ugualmente non smise di
pensare alla vita com'era prima dell’incantesimo.
Un giorno, tornando da una bella passeggiata lungo
il fiume, le venne in mente un episodio di un anno prima. Lei e Michela che
facevano lo stesso tragitto, nel pomeriggio, e si fermavano a casa di Gemma per
la merenda.
Ad aspettarle, sua madre, che salutava dal
pianerottolo col barattolo della marmellata in mano e l’aria allegra di chi ha
fatto una bella sorpresa e non vede l’ora di dirlo.
“Forza, sbrigatevi, c’è la crostata in tavola!”
Gemma si riscosse. La sua immaginazione galoppava
davvero molto forte se le sembrava di sentire proprio quella frase, come un
anno prima.
“Allora, lumachine, avete perso le energie sul
fiume? C’è la cro-sta-ta”.
No, non era la sua immaginazione. Qualcuno stava
tirandole la manica del vestito, si voltò: era Michela!
“Ma…ma…tu sei qui!” gridò.
“E dove dovrei essere, scusa? Gemma, che hai? Mi
sembri strana?”
“Io, eh?”
“Sì, dai, smettila con queste scene. Tua madre ci
sta chiamando. Ha fatto la crostata. Corri, io ho fame”.
Michela sembrava non ricordare nulla di quello che
era accaduto. Gemma era sconvolta e felice insieme.
A casa tutto era tornato come prima, il giardino era
di nuovo verde, pieno di belle piante, nessuna traccia dei fiori di pietra. Teo
le corse incontro miagolando, faceva le fusa e le saliva con le zampette sui
piedi, come faceva sempre. La bambina lo prese in braccio e non finiva più di
fargli le coccole.
“Mamma, ti ho liberata, ce l’ho fatta. E papà? Papà
dov'è?”
“Liberata? Che dici, Gemma? Su, basta con le
sciocchezze, ora. Papà è in bagno, appena esce andate a lavarvi le mani. Con le
mani sporche niente crostata”.
Neanche la mamma ricordava, ora era chiaro. L’unica
che sapeva e avrebbe custodito in sé il segreto di quello che era accaduto era
lei, Gemma. Un grosso peso, per una bambina, ma lei aveva dimostrato di essere
forte e sapeva che ce l’avrebbe fatta a sopportarlo. In fondo, l’importante era
che quell'incubo fosse finito.
“Ma sarà finito per sempre? E se la strega tornasse?”
si chiese, tornando triste per un attimo.
“Non accadrà più, stai tranquilla” disse una vocina
dietro di lei.
Si voltò. Un passerotto era sul davanzale della
finestra.
“Non temere, e ascolta, “proseguì l’uccellino, “la
strega è scivolata nel fossato dell’invidia, e più si arrovella, più si mangia
il fegato per la rabbia più sprofonda, senza speranza di tornare. Non ti darà
più fastidio, stai tranquilla. Goditi questo giorno felice, è solo il primo di
tanti altri che ti aspettano. Ciao, piccola Gemma”.
E volò via, lasciando la bambina a bocca aperta.
“Gemma, allora? “Disse di nuovo la mamma. ”Michela si
è già lavata le mani e sta mangiando la crostata. Vieni anche tu, dai”.
Gemma sorrise. A questo punto non le restava che
obbedire.
Una fiaba all'insegna del potere dei buoni pensieri e propositi, all'insegna della speranza che tutto tornerà a brillare e sorridere e agli odiosi e pericolosi invidiosi... non badiamoci. Bravissima.
RispondiEliminasinforosa
Grazie, Sinforosa.
RispondiEliminaUn caro saluto
Barbara