Anche gli impiegati modello a volte perdono la testa.
Buona lettura
La
solerzia di Armando
Barbara Cerrone
Quello
che sto per raccontare è successo in un tempo lontano, e a dirla tutta fa rabbrividire.
Ancora
oggi a pensarci si diventa pazzi; effettivamente uno ce ne fu che
impazzì, e sì che era un tipo posato, tranquillo.
Un
impiegato di non so quale amministrazione, il suo nome era Armando.
La
cosa accadde un giorno di inizio autunno, con le giornate ancora così calde e
ingannatrici che sembrava di stare in piena estate.
Armando
doveva espletare una certa praticaccia che gli portava via tempo ed energia, e
quasi disperava di riuscirci, tanto era ostica e il tempo, come al solito,
tiranno.
L’interessato
era venuto a chiederne notizie molte volte, si era perfino spazientito a sentire che c’era ancora da aspettare un bel
po’, che il procedimento richiedeva questo e quello, e che bisognava esercitare
senza risparmio la virtù più richiesta agli
utenti dei pubblici servizi: la
pazienza.
“Un
corno!” proruppe il cittadino esasperato.” Io non aspetto più, e lei mi renderà
conto...”
Di
che cosa però non lo disse perché proprio in quell'istante per il troppo urlare
gli mancò la voce, poveretto.
Armando,
conscio delle responsabilità che il
suo incarico comportava, prima si
assicurò che nessuno avesse udito quell'esternazione,
poi si grattò significativamente il naso
e rivolgendosi all'urlatore disse:
“Mi
dispiace, signore, ma questi sono i tempi della burocrazia”.
Tanto bastò a far crollare le braccia al disgraziato che se ne andò, lasciando la
speranza allo sportello.
Armando,
dal canto suo, si rimise subito al
lavoro.
E
come avrebbe potuto immaginare quel che poi vide? Lo vide ma per un pezzo pensò
di non averlo visto affatto.
"Non è possibile, è un'allucinazione!" pensò vedendo un fascicolo che si apriva da solo.
Certo,
una pagina non si gira se non c’è almeno un venticello che la muove.
E
il timbro non prende e vola sulla pagina, andandosi a posare proprio lì dove
deve stare per dar valore a tutte quelle frasi.
No,
per questo ci vuol la mano di una persona, nessuna pratica si svolge da sola:
come faceva quella, allora?
Eppure...
Non
fu nemmeno l’ultima a sbrigarsela in autonomia, ce ne furono, uh, se ce ne
furono! Una dopo l’altra, quella mattina.
Veloci come il vento, e Armando
che guardava e più che stupito era attonito, inebetito come quella volta che
era caduto dalla sedia all'osteria.
Passati
i primi attimi di stupore, il nostro uomo volle capire.
“Ma
come fate ad esser così svelte?” chiese a quei fascicoli pieni di fogli che si
scrivevano da soli.
Avrebbe
dato una decina dei suoi anni per scoprire quel segreto, il trucco di far così alla svelta e così bene!
C’era da avere un bell'encomio, una gratifica, o chissà che. Ma quelle niente! Non lo filavano nemmeno, non rispondevano, certo! Perché era chiaro che
puntavano a qualcosa, e quel qualcosa l’avrebbero raggiunto se Armando non avesse preso subito le sue precauzioni.
Meditò
a lungo, finché gli venne l’idea un po’
mascalzona di darsi il merito di tutto quel lavoro.
“Del
resto, chi può smentirmi? Qui sono solo, stamattina, nessuno ha visto tranne
me. Che provino, quei fogliacci, a dir la loro: glielo farò vedere io chi
comanda in questo ufficio!”
Così
risolse di andare subito dal capo, prima che lo facessero le sue rivali.
“Oh,
bravo, così si fa!” gli disse il capo ufficio con gli occhi che brillavano. E gli
affibbiò subito un’altra pila di scartoffie.
Armando
non se ne fece certo un cruccio, già le vedeva all'opera da sole, solerti e
svelte a toglierlo dai guai.
Rideva
piano di un riso soffocato, come un leggero ringhio, e così ringhiando attese che le pratiche
finissero il lavoro.
La
sua forbita mente stava già sognando gli
applausi e i complimenti dei colleghi quando un dubbio atroce lo attanagliò
all'improvviso: e se fosse arrivato qualcuno proprio mentre quelle lavoravano?
Il rischio c’era, se le avessero viste come avrebbe potuto negare
l’evidenza? Encomio, applausi e gratifiche di sorta, tutto sarebbe andato a
quelle carte e addio ai sogni di un povero impiegato!
Ma
ecco la soluzione che balenò furtiva al suo cervello sopraffino: chiuderle
nell'armadio.
E
così fece.
Le
stipò tutte bene bene nell'armadio a muro, girò la chiave e se la mise in
tasca.
“Ecco,
ora potete lavorare senza che nessuno vi veda” disse, e si mise subito a recitar la parte di uno
molto occupato, tenendo la testa china su una cartellina vuota che aveva messo
lì sul tavolo allo scopo.
Il
capo ufficio entrò solo una volta, vedendolo immerso nel lavoro fino al naso se ne andò
subito senza proferir verbo e non lo
cercò più per tutta la mattina.
