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martedì 27 novembre 2018

Mani in acqua - seconda versione

Ecco la versione modificata di "Mani in acqua".
Buona lettura.



Mani in acqua!
  Barbara Cerrone

  


C’erano una volta due piccole mani che non si volevano mai lavare.
Quelle manine si sporcavano con le matite e con la cioccolata.
Sotto le unghie avevano la terra del giardino.
C’era la marmellata sulla punta delle loro dita.
L’acqua però non la volevano neanche vedere.
E se il sapone zitto zitto si avvicinava... aiuto! Le dita litigavano fra loro.
“Tu sei il più sporco, tocca prima a te!” urlava Mignolo
“Ma cosa dici? Sei sporco quanto me!” gli rispondeva subito Anulare.
 Poi Anulare spingeva avanti Medio.
 Medio  dietro il fratello Indice cercava di scappare.
 L’indice, poi, si nascondeva sotto il pollice.
 Il pollice?Eccolo sotto il palmo della mano per non farsi acchiappare.
 “Quattro? E dov'è il quinto ditino?’” chiedeva la mamma.
La mamma cerca cerca lo trovava sempre, quel birbante.
Ed eccoli finalmente tutti insieme, mogi mogi sotto al rubinetto.
“Avanti, un bel tuffo in acqua e poi subito a letto!”







lunedì 26 novembre 2018

Mani in acqua!

Questa volta ho voluto pensare ai più piccini.


Due piccole mani, nonostante si sporchino continuamente con le matite e con la cioccolata,  non ne vogliono proprio sapere di lavarsi.
Le dita litigano fra loro per sfuggire al sapone: il mignolo  vuole che vada prima l’anulare che invece  spinge il medio in fuga, l’indice si nasconde sotto il pollice e il pollice sotto il
palmo della mano.

La mamma, però, la sa più lunga di tutti e come un bravo detective scova tutte le dita e le mette sotto al rubinetto perché si lavino bene prima di andare a letto.
Questa è la prima versione, seguirà a breve la seconda.








Mani in acqua!
Barbara Cerrone


C’erano una volta due mani che non si volevano mai lavare.
 Si sporcavano con le matite colorate  e con la cioccolata ma... niente da fare.
L’acqua non la volevano sentire.
E se per caso in bagno il sapone si avvicinava,  le dita litigavano fra loro.
“Tu sei il  più sporco, tocca prima a te!” diceva il mignolo, che era il dito più piccino.
“Ma cosa dici? Sei sporco quanto me, non ci provare!” gridava l’anulare spingendo il medio che cercava di scappare.
L’indice, poi, un furbo che non vi dico! Si nascondeva sempre sotto il pollice e quello poi via sotto il palmo della mano per non farsi acchiappare.
“ Quattro? E dov'è il quinto ditino?’” chiedeva la mamma davanti al lavandino.
Ma a lei nulla sfuggiva e cerca cerca lo ritrovava sempre, quel birbante.
Ed eccoli tutti insieme, cinque di qua e cinque di là, mogi mogi sotto al rubinetto.
“Avanti, un bel tuffo in acqua e poi subito a letto!"



domenica 11 novembre 2018

Parole ingarbugliate

Quando parlare non è un gioco da ragazzi...
buona lettura.








