Un'altra filastrocca? Sì, ma solo per cominciare!
Poi segue una delle mie fiabe.
Buona lettura.
Queste fiabe sconclusionate…
indovina chi le ha pensate?
Se ci riesci te lo dico
ma non sei più mio amico.
Mi dispiace questo fatto
e fa rima con un gatto
che si prese la porzione
di formaggio provolone:
era gatto oppure topo?
Te lo dico, però…dopo,
ho da fare tante cose
devo coglier le mimose,
i garofani e le
rose,
se tu vuoi darmi una mano
non restar troppo lontano:
vieni, vieni qui da me
che ce n’è anche per te!
Questa fiaba è senza storia,
perché io non ho
memoria,
non ho più di che narrare
e mi voglio anche fermare
ho già detto troppe cose,
più importanti son le rose.
Vedi bene che non mento
è il tuo riso che ora sento?
Ridi o fingi, caro mio?
E chi piange sono io!
Torno a tutte le mie cose,
solo, prima ti dirò
ciò ch’io stessa più non so:
le mie fiabe sono storie,
sono piccole memorie
di una fantasia bambina
che non resta più in cantina,
esce fiera allo scoperto
ed accetta anche l’incerto,
si accontenta di un sorriso
che ora spunta sul tuo viso;
se ti parlo del mio gatto
o del glicine disfatto
da una strega malfattrice
che ha nome Pieralice,
tu dirai “Be’, ma chi è?”
Non lo vengo a dire a te!
Son segreti secretati,
nessun mai li ha rivelati,
se una timida falena
ora tu inviti a cena
chi mai lo verrà a sapere?
Il formaggio con le pere!
Certo lui lo scoprirà
ma mangiato resterà.
Tenga ognuno il suo segreto,
come un fiume nel suo greto
io che vivo nel roseto
da farfalla impenitente
dico “Non m’importa niente”
di saper segreti altrui
e di quei momenti bui
che attraversano la mente
di gran parte della gente,
sono fata anche se umana
perché sogno la magia
che ti dona l’allegria,
la felice situazione
della gioia a profusione
l’unica che può venire
dal tuo giovane sentire,
dalla fresca fantasia
che non devi mandar via.
Cresci in mezzo a questi sogni,
non avrai altri bisogni
che sognare la bellezza
e scacciare la tristezza.
Fiaba è il nome che io porto
e ora vado nel mio orto,
fatto sì di pomodori
e di tanti buoni odori
che solleticano il naso
e ti crescono nel vaso.
Coltivando anche il giardino,
resto sempre a te vicino:
mio simpatico bambino.
Eloisa
Barbara Cerrone
Eloisa era una farfalla con una
peculiarità.
Ne sapevano qualcosa le margherite
quando si poggiava sulle loro corolle.
Eloisa, vedete, era una farfalla
incredibilmente, inesorabilmente, irrinunciabilmente grassa, ed era felice
così. Anzi. Una volta, specchiandosi in un torrentello, si era trovata un po'
sciupata e il giorno dopo aveva succhiato il doppio del nettare dai fiori del
parco per riprendere un po' di peso.
Quando volava, posandosi di fiore in
fiore, in molti la scambiavano per un elefante ma lei sorrideva e diceva:
"Non fa nulla, non si preoccupi, capita a tutti di sbagliare."
I suoi atterraggi li ricordavano per mesi
i prati del suo paese perché, di solito, c'era un rimbombo che scuoteva la
terra come un terremoto, e le onde sonore si propagavano per miglia e miglia
generando scompiglio fra le popolazioni.
Era gentile, però, e questo la rendeva
leggera, anche se nessun umano la voleva sul palmo della mano, né i fiori
anelavano ad avere una sua visita, a meno che non desiderassero ritrovarsi
incollati a terra come una decalcomania.
Per nutrirsi aveva bisogno di molto
nettare, tanto che non le bastavano i fiori del parco reale a colazione e
doveva spostarsi fino al villaggio delle rose, da dove, dopo aver spiaccicato
un intero roseto, tornava quasi sazia al suo paese per sbrigare le faccende
della giornata. Faccende di farfalla, naturalmente.
Era davvero molto rotonda, praticamente
una sfera. Tutti le volevano bene, sì, ma... a distanza. Perché capite che
abbracciarla voleva dire essere soffocati o giù di lì se si era insetti o
simili.
Lei, però, sorridente e leggiadra, non
se ne curava, e continuava a svolazzare come una vera farfalla di fiore in
fiore, senza accorgersi che, dopo le sue visite, i giardini erano come rasi al
suolo.
