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sabato 26 dicembre 2020

La principessa dorminpiedi

 Pubblico nuovamente, con qualche piccola variante, "La principessa dorminpiedi", apparsa anche sul sito "Tiraccontounafiaba.it", e in questo blog, nel marzo 2018.

Non  risponde esattamente ai canoni della fiaba vera e propria, ad esempio manca l'elemento magico anche se il mago c'è, ma è solo un imbroglione.
Ho deciso di proporvela ugualmente, nonostante sia una quasi-fiaba.
 Buona lettura.





La principessa dorminpiedi
Barbara Cerrone


Ogni re ha il suo cruccio, viceversa non si può dire che ogni cruccio abbia il suo re. Il monarca di cui vi parlo oggi aveva un grave problema: la principessa Betsabea, sua figlia. 
Niente da dire, Betsabea era una ragazza alta, bella, bionda, occhi azzurri, viso angelico, pelle rosea, mente acuta, cuor sincero, buon carattere, semplice, vera, nobile, fiera, elegante, virtuosa ma…eh sì, c’era un ma, un grosso ma: dormiva sempre. Di giorno, di notte, in piedi o seduta lei ronfava, e nessun medico aveva saputo spiegare la causa di quello strano morbo che tanto morbo poi non era, visto che la fanciulla sembrava un fiore appena sbocciato e mangiava di buon appetito (sonnecchiando).
Chiunque volesse scambiare due parole con lei, compresi i genitori, doveva accontentarsi dei pochi minuti durante la giornata in cui lei rimaneva abbastanza sveglia da poter capire una frase intera e rispondere senza russare. Per il resto del giorno la sua mente e i suoi occhi navigavano nel mare dei sogni: dormiva in piedi, seduta, sdraiata. Dormiva mentre passeggiava in giardino sottobraccio a due damigelle. Dormiva mentre ricamava; filava; giocava; nuotava; studiava; leggeva; abbracciava; salutava; danzava. Dormiva sempre. E russava, anche, talmente forte che tutta la corte fu costretta a procurarsi dei tappi di cera per non sentirla, solo che così era diventata una corte di sordi che dovevano comunicare a gesti e non vi dico l’imbarazzo con le delegazioni straniere!
Di questa gran disgrazia il re si doleva spesso con sua moglie, la regina Armida, la quale, poverina, non sapendo che dire né che fare, puntualmente tirava fuori un fazzolettino ricamato e piangeva calde lacrime, consolata dalle sue damigelle che, all'occorrenza, le soffiavano anche il regal naso. 
“Mia cara, non serve piangere, qui serve agire” diceva il re scuotendo il capo, perché sapeva bene che di azioni ne avevano fatte tante ma senza  risultati.
“Hai ragione,” ammetteva la regina, “ smetto subito ma che si fa? Il nostro medico dice che è melanconia, il guaritore che sono umori fermi, la negromante che si tratta di fattura ma nessuno ha saputo dare cure che facessero un qualche effetto.”
 Così dicendo riponeva il fazzoletto e si rimetteva a ricamare.
Una volta in cui la ragazza russava più del solito, le vibrazioni erano talmente forti che la sua dama di compagnia corse dalla regina per chiederle il da farsi.
“Eh, ”rispose la sovrana, “ l’unica cosa che puoi fare è accompagnarla in camera sua e adagiarla sul letto, così nessuno la sentirà. Poveri noi!”
“Sarà fatto, mia regina” disse la dama  tornando svelta dalla principessa.
La ragazza nel frattempo si era svegliata (era uno di quei rari attimi in cui riusciva a tenere gli occhi aperti) e accolse la dama fissandola come se fosse stata una visione.
“Teodosia,” questo era il nome della damigella, ”che fai? Io voglio andare in giardino a giocare a palla, perché mi porti via?”
“Principessa, voi non vi rendete conto…stavate dormendo in piedi e… perdonatemi: russavate, ecco, e molto forte, tanto che la regina vostra madre mi ha chiesto di portarvi via perché non vi sentissero.”
“Davvero? Oh, povera me! Finirà mai questo tormento? Guarirò mai dalla mia malattia? Quale principe vorrà mai sposare una principessa dorminpiedi?” e così dicendo ripiombò subito nel sonno; Teodosia allora le mise una mano intorno alla vita per sostenerla e la condusse fino alla sua camera, dove la dormiente rimase fino al breve risveglio della sera.
Intanto nella reggia c’era chi rumoreggiava, ci si chiedeva da più parti come avrebbe fatto ad assicurare una discendenza una dorminpiedi capace di star sveglia solo pochi minuti al giorno. 
Il problema era grave, ne andava del futuro del regno, perciò i notabili erano davvero preoccupati e pensavano di chiedere al re di abdicare in favore del cugino Malvolto.
Chi era Malvolto? Il solito pretendente al trono cattivo, assetato di potere, avido e…brutto come la paura in una notte buia e tempestosa. Era il figlio del fratello del re, Odoardo, morto di indigestione durante non ricordo più quale epica battaglia. 
