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martedì 24 settembre 2019

Una nuova vita per Geo


Eccomi qua, dopo tanto tempo torno a pubblicare una mia storia.
 L'estate è ormai alle spalle e bisogna farsene una ragione, magari pensando a quella che verrà.
Oggi vi propongo la vicenda a lieto fine di  Geo, un micio che ritrova una casa dopo un brutto periodo fatto di abbandono e solitudine.
Buona lettura


GEO
Barbara Cerrone


I primi brividi di freddo corrono già lungo le foglie e tra gli alberi, come un vento leggero.
Geo si ripara dentro una caverna scavata nel cuore della collina chissà quanto tempo fa, spera di trovarci anche qualcosa da mangiare, è digiuno da ieri e la fame gli fa vedere miliardi e miliardi di stelline davanti agli occhi.
Non ha nemmeno la forza di studiare un piano, è troppo debole per la strategia. Un topo gli attraversa la strada, ha un’aria appetitosa ma  Geo è indebolito e il topo è più veloce di lui, scappa prima che il vecchio gatto riesca a fare anche solo la mossa di rincorrerlo.
Geo non ha più una casa da un bel pezzo,  di tanto in tanto qualche umano gentile gli regala un po’ di croccantini o gli avanzi della sua cena, ma la sua situazione è grave, così grave che Geo schiaccia un pisolino. Non c’è niente di meglio per un gatto, giovane o anziano che sia, che schiacciare un pisolino,  quasi meglio di un bel boccone di pappa.  Quasi. Perché nel sonno spesso fanno capolino i sogni e i sogni degli affamati sono pieni di cibo e di tavole imbandite che al risveglio puntualmente svaniscono, lasciandoli con un palmo di naso.
Anche Geo sogna cibo squisito,  lo servono due gatti in livrea, come nei ristoranti di lusso, lui fa per afferrare tutto quel ben di Dio ma ecco che si sveglia e quella buona pappa non c’è più; tutto  intorno è solo buio e silenzio, nella caverna non c’è nessuno, a parte lui  e tre grossi ragni sulla parete.
Geo allora si rimette a dormire sperando di non sognare più quello che non può avere, ma la fame è vigliacca e tormenta le sue povere vittime. Non c’è pace per Geo, nemmeno in sogno.
I gatti di solito dormono di più durante il giorno e la notte vanno in giro, Geo invece, poiché  è anziano e l’umidità gli fa male alle ossa,  preferisce stare al riparo e vagare per le strade del villaggio durante il giorno, quando la temperatura è più mite.
 Questa  notte  la passa così, svegliandosi di soprassalto fra un sogno e l’altro, finché la luce del giorno non si infiltra in quell'antro buio, e con la luce un rumore di passi umani.
E’ Orazio, l’uomo che abita nella casa vicina alla grotta, odia i gatti e ogni volta che incontra il nostro micio cerca di prenderlo a calci. Geo riconoscerebbe il suo odore da lontano. L’unica cosa da fare è scappare e lui scappa, infatti, così veloce che Orazio, incrociandolo, cieco com'è pensa sia una lepre.
“Guarda come si avvicinano alle case, ora!” esclama convinto.
Il gatto intanto si è rifugiato nel giardino della casa rosa, in fondo al vicolo; gli è sempre piaciuto quell'angolo verde,  ora  in quella casa ci abita un’altra umana, la vecchia proprietaria se n’è andata e lui non sa se la nuova gradirà la sua presenza.
Una ciotola all'ingresso di casa lo fa ben sperare: questa umana ama i gatti, a meno che non sia per un cane quel recipiente rosso un po’ sbiadito e terribilmente vuoto, per il momento.
Per prudenza si nasconde acquattandosi dietro l’albero  al centro dell’aiola più grande, da lì può vedere, non visto, quello che succede intorno a lui e se c’è pericolo fa in tempo a scappare saltando la ringhiera alle sue spalle. Si sente al sicuro e si rilassa con un bel pisolino.
La sua vita non è sempre stata così, randagia e affamata, un anno prima c’era ancora il suo amico Armando a occuparsi di lui, aveva una casa, un giardino nel quale scorrazzare  e una ciotola sempre piena. Poi Armando è morto.
