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giovedì 5 giugno 2025

Il buon Guglielmo e il paese in volo

 A volte il vento si arrabbia e allora combina guai inaspettati..


Il buon Guglielmo e il paese in volo

Barbara Cerrone

 

Il vento era stanco, soffiava da una settimana per pulire l’aria, in città la gente non si rendeva conto di quanto fosse utile e si lamentava in continuazione: “Mamma mia che ventaccio” e “Quando la smette di soffiare”, dicevano. Un’ingratitudine che a volerla pesare sarebbe stata di almeno un chilo, un chilo e tre.

Certe cose fanno male all’umore, il vento infatti era infuriato, quella mattina.

Tanto per cominciare aveva litigato con le nuvole che volevano piovere a tutti i costi.

“Siamo cariche d’acqua, troppo peso, non ce la facciamo più” si lamentavano quelle, e lui a pregarle di avere pazienza, doveva soffiare ancora due giorni e poi si sarebbe calmato, ma loro niente, sempre più inviperite. Volarono parole grosse, e quando le parole volano non sempre vanno dove devono andare, a volte cadono nelle orecchie sbagliate e allora sì che si crea confusione! La cosa magari finisce sui giornali e si diffonde a macchia d’olio, si ingigantisce come una patacca sul vestito e non si ferma finché qualcuno, magari il sindaco o l’assessore alle parole, dice “Basta!” abbastanza forte perché tutti lo sentano e facciano silenzio, finalmente.

Quel giorno lì era proprio uno di quelli in cui la confusione gira come una trottola fra le persone, e si incaglia esattamente dove non dovrebbe.

Anche per questo il vento era nervoso, quando è così poi fa il broncio e comincia a soffiare più forte.

Soffiando forte pulisce l’aria meglio di un’aspirapolvere, ma quella volta ha proprio esagerato.

Ha cominciato scuotendo un po' le cime degli alberi e i panni stesi alle finestre, all’inizio nessuno ci ha fatto caso, la gente, sapete, è distratta da mille pensieri e non bada all’aria che si muove o alle chiome degli alberi che danzano. Solo quando il movimento d’aria cominciò a crescere e a crescere attirò l’attenzione dei passanti, perfino dei sognatori che, si sa, hanno sempre la testa fra le nuvole e non sanno neppure di che colore hanno le scarpe.

Ad un certo punto quel vento pazzo diventò simile a un tifone e soffiando trascinò tutto con sé, alberi, case e anche le persone. A decine furono portati via verso paesi sconosciuti, senza poter avvertire la famiglia che forse avrebbero fatto tardi per il pranzo.

All’inizio, si capisce, fra la gente c’era una gran paura, specialmente fra chi soffriva di vertigini e a guardar giù aveva il capogiro.

Il vento, agitato, non cessava di brontolare e sbatacchiare tutti di qua e di là. Soffiava così forte che ad un certo punto sollevò anche i pensieri, ma di questo nessuno si lamentò.

 La gente pareva non avere più peso, i più felici erano i bambini e le signore grasse che non erano abituate a quella sensazione.  

“Visto, Giannina, come volo?” diceva una. “Altro che cicciona, una libellula, mi sento! Se fossi grassa come dice la mia amica Wanda, il vento di certo non potrebbe sollevarmi.”

E un’altra, di rimando:” Ma certo, l’ho sempre detto, è tutta invidia”.

Dopo un po' tutti, passata la paura del momento, cominciarono a divertirsi.

C’era chi, volando così senza avere niente da fare, ne approfittava per leggere il giornale, altri, sorpresi dal vento mentre giocavano a briscola con gli amici al bar, avevano ancora le carte in mano e continuavano a giocare come se niente fosse. Molti simpatizzarono col vicino di volo, nacquero amicizie e qualcuno si fidanzò, perfino. Non mancarono i litigi, ma durarono poco perché il paesaggio sotto di loro era così bello che addolciva anche gli animi più duri.  Visti da terra, sembravano tanti moscerini e volavano, volavano nel cielo azzurro di marzo.

Solo verso mezzogiorno ci fu qualche segno di impazienza: va bene scherzare, ma lo stomaco brontolava per la fame, lassù in alto neppure un chiosco per prendere un panino!

Anche il buon Guglielmo subì la stessa sorte dei suoi concittadini, fu sollevato come una foglia e trascinato via lontano, così lontano che non sapeva più dove fosse.

Sotto di lui scorrevano paesi e fiumi che non conosceva, gli sarebbe piaciuto vederli da vicino, ma il vento non badava alle proteste di chi gli chiedeva di rallentare.

 “Il tempo di una foto” diceva uno.

 “Un paio di minuti per un video… così lo mando a mia cugina”, pregava un altro con le lacrime agli occhi.

Niente da fare, il mattacchione continuava la sua corsa, ci mancò poco che non sollevasse il mondo intero, se non fosse stato per il buon Guglielmo a quest’ora anch’io sarei su Marte o chissà dove, sperduta tra le galassie insieme al nostro pianeta.

Il buon Guglielmo è detto così proprio perché è buono per davvero, gentile e generoso, mai dispettoso e sempre sincero. Insomma, una perla d’uomo, e dire perla è fargli un torto perché uno così è più prezioso di qualunque perla.

Di lavoro fa il risolvi problemi, ne risolve di ogni tipo, tutti lo cercano perché è davvero un grande esperto di guai e preoccupazioni. C’è chi dice che dovrebbe essere inviato sempre lui dove c’è una guerra, visto che è bravo anche a rappacificare le persone.