Odoardo, in punto di morte, pare avesse farfugliato al proprio attendente, tal Mercadante da Norimberga, qualcosa come: “Giura che ti impegnerai a fare di Malvolto un bravo usurpatore da grande! ” 
 Mercadante, dal canto suo, ci si era impegnato ben  benino, lo aveva mandato perfino all'estero a studiare,  tanto che a quindici anni Malvolto era già un esperto in complotti, trame di corte e trescacce varie.
Figuratevi, allora, l’angoscia del sovrano quando al suo regal orecchio arrivarono voci di una possibile congiura a favore di Malvolto! Non dormiva più la notte. Non ci stava più nella pelle. Non diceva più parola. Insomma era in ambasce. Viceversa Betsabea, che nulla sapeva di tutto questo gran fermento, era sempre più assonnata e immersa nei suoi sogni come un pesce nel mare.
Un giorno, mentre la principessa dorminpiedi era stesa sul divano, ufficialmente a riflettere sul proprio futuro (in realtà russava come un ghiro in letargo) si presentò a palazzo un certo mago Artemio, personaggio bizzarro e un po’ fasullo ma di gran moda presso le corti dell’epoca.
Arrivò accompagnato dai suoi fidi, un gatto zoppo, un cane cieco e tre topi a reggergli il mantello.
Era un mago diplomato alla scuola di magia di vattelappesca ma piaceva, e nessuno capiva il perché; oltretutto, fisicamente era piuttosto repellente, così alto e pieno di verruche sul viso angoloso ma tant'è: piaceva.
Anche in quella corte il suo fascino colpì nel segno, incantò subito la regina madre con il potere dei suoi occhi miopi e la convinse, lei che soffriva di vertigini, a camminare in bilico sul davanzale di una finestra della torre merlata come se da lì volesse prendere il volo.
Un’altra volta, invece, rimbambì a tal punto il re da riuscire a farlo cavalcare lungo una mulattiera che si affacciava su uno strapiombo. Il re poi ebbe visioni della carica di Balaklava, previde il terremoto di San Francisco ed ebbe incubi per una settimana. Sono cose che succedono.
Episodi come questi si ripeterono tante di quelle volte che i dignitari di corte cominciarono a temere per la vita dei loro sovrani, ma i due regnanti credevano fermamente che  Artemio avrebbe trovato prima o poi un rimedio per la loro figlia dorminpiedi, e guai a chi lo toccava.
A dire il vero questa speranza il mago non gliel'aveva data affatto, anzi, sapeva bene di non poter far nulla e non voleva compromettere la sua fama, perciò aveva sempre ammesso, non senza prima biascicare due o tre delle sue litanie,  che per svegliare Betsabea non c’erano pozioni né magie.
 Nonostante ciò, il re e la regina continuavano a sperare, e ogni giorno tornavano a chiedergli se aveva trovato un rimedio.
L’insistenza dei sovrani era tale che Artemio cominciava a temere di perdere  il suo  posto di mago a corte se non si fosse fatto venire subito un' idea.  Il guaio era che non aveva fra le sue pozioni nessun intruglio adatto, perciò si proponeva di studiare un qualche imbroglio, un trucco che gli permettesse di salvar la faccia, almeno per un po’.
Pensa e rifletti, rifletti e pensa, gli venne in mente una strana bibita, amara e scura, che aveva sorbito qualche anno prima in un paese lontano; si ricordò che, dopo averla bevuta, non aveva potuto prender sonno per qualche ora e il suo ospite gli aveva detto che, sì, era normale, era proprio un effetto di quella bevanda. Ma come farla arrivare fin lì? Scrivere a quella sua conoscenza lontana? Andar lui stesso a prenderne una scorta e, se fosse andata male, venderla poi agli allocchi come elisir di gioventù, tanto per rifarsi dello smacco? Pensò fosse meglio parlarne al re, che decidesse lui il se e il come.
“Sire,” gli disse il giorno dopo, “ forse so quale elisir ci vuole per la malattia di vostra figlia ma occorre procurarselo perché non si trova qui.”
“Davvero? E dove si trova? ” rispose il re tutto emozionato.
“In un lontano paese, dove io sono stato tanto tempo fa. Conosco una persona che ha questa miracolosa pozione ma non so che fare. Andare io a prenderla? E’ un viaggio lungo e pericoloso, poi ci sono le spese. Scrivere a quel signore e chiedergli che me ne spedisca? Anche qui i rischi non mancano, e il costo non lo so quantificare.”
“Ah, non vi preoccupate del costo, quello è affar mio. L’unica cosa di cui dovete preoccuparvi è che la pozione arrivi, il modo più sicuro è che andiate voi stesso? Allora partite subito. Vi darò tutto ciò che vi necessita, compresa una scorta di uomini al seguito per la vostra sicurezza. Partite, tornate con quel rimedio e che Dio sia con voi”.