Parole ingarbugliate
Barbara Cerrone



C’era una volta un bambino carino, simpatico e intelligente, il suo nome era Giovanni.
Questo bambino aveva un problema che gli creava grande disagio: balbettava.
Era come se la sua lingua si intrecciasse  al palato, e ogni volta doveva fare grandi sforzi per non mettersi a piangere.
A scuola c’era chi lo prendeva in giro ma c’era anche chi faceva il tifo per lui e lo sosteneva, insomma di amici ne aveva, tuttavia questo non bastava a dargli la fiducia che gli sarebbe servita per superare quell'incepparsi della lingua così ostinato e fastidioso.
“Ba-ba-babalbetterò tutta la vita, lo so” diceva, in preda allo sconforto.
Avevano un bel dire i suoi amici che non era così, lui scuoteva la testa piena di riccioli rossi e poi si voltava  dall'altra parte per non far vedere che aveva gli occhi lucidi.
“Non piangere, tesoro mio,” gli diceva la mamma, “ vedrai che un giorno avrai una lingua così sciolta che ti vorranno come speaker alla tv!”
“Speaker, come no!” pensava il bambino, che almeno nei pensieri non balbettava.”Altro che speaker, è già tanto se riesco a finire una frase”.
Il tempo passava e le sue parole erano sempre più ingarbugliate, tanto che un giorno, mentre studiava ripetendo ad alta  voce, due o tre di  loro uscirono  dalla sua bocca in fretta e furia e non vollero più tornarci.
Presto anche le altre seguirono il loro esempio e fu il caos.
“To-to-toto-tornate su-su-subito qui!” gridò Giovanni, ma quelle non lo ascoltarono nemmeno e scapparono volando qua e là per la stanza, come mosche impazzite.
Una addirittura gli si posò sulla testa e cominciò a tirargli i capelli mentre un’altra gli saltava sul naso. Giovanni cominciò ad agitar le mani per scacciarle, poi corse dietro alle parole fuggiasche  che volavano, volavano  in ogni direzione: una si era rifugiata sopra le mensole, un'altra penzolava  dal lampadario, un’altra ancora si era appesa al cordone della tenda in salotto e si divertiva a oscillare come un pendolo.
 In poco tempo la stanza si riempì di vocali, consonanti e poi addirittura di frasi, intere frasi col verbo al posto giusto che chiacchieravano fra loro come comari alla finestra.
Giovanni era  riuscito a prendere solo due consonanti, la z e la w, che essendo le più pigre si erano sdraiate sul divano a ronfare come ghiri e si erano fatte acchiappare senza quasi accorgersene.
Sua madre era uscita da poco per fare la spesa raccomandandogli di non aprire la porta a nessuno e di non combinare guai, cosa avrebbe detto se rientrando avesse trovato la casa  invasa  dalle parole? C’era di che esser punito, magari con il  divieto di vedere i cartoni animati per un’intera settimana!
Per complicare la faccenda suonarono alla porta. Era il suo amico Paolo.
“Vieni fuori a giocare? Facciamo un po’ di tiri con la palla”.
Che cosa poteva dirgli? Che era nei guai  perché alcune parole gli erano sfuggite di bocca e ora giravano per casa? Non ci avrebbe creduto e di sicuro avrebbe preteso di vedere con i suoi occhi, cosa che era molto meglio evitare, conoscendolo.
Era un ragazzo simpatico ma far confusione era la sua specialità, se avesse visto tutto quello scompiglio si sarebbe divertito un mondo a crearne ancora di più e chissà cosa avrebbe architettato. Allora sì che sua madre si sarebbe arrabbiata! No, bisognava mandarlo via  subito con una scusa.
“Non po-po-poposso uscire, ho male alla gola” disse Giovanni.
L’amico lo guardò come per dire Da quando in qua un mal di gola ti impedisce di uscire? Tuttavia, vedendo che Giovanni non voleva proprio saperne di seguirlo, si rassegnò.
Stava quasi per andarsene quando una parola, la più impertinente, fece capolino sulla soglia di casa.
“E questa che roba è?” chiese l’amico.
“E c-c-cche ne so?” mentì Giovanni. “ Gi- gi-gigirano strani insetti, oggi.”
“Ma quale insetto, questa...questa è una parola! Giovanni, tu non me la racconti: hai  perso le parole!”