Quando lo ha visto disteso in quella lunga scatola di legno  ha provato  a svegliarlo ma, niente da fare, il suo amico non ha riaperto gli occhi. Il giorno dopo  lo hanno portato via e lui non lo ha più visto. Inutilmente lo ha chiamato per giorni e giorni miagolando sul muretto del giardino.
I  figli e i nipoti di Armando  non ne hanno voluto sapere di lui, hanno venduto la casa e lo hanno lasciato al suo destino dicendo che tanto i gatti se la cavano sempre. Storie! I gatti anziani non se la cavano poi così bene, e non trovano facilmente umani  che li vogliano adottare,  gli umani di solito vogliono solo gatti piccoli, quelli già grandi non li prende  nessuno, se sono anziani poi non se ne parla.  Così Geo si era ritrovato solo e randagio da un giorno all'altro, e proprio quando avrebbe avuto più bisogno di essere accudito.
Gli capitava spesso di ripensare alla sua vita con Armando, alle sere d’inverno in cui gli si metteva accanto, sul divano, mentre l’umano si addormentava davanti alla tv.  Anche Geo dormicchiava, al caldo, e quando si svegliava andava a fare il pane sulle gambe di Armando che subito apriva gli occhi, guardava l’orologio e poi andava a letto, portandosi dietro il fedele micio che gli si accoccolava ai piedi, sul morbido lettone.
Stavano bene insieme, loro due, davvero.
Eh, bei tempi! Geo, dopo essere stato abbandonato, non si era  allontanato dalla strada dove aveva vissuto con Armando, era il suo territorio, lo conosceva bene, così come conosceva bene ogni abitante di quel  vicolo nella parte più antica del paese, una viuzza che finiva nel nulla della vegetazione,  in riva al fiume.
C’era Orazio, che odiava i gatti e cercava sempre di prenderlo a calci, mentre  Elvira e Ornella, sue vicine di casa, di tanto in tanto gli davano un po’ di pappa che compravano apposta per lui al supermercato.
Nella casa gialla, poi, viveva una famiglia con due bei bambini che quando riuscivano  a catturarlo lo portavano in casa per giocarci come con un pupazzo, fra le grida della madre che puntualmente lo buttava fuori sbattendo la porta.  Accanto a loro abitava una bambina dolcissima che gli dava pappa e carezze, ma sua madre  era allergica al pelo del gatto e quando Geo era in casa lacrimava e starnutiva  a più non posso e alla fine lo metteva fuori con la solita frase:” Mi dispiace, micio, o tu o io”.
Così Geo conduceva la sua vita solitaria da randagio, riparandosi dal freddo e dalla pioggia nella vecchia grotta, senza sapere mai, allo spuntar del giorno,  se avrebbe mangiato oppure no.
Un rumore  lo sveglia all'improvviso: è la porta verde che si apre ed eccola, la nuova umana.
Geo la osserva, come tutti gli umani è strana, ha una massa di lunghi peli gialli che le ricadono giù, sulle spalle, è di piccole dimensioni e sembra innocua. Si guarda intorno come se vedesse il giardino per la prima volta e sorride,  gli umani sono proprio strani, pensa ancora Geo, e resta a guardare senza uscire dal nascondiglio.
L’umana ora guarda la ciotola, sembra contenta di trovarla vuota, poi rientra in casa e ne esce di nuovo con un barattolo in mano.  Geo ha l’acquolina in bocca, la donna sta versando una gran quantità di pappa nella ciotola,  lui vorrebbe avvicinarsi ma è troppo rischioso. Non la conosce, non si fida, ha avuto tante brutte avventure da quando non ha più una casa e ha paura. Aspetta  che l’umana sparisca di nuovo dietro la porta  e poi   tenta la sorte, ha tanta fame, si regge a malapena sulle zampe, la ciotola per lui è come un miraggio nel deserto.
Mentre  sta gustando il primo boccone ecco apparire di  nuovo la donna sulla soglia: batte le mani per la contentezza facendo mille moine a Geo, che resta così, con la bocca semiaperta, incerto se scappare o restare.
“Che bel micio, finalmente!”
