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mercoledì 19 settembre 2018

Eloisa, farfalla di...peso!




Un'altra filastrocca? Sì, ma solo per cominciare!
Poi segue una delle mie fiabe.
Buona lettura.







Queste fiabe sconclusionate…
indovina chi le ha pensate?
Se ci riesci te lo dico
ma non sei più mio amico.
Mi dispiace questo fatto
e fa rima con un gatto
che si prese la porzione
di formaggio provolone:
era gatto oppure topo?
Te lo dico, però…dopo,
ho da fare tante cose
devo coglier le mimose,
i garofani  e le rose,
se tu vuoi darmi una mano
non restar troppo lontano:
vieni, vieni qui da me
che ce n’è anche per te!
Questa fiaba è senza storia,
perché  io non ho memoria,
non ho più di che narrare
e mi voglio anche fermare
ho già detto troppe cose,
più importanti son le rose.
Vedi bene che non mento
è il tuo riso che ora sento?
Ridi o fingi, caro mio?
E chi piange sono io!
Torno a tutte le mie cose,
solo, prima ti dirò
ciò ch’io stessa più non so:
le mie fiabe sono storie,
sono piccole memorie
di una fantasia bambina
che non resta più in cantina,
esce fiera allo scoperto
ed accetta anche l’incerto,
si accontenta di un sorriso
che ora spunta sul tuo viso;
se ti parlo del mio gatto
o del glicine disfatto
da una strega malfattrice
che ha nome Pieralice,
tu dirai “Be’, ma chi è?”
Non lo vengo a dire a te!
Son segreti secretati,
nessun mai li ha rivelati,
se una timida falena
ora tu inviti a cena
chi mai lo verrà a sapere?
Il formaggio con le pere!
Certo lui lo scoprirà
ma mangiato resterà.
Tenga ognuno il suo segreto,
come un fiume nel suo greto
io che vivo nel roseto
da farfalla impenitente
dico “Non m’importa niente”
di saper segreti altrui
e di quei momenti bui
che attraversano la mente
di gran parte della gente,
sono fata anche se umana
perché sogno la magia
che ti dona l’allegria,
la felice situazione
della gioia a profusione
l’unica che può venire
dal tuo giovane sentire,
dalla fresca fantasia
che non devi mandar via.
Cresci in mezzo a questi sogni,
non avrai altri bisogni
che sognare la bellezza
e scacciare la tristezza.
Fiaba è il nome che io porto
e ora vado nel mio orto,
fatto sì di pomodori
e di tanti buoni odori
che solleticano il naso
e ti crescono nel vaso.
Coltivando anche il giardino,
resto sempre a te vicino:
mio simpatico bambino.











