Modulo di contatto

Nome

Email *

Messaggio *

lunedì 8 ottobre 2018

La solerzia di Armando.



Anche gli impiegati modello a volte perdono la testa.
Buona lettura



La solerzia di Armando
Barbara Cerrone



Quello che sto per raccontare è successo in un tempo lontano, e a dirla tutta fa rabbrividire.
Ancora oggi a pensarci si diventa pazzi; effettivamente uno ce ne fu che impazzì, e sì che era un tipo posato, tranquillo.
Un impiegato di non so quale amministrazione,  il suo nome era Armando.
La cosa accadde un giorno di inizio autunno, con le giornate ancora così calde e ingannatrici che sembrava di stare in piena estate.
Armando doveva espletare una certa praticaccia che gli portava via tempo ed energia, e quasi disperava di riuscirci, tanto era ostica e il tempo, come al solito, tiranno.
L’interessato era venuto a chiederne notizie molte volte, si era perfino spazientito a  sentire che c’era ancora da aspettare un bel po’, che il procedimento richiedeva questo e quello, e che bisognava esercitare senza risparmio la virtù più richiesta  agli  utenti dei pubblici servizi: la pazienza.
“Un corno!” proruppe il cittadino esasperato.” Io non aspetto più, e lei mi renderà conto...”
Di che cosa però non lo disse perché proprio in quell'istante per il troppo urlare gli mancò la voce, poveretto.
Armando, conscio delle responsabilità  che il suo  incarico comportava, prima si assicurò che nessuno avesse udito  quell'esternazione, poi  si grattò significativamente il naso e  rivolgendosi all'urlatore disse:
“Mi dispiace, signore, ma questi sono i tempi della burocrazia”.
Tanto bastò a far crollare le braccia al disgraziato che se ne andò, lasciando la speranza allo sportello.
Armando, dal canto suo,  si rimise subito al lavoro.
E come avrebbe potuto immaginare quel che poi vide? Lo vide ma per un pezzo pensò di non averlo visto affatto.
"Non è possibile, è un'allucinazione!" pensò vedendo un fascicolo che si apriva da solo.
Certo, una pagina non si gira  se non c’è almeno un venticello che la muove. 
E il timbro non prende e vola sulla pagina, andandosi a posare proprio lì dove deve stare per dar valore a tutte quelle frasi.
No, per questo ci vuol la mano di una persona, nessuna pratica si svolge da sola: come faceva quella, allora?
Eppure...
Non fu nemmeno l’ultima a sbrigarsela in autonomia, ce ne furono, uh, se ce ne furono! Una dopo l’altra, quella mattina.  Veloci come il vento,  e Armando che guardava e più che stupito era attonito, inebetito come quella volta che era caduto dalla sedia all'osteria.
Passati i primi attimi di stupore, il nostro  uomo volle capire.
“Ma come fate ad esser così svelte?” chiese a quei fascicoli pieni di fogli che si scrivevano da soli.
Avrebbe dato una decina dei suoi anni per scoprire quel segreto,  il trucco di far così alla svelta e così bene! C’era da avere un bell'encomio, una gratifica, o chissà che. Ma quelle niente! Non lo filavano nemmeno, non rispondevano, certo! Perché era chiaro che puntavano a qualcosa, e quel qualcosa l’avrebbero raggiunto se  Armando non avesse  preso  subito le sue precauzioni.
Meditò a lungo,  finché gli venne l’idea un po’ mascalzona di darsi il merito di tutto quel lavoro.
“Del resto, chi può smentirmi? Qui sono solo, stamattina, nessuno ha visto tranne me. Che provino, quei fogliacci, a dir la loro: glielo farò vedere io chi comanda in questo ufficio!”
Così risolse di andare subito dal capo, prima che lo facessero le sue rivali.
“Oh, bravo, così si fa!” gli disse il capo ufficio con gli occhi che brillavano. E gli affibbiò subito un’altra pila di scartoffie.
Armando non se ne fece certo un cruccio, già le vedeva all'opera da sole, solerti e svelte a toglierlo dai guai.
Rideva piano di un riso soffocato, come un leggero ringhio,  e così ringhiando attese che le pratiche finissero il lavoro.
La sua forbita mente stava già sognando  gli applausi e i complimenti dei colleghi quando un dubbio atroce lo attanagliò all'improvviso: e se fosse arrivato qualcuno proprio mentre quelle lavoravano? Il rischio c’era,  se le avessero viste come avrebbe potuto  negare l’evidenza? Encomio, applausi e gratifiche di sorta, tutto sarebbe andato a quelle carte e addio ai sogni di un povero impiegato!
Ma ecco la soluzione che balenò furtiva al suo cervello sopraffino: chiuderle nell'armadio.
E così fece.
Le stipò tutte bene bene nell'armadio a muro, girò la chiave e se la mise in tasca.
“Ecco, ora potete lavorare senza che nessuno vi veda” disse,  e si mise subito a recitar la parte di uno molto occupato, tenendo la testa china su una cartellina vuota che aveva messo lì sul tavolo allo scopo.