Un secondo che sembra eterno e poi Geo scappa, lasciando a terra il boccone.
Inutilmente l’umana lo chiama “Micio, micio, vieni che non ti faccio niente”, Geo è già lontano.
Passa un’ora, il suo stomaco è più vuoto della caverna dove ha passato la notte, Geo si fa coraggio e torna nel giardino della casa rosa. L’umana non c’è, una finestra al primo piano è aperta,  da lì proviene uno strano rumore che lo incuriosisce, una specie di ticchettio continuo,  capisce comunque che lei è in casa impegnata a fare qualcosa  e si slancia verso l’ambita ciotola.
Mangia avidamente fino all'ultimo boccone e scappa subito via, ma non si allontana, va  di nuovo a nascondersi dietro l’albero,  in cuor suo spera che l’umana esca ancora a mettere  cibo nella ciotola.
Aspetta, aspetta si appisola di nuovo e quando si sveglia il cielo è già scuro. Il ticchettio non si sente più, la finestra è chiusa e illuminata, Geo  torna  quatto quatto alla ciotola ma la trova vuota. Pazienza, fra le tante cose che ha imparato nella sua nuova vita c’è proprio la pazienza, il saper attendere il momento buono.
Torna al suo nascondiglio e, nemmeno a dirlo, si addormenta di nuovo. Si sveglia solo a notte inoltrata, la casa rosa è immersa nel buio, l’umana probabilmente dorme,  e la ciotola è ancora vuota.
Decide di fare un giretto di ispezione lungo la via e poi al fiume, tornerà magari all'alba, in cerca di altra pappa.
Nel suo girovagare Geo non si accorge che il tempo passa, il sole è già alto quando torna nel giardino.
Le finestre della casa sono tutte aperte, si sente di nuovo il ticchettio, ma niente pappa nella ciotola.
Dopo un po’ due umane aprono il cancello ed entrano in giardino.
“Bea, vieni? Noi andiamo a far la spesa, dai che facciamo tardi!”
L’umana dai capelli gialli esce di corsa e va via con loro, Geo osserva la scena: sono tutte creature di piccola taglia, una ha folti peli neri corti sulla nuca e parla in continuazione, l’altra invece ha i peli biondi come Bea ma non così lunghi, le arrivano appena a  coprire il collo. Tutte e tre insieme fanno un rumore allegro che a Geo mette  voglia di fare le fusa.
“Dai, scrittrice, che noi non abbiamo i tuoi tempi comodi, io ho  il turno delle due oggi,  siamo di fretta” dice la chiacchierona coi peli neri e corti.
Scrittrice. Geo si chiede cosa voglia dire.  In pochi minuti ha scoperto due cose  dell’umana: che si chiama Bea e che  è una scrittrice, anche se non sa cosa vuol dire. Qualcosa nella sua mente felina gli fa pensare che possa avere a che fare con quel ticchettio che proviene dalla finestra al primo piano.
“E questa ciotola?” chiede l’umana con i peli neri.” Nutri  tutti i gatti del centro storico? Saranno felici del tuo arrivo.”
“Oh, smettila di prendermi in giro, “ replica Bea,” amo i gatti, e allora? Nei centri storici spesso ci sono dei randagi e io voglio che trovino un po’ di pappa anche loro. E se non sono randagi non importa, vuol dire che me li farò amici”.
L’umana dai peli neri ride ed esce  insieme alle altre due, chiudendosi il cancello alle spalle, le tre amiche si allontanano, il loro chiacchiericcio  ricorda a Geo il cinguettio di certi uccellini, a primavera.
Geo decide di restare ancora un po’, vuole aspettare che Bea ritorni, magari gli porterà  del cibo e poi vuole studiarla, capire che tipo è, se si può fidare di lei, nel frattempo si sgranchisce le zampe gironzolando libero nel giardino.
Quando Bea torna lui è di nuovo acquattato nel suo nascondiglio. L’umana ha con sé una grande borsa piena dalla quale estrae un barattolo che il micio conosce bene, lo apre e versa tanti bocconcini nella ciotola, poi entra in casa, chiudendo la porta.