“No, s-s-ssono  insettacci” disse chiudendo la porta senza nemmeno salutarlo.
Paolo non si arrese, il suo migliore amico era senza parole e doveva aiutarlo, anche se lui non voleva. Suonò il campanello una, due, tre volte. Finché Giovanni non aprì.
“C-c-ccosa c’è, ora? ”
“Ti aiuto a prenderle.”
“E v-vva bene, entra”.
“Eh, ma sembra uno sciame di mosche!” esclamò Paolo entrando in casa.
I due ragazzi si misero a rincorrerle insieme, le birbone sembravano foglie portate dal vento, un turbine di parole che neanche Paolo riusciva  a catturare.
Anzi, una di loro, una r bizzarra e capricciosa, si fece accanto a Paolo e cominciò a tirargli la manica del maglione per dispetto.
Nel bel mezzo di questa scenetta ecco arrivare la madre di Giovanni, di ritorno dalla spesa.
“Che succede, qui? Che state combinando voi due?” chiese.
“Nulla, signora, giochiamo a prendi la parola” rispose Paolo, che aveva la scusa sempre pronta.
Prendi la parola?  Che gioco è? E poi che ci fanno qui tutte queste mosche? Ce le avete portate voi due, eh? Le voglio subito fuori di qui, alla svelta!”
Per fortuna la madre di Giovanni era presa da mille pensieri e non si accorse che quelle cose scure che giravano per casa non erano affatto mosche. Comunque si era arrabbiata e in un modo o nell'altro bisognava risolvere la faccenda.
Farle uscire? No, sarebbero andate perdute per sempre. E allora?
“Giovanni, conto fino a tre, se al mio tre quelle mosche non saranno uscite stasera niente cartoni.”
Intanto quelle vigliacche delle parole avevano sentito tutto ma neanche ci pensavano a rientrare al loro posto, macché! Anzi, tanto per fare più dispetto si misero a girare intorno alla testa della mamma che si infuriò ancora di più.
Paolo e  Giovanni non sapevano più che fare.
“Dille la verità, è l’unica” sentenziò Paolo.
Allora Giovanni si avvicinò alla madre che stava sistemando la verdura in frigorifero, le fece segno di porgergli l’orecchio e mormorò:
”Non s-s-ssono mosche, mamma”
“No? Dio mio, e che insettacci sono, allora?”
“Non s-s-ssono insetti, mamma.”
“E allora che cosa sarebbero, sentiamo?”
“S-s-ssono le mie parole. Mi sono uscite dalla bocca e non vogliono rientrarci.”
“Questa poi! Come ti è venuta una bugia così fantasiosa? Guarda, è così originale che quasi mi passa la voglia di arrabbiarmi. Comunque sia voglio quegli insetti fuori di qui, subito.”
“Ma...mamma, guardale bene...non s-s-ssono insetti, sono pa-pa-paparole”.
La madre, finalmente, fissò l’attenzione su quella nuvola nera e brulicante e  quel che vide la fece restare a bocca aperta, tanto che non ebbe  neppure  la forza di arrabbiarsi con Giovanni.
La nuvola nel frattempo si era ricomposta, parole sparse avevano formato  racconti, poesie, perfino un romanzo che finì appiccicato sul soffitto,  la mamma lo lesse tutto d’un fiato.
"Appassionante" esclamò, quando ebbe finito.
I tre, tutti insieme,  lessero fino a tarda sera e ancora non ne avevano abbastanza.
Quando arrivò il padre di Giovanni era già ora di cena, li trovò che dormivano uno accanto all'altro sul divano con un’espressione beata sulla faccia.
Le parole, intanto, come l’acqua di un fiume in piena quando ritorna nel suo letto, si erano ritirate nella bocca di Giovanni che ora le teneva ben strette dentro di sé.
“Ehi, svegliatevi, voi tre!” disse il papà scuotendoli dolcemente.” Che cosa avete combinato per essere così stanchi?”
“Niente, papà,” rispose Giovanni, “ avevo perso le parole e ora le ho ritrovate.”
“Ma tu non balbetti, te ne sei accorto?”
“Io? Non so, io...è vero. Mamma, Paolo, sentite come parlo? Non balbetto, non balbetto più!”
Che cosa era successo? 
E chi lo sa? A volte, le parole fanno scherzi che neanche si possono immaginare, fatto sta che da quel giorno Giovanni non balbettò mai più e le sue parole restarono per sempre insieme a lui, a fargli compagnia, uscendo solo e sempre  al momento giusto.








