Va avanti e indietro per la città da mattina a sera con la sua bici e il cane, Gemma, che corre al suo fianco. Gemma non ha una razza, ha solo un cuore grande e tanto pelo, era con lui anche quella volta e lo seguiva mentre pedalava lassù in alto, perché il ventaccio aveva sollevato Guglielmo con tutta la bicicletta.

In molti casi il buon Guglielmo aveva dimostrato il suo valore, tanto che si dice fosse stato chiamato, molti anni prima, a fare da pacere in un conflitto così lontano che più lontano si va dritti in cielo. Lui ci riuscì, a metter tutti d’accordo, e fu insignito della nobile medaglia al valor pacificatore.

Anche col vento fu eccezionale.

Si era fatto tardi, le persone ormai non si divertivano più a svolazzare come aquiloni, volevano ritornare a casa, e poi c’era una certa preoccupazione: se il vento fosse cessato all’improvviso? Sarebbero caduti tutti giù come sassi in un posto che non conoscevano. Bisognava fare in modo che Scirocco tornasse indietro e non facesse mosse brusche. Il problema era farlo ragionare.

“C’è una sola persona fra noi che può farlo,” disse un omino col cappello di traverso,” il buon Guglielmo. Se non ci riesce lui, nessuno ci riuscirà.”

In quel momento tutti si voltarono verso Guglielmo, lui, come sempre, sorrise e fece segno di sì con la testa, mentre il suo cuore iniziò a battere così forte che si vedeva andar su e giù sotto la sua giacca.

“Ci penso io, “assicurò,” ho già in mente un’idea. Credo che Scirocco sia solo un po' stressato, lavora tanto in questa stagione per ripulire il cielo, basta un nonnulla per farlo scattare. Lo convincerò a fare una pausa. Bisogna sapere che c’è una vallata verde subito dopo la città, dove crescono fiori e volano farfalle colorate. In quella valle pacifica l’aria è serena, è proprio là che vanno a riposare i venti per riprendersi dalla fatica di soffiare. Fanno due chiacchiere, si rilassano su quell’erba verde e poi tornano a casa come rinati. Sono sicuro che anche il nostro venticello vorrà passarci qualche giorno.”

“Sì, sì, viva Guglielmo!” gridarono tutti in coro, e Guglielmo ringraziò con un bell’inchino.

A questo punto bisognava passare dalle parole ai fatti, così Guglielmo si schiarì la voce, fece un respiro profondo e chiamò Scirocco.

“Scirocco, ehi, ascoltami. Ti devo parlare”.

E Scirocco niente.

“Scirocco, per favore, solo un momento. Si tratta di una cosa importante.”

Niente da fare, non rispondeva.

“Te la dirò lo stesso, e se non rispondi te la ripeterò finché non mi dirai cosa ne pensi”.

Il buon Guglielmo, allora, parlò a Scirocco della vallata verde dove i venti stanchi vanno a riposare. Usò le parole più dolci per dirgli che anche lui doveva essere stressato, con tutto il lavoro che aveva da fare, e che una pausa nella vallata di sicuro gli avrebbe fatto bene.

“Per esempio, vedi, “continuò,” oggi hai fatto tutti questi chilometri soffiando a più non posso e ora immagino che sarai stanco, vero? Noi ti ringraziamo per questa bella gita, ma ora perché non fai marcia indietro, ci riporti a casa e ti vai a riposare nella vallata? Ne hai bisogno”.

Parole gentili, affettuose: il buon Guglielmo sapeva come convincere i testoni come Scirocco.

Il vento non rispose subito, ma si vedeva che ci stava pensando perché a tratti rallentava e poi riprendeva a soffiare ancora più forte.

Alla fine, dopo aver tanto riflettuto, Scirocco buttò fuori le parole dalla sua bocca d’aria.

“Buon Guglielmo, so che sei una brava persona e non inganni il prossimo.  Hai ragione, sono stanco, quindi ho deciso: soffio ancora un pochino, mi sfogo bene bene e poi magari seguo il tuo consiglio, torno indietro e vi riporto tutti a casa. Ho sentito parlare di questa vallata, non ci sono mai stato perché pensavo fosse un posto per venti sfaccendati, ma tu mi hai convinto. Ci andrò, te lo prometto”.

Scirocco fu vento di parola, soffiò ancora per mezz’ora e poi fece marcia indietro.

La gente, quando si accorse che stava invertendo la rotta, lanciò un urlo di gioia che squarciò le nuvole, grossi goccioloni di pioggia scesero sugli umani volanti bagnandoli da capo a piedi, tuttavia nessuno se ne lamentò. Pur di andare a casa, non gli importava di essere bagnati.

Canti e grida proseguirono fino all’arrivo in città, dove Scirocco rallentò, con delicatezza depose alberi, persone e case sulla terra e poi se ne andò, come aveva promesso.

L’unico problema, all’inizio, fu rimettere a posto le case e gli alberi, il vento aveva lasciato tutto un po' così, a caso, del resto non si poteva pretendere che si ricordasse dove abitavano il farmacista o il macellaio, né dove stavano prima gli alberi che aveva portato via. Ci volle del bello e del buono per rimettere ordine, alla fine tutto tornò come prima, compresa la piccola casa di Guglielmo, col suo bel giardino fiorito e il camino fumante.

Al momento della furia ventosa, la nonna Gina gli stava preparando le lasagne, erano rimaste sul tavolo, bisognava solo infornarle.

In tutte le case della città ormai si pensava solo a gustare un buon pranzetto, e già si spandeva nell’aria un profumino da leccarsi i baffi. Non c’era che da mettersi il tovagliolo intorno al collo.

A questo punto, è chiaro, la storia è bella che finita. Lasciamo i nostri amici seduti a tavola, davanti a un piatto di pasta ben condito, a noi non resta che filar via in silenzio e augurare a tutti:

buon appetito!