Geo non perde tempo e corre a mangiare ma stavolta Bea è più veloce di lui, esce,  e lo sorprende.
“Eccoti qua, bel micio. Fatti accarezzare, non aver paura”.
Geo è terrorizzato, stavolta però decide di finire la pappa  e si lascia accarezzare concedendole un po’ di fiducia, malgrado gli tremino le zampe. Appena finito scappa di nuovo, lasciandola lì, a chiamarlo con quella voce dolce.  Il micio fa un giro e poi torna al suo posto in giardino, per continuare l’esame della sua nuova amica che ancora non sa se sia davvero buona o no e nonostante ciò  gli piace, gli piace proprio quella Bea.
La finestra al primo piano è aperta, si sente il tic tic forsennato di lei che chissà che fa, Geo da buon gatto è curioso, vuole vedere e sapere. E soprattutto desidera tanto entrare in casa, per esplorarla.
Con un salto piomba sul davanzale della finestra, Bea non lo sente, è seduta a un grande tavolo e gli dà le spalle. Il ticchettio proviene da una specie di scatola che ha davanti e che somiglia tanto a quella che ha visto una volta nella casa gialla, la usavano i bambini e la chiamavano computer,  Bea ci batte sopra con le dita e lui  pensa che forse è proprio questo battere continuo  ciò che gli umani  chiamano scrivere.
Il micio si fa coraggio ed entra, balza giù con le sue zampe vellutate e fa un giretto per le stanze,  sale su per le  scale arrivando fino al piano superiore dove trova una porta aperta, ci scivola dentro e si trova all'interno di una piccola stanza  con due quadri alle pareti e un bel lettone al centro. Geo non resiste, vuole provare subito il letto. E’ così morbido e caldo! Gli ricorda i bei momenti passati  con Armando, le notti al caldo, sul plaid di pile, così lontane da quelle tristi e fredde nella caverna.
Su quella cuccia morbida non può fare a meno di rilassarsi e quando Geo si rilassa...si addormenta. Si sveglia dopo un po’ col  viso di Bea chino  sul suo muso.
“Bel micio, come sono contenta che tu sia qui!  Se non sbaglio sei un randagio e piuttosto malconcio. Io ho appena perso il mio amato gatto, Guglielmo, e non so consolarmi. Era un bel gattone  tigrato come te. Se vuoi puoi restare, mi farebbe piacere averti qui. Non so come ti chiami, che te ne pare se ti do il suo stesso nome, Guglielmo?”
Geo non sa più se scappare o restare, la voce di Bea è dolce e suadente, lo accarezza piano,  a lui scappa di fare un mare di fusa  ma...non si fida ancora, non si fida. E scappa, ancora una volta.
Passano  altri due giorni, Geo continua a studiare la sua nuova amica, e a mangiare il cibo che lei gli mette nella ciotola.
“Micio, Guglielmo,dove sei?”
Geo capisce che sta chiamando proprio lui. Guglielmo, pensa, è un nome che sa d’importante, in fondo Geo appartiene alla sua vecchia vita, ora sembra che un’altra gli si prospetti davanti, forse altrettanto bella di quella con Armando, anche se lui non scorderà mai il suo buon amico.
Si fa coraggio e risponde con un timido miaoo. Bea è al settimo cielo, gli va incontro, lo accarezza, lui la segue, entra in casa. Comincia così la loro vita insieme.
Ora la sera scorre dolce per Geo, pardon: Guglielmo.  Anche se fuori fa freddo lui ha il suo posto caldo sul divano, accanto a Bea, che si addormenta davanti alla tv. Guglielmo fa la pasta sulle sue gambe e lei si sveglia, lo accarezza e va a dormire nel lettone al piano di sopra.  Guglielmo la segue e si accoccola ai suoi piedi. Stanno bene insieme loro due, tanto bene.
Tutto è così caldo e morbido, le sue fusa fanno da ninna nanna a Bea che cade subito nel mondo dei sogni.
Anche Guglielmo sente calare le palpebre sui suoi grandi occhi verdi, ma prima di addormentarsi  ogni sera ripensa ai  tristi momenti passati nella sua vita da randagio e conclude, soddisfatto, che ora va meglio. 
Molto, molto  meglio.