martedì 6 novembre 2018

L'inventastorie senza storie


Uno scrittore che ha perso l'ispirazione è come se fosse diventato cieco all'improvviso: perduto nel buio e solo, non gli resta che tentare il tutto per tutto per ritrovarla.
Buona lettura.


L’inventastorie senza storie
Barbara Cerrone


“Povero me, povero me!” si lamentava Aliseo, l’inventore di storie.” Ho perso l’ispirazione e non ho più storie da raccontare”.
Passava di lì Mafalda, la gallina, e subito cercò di consolarlo.
“Nessuno ti capisce più di me. Anch’io, sai, non faccio uova da due settimane, e il contadino dice che se continuo così mi tirerà il collo e con me ci farà il brodo.”
“E io, allora?” mugolò il cane Astolfo.”Una volta andavo in cerca di tartufi col mio padrone e ritornavo sempre con certi esemplari...ora, invece, ho perso il fiuto e tutto mi va storto. Il mio padrone dice che mi darà a un suo amico che sta sulla collina. Non sono più buono a nulla.”
“A chi lo dici,” muggì la mucca Gerardina,” da un mese non faccio più una goccia di latte. Se va così un giorno o l’altro mi porteranno al macello, già lo so.”
“Amici, vi ringrazio ma tutto ciò non mi consola. Devo ritrovare subito la mia ispirazione,  o per me sarà la fine.  Non posso più aspettare: esco subito a cercarla.”
Detto ciò, salutò gli amici del cortile e uscì, in cerca dell’ispirazione perduta.
Andò per campi e per valli, per boschi e per foreste, guadò fiumi e scavalcò muraglie ma della sua bella ispirazione nessuna traccia.
“Sono alla rovina, se non la ritrovo tanto vale che mi nasconda nella valle buia a finire i miei giorni in compagnia dei topi briganti.”
Mentre piangeva così ecco avvicinarsi una fila di formiche in gita che portavano una briciola di pane e marmellata per il picnic.
“Oh, chi si vede: l’inventastorie! Come mai da queste parti?” chiese la più anziana
“Ho perso la mia ispirazione, l’ho cercata dappertutto, per caso l’avete vista?”
“Noi? Hummm...no, lavoriamo e basta, non badiamo alle fantasie. E ora, se vuoi scusarci, abbiamo un picnic da metter su.”
E se ne andarono, lasciando il povero Aliseo al suo destino.
“Formiche,” borbottò, “che mi è venuto in mente di chiedere proprio a loro? Si sa che non hanno fantasia. Basta, è inutile cercare ancora, tanto vale che torni a casa.”
Mestamente, il nostro amico prese la via del ritorno, fermandosi ogni tanto a guardare qua e là per vedere se non gli fosse sfuggito qualcosa.
Aveva fatto solo pochi passi quando si vide venire incontro una formica tutta sola.
“E tu? Che fai da sola?” le chiese.
“Mi hanno cacciata dal formicaio” rispose quella.
“Cacciata? E perché?”
“Dicono che sono strana. Sai, mi piace sognare. Volevo dirti che io so dove puoi trovare quello che cerchi.”
“Davvero? E dove, dimmi, dove?”
“Seguimi e te lo mostrerò.
Camminarono per ore e ore fino ad arrivare a una vallata deserta, dove neanche un filo d’erba poteva crescere.
“Ecco, la tua ispirazione è qui. Devi solo scavare” disse la formica, e poi corse via via verso il bosco.
Aliseo non se lo fece ripetere e con le sole mani prese a scavare la terra sotto di sé.
Scava scava trovò una pietra durissima e trasparente come acqua, la prese, la guardò in controluce e vide che intrappolata nel suo cuore c’era qualcosa, sembrava un foglio bianco piegato in due: raccolse da terra un sasso, spaccò la pietra e lo tirò fuori.
Aprì il foglio per leggerlo  ma...sorpresa! Dentro ce n’era un altro uguale, aprì anche quello e ne trovò uno gemello.
Aprì cento, mille fogli: tutti uguali! Il bello era che ogni pagina bianca gli ispirava una nuova, bellissima storia.
Quella sera, a casa, ne scrisse così tante da riempirne volumi.
Fu così che la sua fama come scrittore  varcò i confini del paese,  tutti volevano leggere le sue storie.
Aliseo  continuò a scriverle per tutta la vita,  e da quella volta non perse mai più, nemmeno per un istante, l’ispirazione.
E la formica?
Una sera, sognando a occhi aperti, si mise a  fissare la luna nascente con tale intensità che uno dei suoi raggi la rapì e la portò  nel cielo, dove rimase come una nuova costellazione a guardare la terra da lassù.