Il capo ufficio entrò solo una volta, vedendolo  immerso nel lavoro fino al naso se ne andò subito senza proferir verbo e  non lo cercò più per tutta la mattina.
Venne l’ora di uscire e Armando aprì finalmente l’armadio. Le pratiche,  tutte svolte alla perfezione, stavano ultimando la fase della timbratura.
Appena ebbero finito le estrasse piano piano, controllò che tutto fosse a posto e se ne andò, col sorriso sulle labbra.
Il giorno dopo la stessa tiritera e quello successivo, nemmeno a dirlo, uguale.
A fine mese ebbe una gratifica, il capo ufficio, con una pacca sulla spalla, gli offrì un caffè e i colleghi per poco non lo portarono in trionfo.
Il salto di qualità di quell'ufficio non sfuggì alle alte gerarchie dell’amministrazione che non mancarono di far conoscere all'impiegato Armando i sensi della loro profonda ammirazione.
Insomma tutto andava a gonfie vele,  Armando era felice, talvolta nello specchio gli pareva perfino di essere cresciuto dal suo metro e cinquantacinque, tanto era gonfio d’orgoglio e vanità.
Si fece crescere anche una bella barbetta che gli incorniciava il mento dandogli un’aria d’importanza, di saggezza, gli pareva,  tale che ormai nessuno lo avrebbe più ignorato, come accadeva sempre alle feste o lungo il viale del passeggio giù in città.
Ad un certo punto ci fu addirittura una donna, piacente anziché no, che gli ronzò intorno con l’intenzione di sposarlo e per poco non ci riuscì.
Tutto finisce, a questo mondo, compresa la fortuna, così finì anche quella di Armando.
La primavera  era appena all'inizio, Armando era in ufficio come al solito e come al solito fingeva di lavorare ficcando gli occhietti a spillo nella solita cartellina.
Il capo ufficio gli chiese notizie di una pratica che interessava un suo lontano cugino, immediatamente Armando scattò sugli attenti e andò a guardare nell'armadio.
Quello che vide, però, non gli piacque affatto.
Le pratiche, quelle stacanoviste che fino al giorno prima avevano lavorato tanto non avevano mosso pagina.
“Che succede, stamani? Siete in sciopero?” chiese Armando.
Poi  pensò che in fondo anche loro avevano diritto ad una pausa, richiuse lo sportello e si mise ad aspettare un quarto d’ora,  giusto il tempo di farle riposare.
Passato il quarto d’ora tornò alla carica: nulla. Ferme come fogli inerti.
“Che avete, dannazione? State attente, non mi piacciono certi scherzi!” sibilò richiudendo ancora una volta lo sportello.
Quella mattina la passò così, aprendo e richiudendo invano l’armadio;  le pratiche restarono ferme, e così anche il giorno dopo, e quello successivo.
Passò una settimana e niente era accaduto, il capo ufficio cominciava a innervosirsi, puntava i piedi, faceva allusioni e tormentava il povero Armando perché sbrigasse al più presto il suo lavoro.
“Che ti succede? La gratifica ti ha dato alla testa?” gli disse una mattina.” Si fa presto a scendere dopo essere tanto saliti, che credi? Bada, ti tengo d’occhio!”
Armando, di necessità virtù, aveva ripreso a lavorare ma il suo ritmo non era certo quello delle pratiche; studiava, ponderava, esitava, timbrava ma quanto a chiudere.. eh! Ci voleva tempo.
In capo a due settimane accumulò un bell'arretrato,  il capo ufficio già progettava di fargli una sanzione.
“Dalle stelle alle stalle,”  rimbrottò, “ del resto te l’avevo detto di non montarti la testa!”
Inutilmente Armando aveva schierato tutte le pratiche sul tavolo al centro della stanza e ogni giorno le  guardava con  occhio supplichevole, le vigliacche restavano impassibili.
Tutto era finito ormai. La gloria, le gratifiche, le soddisfazioni. Tutto.
Il sedicesimo giorno del suo martirio Armando si presentò al lavoro in ritardo.
Nessuno dei suoi colleghi riuscì mai a scoprire il perché ma alle dieci e trentacinque esatte, due minuti dopo la fine della pausa per il caffè, una  sottile lingua di fumo acre cominciò a spirare da sotto la porta del suo ufficio.
Il primo ad accorrere fu Ernesto. Curiosità e invidia lo rodevano da tempo per quell'omino che all'improvviso era diventato il cocco del capo ufficio,  sperava che per una volta ci fosse da divertirsi tanto da scoprire i suoi denti gialli schierati in un bel sorrisetto.
Non  poteva certo immaginare lo spettacolo che gli si sarebbe presentato: un gran falò in mezzo alla stanza e lui, l’irreprensibile Armando che ghignando come un indemoniato  gli ballonzolava intorno.
Ci vollero due robusti infermieri per bloccarlo, lo portarono via a fatica e di lui non si seppe più nulla.
Intanto il fumo aveva già  invaso il corridoio e tutti gli impiegati erano usciti dalle loro stanze precipitandosi fuori,  a respirare l’aria fresca del mattino.