Una volta, un'ape anziana, magra e
stizzosa, puntò verso di lei e le rivolse queste parole velenose:
"Buongiorno, palla di cannone, sei
di queste parti?"
"Palla di... oh, che buffo! Ah, ah, ah!”
rise Eloisa.
"Come, elefante volante, non ti
sei offesa?"
"Offesa? Ih, ih, ih! E perché? Mi
piacciono le battute. Da dove venite, buona ape?"
"Da dove vengo, non sono affari
tuoi - rispose acida la vecchia – piuttosto, tu che razza d’insetto sei, grossa
e grassa così?"
"E me lo domandate buona ape? Sono
una farfalla, si vede, no?"
"No, no che non si vede! Le
farfalle sono leggiadre, magrissime, colorate e belle e tu sei grassa, goffa e
hai i colori sbiaditi.”
"Ho i colori sbiaditi, dite? Ah, be’,
perché oggi ho indossato le ali da lavoro, di solito le mie colleghe mettono
quelle da passeggio anche quando vanno per fiori, ma io no, sapete com'è, si
sporcano subito... ma voi, buona ape, ditemi: che ne pensate di questo nettare?
E' buono, vero?"
"Buono? Puah! Fa schifo, altroché!
Eh, una volta c'era un nettare...una meraviglia! Oggi, invece, è tutto un
grande schifo. Anche tu, una farfalla obesa... un vero orrore! Ai miei tempi
non sarebbe successo, le farfalle erano leggere e delicate come piume.”.
"Oh, ma anche oggi, anche oggi,
credete. Le mie care sorelle e colleghe sono tutte leggere, io no, ma è che
sono d'appetito, mi piace mangiare, ecco tutto."
"Sì, sì, cicciona, ho capito, ho
capito. Be’, adesso vado, torno al mio alveare. Ti saluto
farfalla-cannone."
"Ciao, cara, che il cielo ti
benedica!", rispose Eloisa, sempre sorridendo.
Eh, sì, Eloisa, era fatta così, non si
arrabbiava mai, era sempre allegra e voleva bene a tutti, anche alle api dispettose.
Non era stupida, sapete, anzi. Era una farfalla intelligentissima, aveva
studiato nelle migliori università per farfalle, era solo molto molto allegra,
ecco.
Un'altra volta un lombrico, invidioso
perché lei poteva volare mentre lui strisciava e basta, si piantò in mezzo al
campo e cominciò a tirarle palline di terra negli occhi. Lei, però, pensando a
un nuovo gioco, si mise a ridere, a ridere e a ridere, e ridendo disse al
lombrico:
"Uh, che bel gioco, che bel gioco,
che bel gioco!", poi si sciacquò gli occhietti vispi in un rigagnolo
d'acqua. Il lombrico ebbe un riversamento di bile, fu necessario portarlo
subito in ospedale, (quello dei lombrichi infermi, ovvio) dove gli fu praticato
d'urgenza un intervento difficilissimo che non riuscì, e il lombricaccio restò
così, rabbioso e triste per tutto il resto dei suoi lombricheschi giorni.
Un'altra volta ancora, un uomo anziano
che amava cacciar le farfalle per il gusto di vederle dibattersi in cerca di
una via di fuga, dopo averla vista decise di catturarla e costruì un retino con
le maglie d'acciaio perché ne sostenesse il peso.
E la catturò, infatti. Soddisfatto,
pensando a come si sarebbe divertito, si trovò davanti ad uno spettacolo
inaspettato: la grossa farfalla, per niente spaventata, saltava come un grillo
su e giù nel retino, ridendo a crepapelle.
"Ah, ah, ah! Che divertimento!
Bravo! Che bella idea! Bravo, bravo!"
L'uomo, deluso, la lasciò andare.
Eh, sì, Eloisa era proprio fatta così,
non lasciava appigli alla malignità, del resto, lei stessa era troppo buona
perché potesse attaccarlesi addosso qualsiasi bavoso umor di malvagità:
semplicemente le scivolava via dalle ali possenti come la pioggerella d'aprile.
Chiunque l'abbia conosciuta, l'ha
amata.
Oggi, lontana miglia e miglia causa
matrimonio felicissimo con un giovin farfallo di un paese lontano, non la si
vede più volare leggera (!!!) di fiore in fiore mentre canta la filastrocca dei
lepidotteri operosi. Tutti la rimpiangono, davvero, infatti gira voce di un
viaggio che starebbero organizzando i suoi amici per andare a trovarla. Spero
tanto di poterci andare anch'io, se le mie ali mi porteranno, così potrò darvi
notizie fresche della farfalla più grassa che c'è, la più gentile, la più
brillante nonché la più intelligente: lei, l'unica, Eloisa de' Fiori.
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