Eloisa

 Barbara Cerrone

Eloisa era una farfalla con una peculiarità.
Ne sapevano qualcosa le margherite quando si poggiava sulle loro corolle.
Eloisa, vedete, era una farfalla incredibilmente, inesorabilmente, irrinunciabilmente grassa, ed era felice così. Anzi. Una volta, specchiandosi in un torrentello, si era trovata un po' sciupata e il giorno dopo aveva succhiato il doppio del nettare dai fiori del parco per riprendere un po' di peso.
Quando volava, posandosi di fiore in fiore, in molti la scambiavano per un elefante ma lei sorrideva e diceva: "Non fa nulla, non si preoccupi, capita a tutti di sbagliare."
I suoi atterraggi li ricordavano per mesi i prati del suo paese perché, di solito, c'era un rimbombo che scuoteva la terra come un terremoto, e le onde sonore si propagavano per miglia e miglia generando scompiglio fra le popolazioni.
Era gentile, però, e questo la rendeva leggera, anche se nessun umano la voleva sul palmo della mano, né i fiori anelavano ad avere una sua visita, a meno che non desiderassero ritrovarsi incollati a terra come una decalcomania.
Per nutrirsi aveva bisogno di molto nettare, tanto che non le bastavano i fiori del parco reale a colazione e doveva spostarsi fino al villaggio delle rose, da dove, dopo aver spiaccicato un intero roseto, tornava quasi sazia al suo paese per sbrigare le faccende della giornata. Faccende di farfalla, naturalmente.
Era davvero molto rotonda, praticamente una sfera. Tutti le volevano bene, sì, ma... a distanza. Perché capite che abbracciarla voleva dire essere soffocati o giù di lì se si era insetti o simili.
Lei, però, sorridente e leggiadra, non se ne curava, e continuava a svolazzare come una vera farfalla di fiore in fiore, senza accorgersi che, dopo le sue visite, i giardini erano come rasi al suolo.
Una volta, un'ape anziana, magra e stizzosa, puntò verso di lei e le rivolse queste parole velenose:
"Buongiorno, palla di cannone, sei di queste parti?"
"Palla di... oh, che buffo! Ah, ah, ah!” rise Eloisa.
"Come, elefante volante, non ti sei offesa?"
"Offesa? Ih, ih, ih! E perché? Mi piacciono le battute. Da dove venite, buona ape?"
"Da dove vengo, non sono affari tuoi - rispose acida la vecchia – piuttosto, tu che razza d’insetto sei, grossa e grassa così?"
"E me lo domandate buona ape? Sono una farfalla, si vede, no?"
"No, no che non si vede! Le farfalle sono leggiadre, magrissime, colorate e belle e tu sei grassa, goffa e hai i colori sbiaditi.”
"Ho i colori sbiaditi, dite? Ah, be’, perché oggi ho indossato le ali da lavoro, di solito le mie colleghe mettono quelle da passeggio anche quando vanno per fiori, ma io no, sapete com'è, si sporcano subito... ma voi, buona ape, ditemi: che ne pensate di questo nettare? E' buono, vero?"
"Buono? Puah! Fa schifo, altroché! Eh, una volta c'era un nettare...una meraviglia! Oggi, invece, è tutto un grande schifo. Anche tu, una farfalla obesa... un vero orrore! Ai miei tempi non sarebbe successo, le farfalle erano leggere e delicate come piume.”.
"Oh, ma anche oggi, anche oggi, credete. Le mie care sorelle e colleghe sono tutte leggere, io no, ma è che sono d'appetito, mi piace mangiare, ecco tutto."
"Sì, sì, cicciona, ho capito, ho capito. Be’, adesso vado, torno al mio alveare. Ti saluto farfalla-cannone."
"Ciao, cara, che il cielo ti benedica!", rispose Eloisa, sempre sorridendo.
Eh, sì, Eloisa, era fatta così, non si arrabbiava mai, era sempre allegra e voleva bene a tutti, anche alle api dispettose. Non era stupida, sapete, anzi. Era una farfalla intelligentissima, aveva studiato nelle migliori università per farfalle, era solo molto molto allegra, ecco.
Un'altra volta un lombrico, invidioso perché lei poteva volare mentre lui strisciava e basta, si piantò in mezzo al campo e cominciò a tirarle palline di terra negli occhi. Lei, però, pensando a un nuovo gioco, si mise a ridere, a ridere e a ridere, e ridendo disse al lombrico:
"Uh, che bel gioco, che bel gioco, che bel gioco!", poi si sciacquò gli occhietti vispi in un rigagnolo d'acqua. Il lombrico ebbe un riversamento di bile, fu necessario portarlo subito in ospedale, (quello dei lombrichi infermi, ovvio) dove gli fu praticato d'urgenza un intervento difficilissimo che non riuscì, e il lombricaccio restò così, rabbioso e triste per tutto il resto dei suoi lombricheschi giorni.
Un'altra volta ancora, un uomo anziano che amava cacciar le farfalle per il gusto di vederle dibattersi in cerca di una via di fuga, dopo averla vista decise di catturarla e costruì un retino con le maglie d'acciaio perché ne sostenesse il peso.
E la catturò, infatti. Soddisfatto, pensando a come si sarebbe divertito, si trovò davanti ad uno spettacolo inaspettato: la grossa farfalla, per niente spaventata, saltava come un grillo su e giù nel retino, ridendo a crepapelle.
"Ah, ah, ah! Che divertimento! Bravo! Che bella idea! Bravo, bravo!"
L'uomo, deluso, la lasciò andare.
Eh, sì, Eloisa era proprio fatta così, non lasciava appigli alla malignità, del resto, lei stessa era troppo buona perché potesse attaccarlesi addosso qualsiasi bavoso umor di malvagità: semplicemente le scivolava via dalle ali possenti come la pioggerella d'aprile.
Chiunque l'abbia conosciuta, l'ha amata.
Oggi, lontana miglia e miglia causa matrimonio felicissimo con un giovin farfallo di un paese lontano, non la si vede più volare leggera (!!!) di fiore in fiore mentre canta la filastrocca dei lepidotteri operosi. Tutti la rimpiangono, davvero, infatti gira voce di un viaggio che starebbero organizzando i suoi amici per andare a trovarla. Spero tanto di poterci andare anch'io, se le mie ali mi porteranno, così potrò darvi notizie fresche della farfalla più grassa che c'è, la più gentile, la più brillante nonché la più intelligente: lei, l'unica, Eloisa de' Fiori.











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