Venne
l’ora di uscire e Armando aprì finalmente l’armadio. Le pratiche, tutte svolte alla perfezione, stavano ultimando
la fase della timbratura.
Appena
ebbero finito le estrasse piano piano, controllò che tutto fosse a posto e se
ne andò, col sorriso sulle labbra.
Il
giorno dopo la stessa tiritera e quello successivo, nemmeno a dirlo, uguale.
A
fine mese ebbe una gratifica, il capo ufficio, con una pacca sulla spalla, gli
offrì un caffè e i colleghi per poco non lo portarono in trionfo.
Il
salto di qualità di quell'ufficio non sfuggì alle alte gerarchie
dell’amministrazione che non mancarono di far conoscere all'impiegato Armando i
sensi della loro profonda ammirazione.
Insomma
tutto andava a gonfie vele, Armando era
felice, talvolta nello specchio gli pareva perfino di essere cresciuto dal suo
metro e cinquantacinque, tanto era gonfio d’orgoglio e vanità.
Si
fece crescere anche una bella barbetta che gli incorniciava il mento dandogli
un’aria d’importanza, di saggezza, gli pareva,
tale che ormai nessuno lo avrebbe più ignorato, come accadeva sempre alle feste o lungo il viale del passeggio giù in città.
Ad
un certo punto ci fu addirittura una donna, piacente anziché no, che gli ronzò
intorno con l’intenzione di sposarlo e per poco non ci riuscì.
Tutto
finisce, a questo mondo, compresa la fortuna, così finì anche quella di
Armando.
La
primavera era appena all'inizio, Armando
era in ufficio come al solito e come al solito fingeva di lavorare ficcando gli
occhietti a spillo nella solita cartellina.
Il
capo ufficio gli chiese notizie di una pratica che interessava un suo lontano
cugino, immediatamente Armando scattò sugli attenti e andò a guardare
nell'armadio.
Quello
che vide, però, non gli piacque affatto.
Le
pratiche, quelle stacanoviste che fino al giorno prima avevano lavorato tanto
non avevano mosso pagina.
“Che
succede, stamani? Siete in sciopero?” chiese Armando.
Poi
pensò che in fondo anche loro avevano
diritto ad una pausa, richiuse lo sportello e si mise ad aspettare un quarto
d’ora, giusto il tempo di farle
riposare.
Passato
il quarto d’ora tornò alla carica: nulla. Ferme come fogli inerti.
“Che
avete, dannazione? State attente, non mi piacciono certi scherzi!” sibilò
richiudendo ancora una volta lo sportello.
Quella
mattina la passò così, aprendo e richiudendo invano l’armadio; le pratiche restarono ferme, e così anche il
giorno dopo, e quello successivo.
Passò
una settimana e niente era accaduto, il capo ufficio cominciava a innervosirsi,
puntava i piedi, faceva allusioni e tormentava il
povero Armando perché sbrigasse al più presto il suo lavoro.
“Che
ti succede? La gratifica ti ha dato alla testa?” gli disse una mattina.” Si fa
presto a scendere dopo essere tanto saliti, che credi? Bada, ti tengo
d’occhio!”
Armando,
di necessità virtù, aveva ripreso a lavorare ma il suo ritmo non era certo
quello delle pratiche; studiava, ponderava, esitava, timbrava ma quanto a
chiudere.. eh! Ci voleva tempo.
In
capo a due settimane accumulò un bell'arretrato, il capo ufficio già progettava di fargli una
sanzione.
“Dalle
stelle alle stalle,” rimbrottò, “ del
resto te l’avevo detto di non montarti la testa!”
Inutilmente
Armando aveva schierato tutte le pratiche sul tavolo al centro della stanza e
ogni giorno le guardava con occhio supplichevole, le vigliacche restavano impassibili.
Tutto
era finito ormai. La gloria, le gratifiche, le soddisfazioni. Tutto.
Il
sedicesimo giorno del suo martirio Armando si presentò al lavoro in ritardo.
Nessuno
dei suoi colleghi riuscì mai a scoprire il perché ma alle dieci e trentacinque
esatte, due minuti dopo la fine della pausa per il caffè, una sottile lingua di fumo acre cominciò a spirare
da sotto la porta del suo ufficio.
Il
primo ad accorrere fu Ernesto. Curiosità e invidia lo rodevano da tempo per
quell'omino che all'improvviso era diventato il cocco del capo ufficio, sperava che per una volta ci fosse da
divertirsi tanto da scoprire i suoi denti gialli
schierati in un bel sorrisetto.
Non poteva certo immaginare lo spettacolo che gli
si sarebbe presentato: un gran falò in mezzo alla stanza e lui,
l’irreprensibile Armando che ghignando come un indemoniato gli ballonzolava intorno.
Ci
vollero due robusti infermieri per bloccarlo, lo portarono via a fatica e di
lui non si seppe più nulla.
Intanto
il fumo aveva già invaso il corridoio e
tutti gli impiegati erano usciti dalle loro stanze precipitandosi fuori, a respirare l’aria fresca del mattino.
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