A queste parole, Artemio il mago si ritirò, e andò nella sua stanza a far bagagli.
Il giorno dopo, all'alba, un corteo di uomini a cavallo, muniti di armi, viveri e denari in quantità si mosse da palazzo reale, mago in testa, alla volta del paese lontano dove  si poteva trovare la magica bevanda che avrebbe fatto di una dorminpiedi una sveglia principessa.
Procedettero senza intoppi fino al mare, il mago Artemio, che si era dotato di tutte le comodità possibili in quell'epoca in cui ce n’erano assai poche, schiacciava pisolini ad ogni sosta con la scusa di dover riflettere sulle massime questioni.
Uomini e cavalli, stanchi per il lungo viaggio, arrivati nella bella città di  Venicia  si diressero verso il porto per imbarcarsi  e proprio lì Artemio, per un puro caso del destino, incontrò un suo vecchio compagno di scorribande.
“Teodoro!” gridò vedendolo salire sulla sua stessa nave.“ Mi riconosci? Sono Artemio, ricordi?”
“Chi?” rispose costui guardandolo per un attimo fisso negli occhi. “ Ah, sì, certo! Quanto tempo...e cosa ti porta mai su questa navicella?”
“Oh, figliolo mio, i casi della vita” rispose Artemio e raccontò di questi casi al vecchio amico, mentre con il suo seguito, topi, gatto e cane compresi, prendeva posto a bordo.
“Capisco,” disse alla fine Teodoro, “certo, hai avuto una gran bella pensata ma sappi che a Venicia si può già trovare la bevanda che cerchi. In questa città commerciano con il paese dove sei diretto e qualche mercante ha già portato il qahwa che tiene svegli e dà gran tono al fisico,  e tu potevi evitare di fare tanta strada.”
“Non lo sapevo, caro mio e ormai la nave salpa ma ti ringrazio: dovesse andare bene per il  mio scopo saprò dove trovarne ancora, alla bisogna.”
Il viaggio filò liscio come l’olio, neanche una tempesta  o un temporaluccio, tanto che l’equipaggio se ne lamentò.
 “Ma così non c’è divertimento!” disse il più anziano. Non restava che sperare nel viaggio di ritorno.
Invece per i passeggeri e per Artemio, che passò tutto il tempo a ciarlare col suo amico, fu proprio un gran bel viaggio, il tempo passò così velocemente che quasi quasi il mago si stupì di esser già arrivato quando le coste di quel paese dove i serpenti danzavano a suon di musica comparvero all'orizzonte.
I due amici sbarcarono, si salutarono e presero strade diverse. Il mago e i suoi si diressero verso il palazzo del gran signore alla ricerca del qahwa, l’amico Teodoro andò…per i fatti suoi, non ci riguarda.
Il palazzo, immenso e circondato da un parco di sontuosa bellezza, aveva la facciata decorata con mosaici preziosi, smeraldi e lapislazzuli vi s'intrecciavano come in una danza a far disegni di pavoni, fiori e fontane zampillanti. Vederselo davanti per il nostro mago fu come assistere a un miraggio, solo che era vero.Verissimo.
“Accidenti!” esclamò Artemio aguzzando gli occhi. “ Non me lo ricordavo così bello!  Entriamo e speriamo che il signore si ricordi ancora di me e ci tratti da amici.”
Poiché quel signore aveva buona memoria furono accolti a suon di inchini e salamelecchi, mille tappeti furono stesi al loro passaggio, e per alloggio stanze degne di un re furono date a tutti loro, perfino ai topi, che ringraziarono sentitamente.
Il giorno dopo Artemio espose il caso nei dettagli (compreso il gran russare della fanciulla) e ottenne comprensione, aiuto e grandi scorte di quei chicchi scuri da farne polvere per la bevanda.
Dopo due giorni di agi e di riposo, Artemio e i suoi si congedarono dal loro ospite e presero la via del ritorno carichi di doni, di prezioso qahwa, e di nuova speranza, merce sempre a buon prezzo per chi la sa apprezzare.
Erano appena sbarcati a Venicia quando un emissario del re, preoccupato che tutto fosse andato per il meglio, venne loro incontro con altri viveri e cavalli freschi per il cambio.
L’arrivo a casa fu una specie di trionfo: feste, saluti, complimenti e petali di fiori. Sparò perfino due colpi il gran cannone.
 Fu subito scaldata l’acqua per l’infuso e portato un bel pestello per ridurre in polvere un po’ di quei chicchi.
La principessa Betsabea, neanche a dirlo, dormiva come un sasso ma fu svegliata a forza da una damigella (i secchi  d’acqua a volte fanno miracoli) e, mentre una domestica le teneva aperti gli occhi, Teodosia le versò un po’ di quel liquido scuro nella bocca e gliela chiuse perché lo mandasse giù.
“Oh, oh…cos'è questa cosa amara?” chiese la principessa storcendo un poco il naso.
“Bevete che questa potrebbe essere la vostra panacea”  disse Teodosia. E giù a versargliene ancora nel gargarozzo.
Ne sorbì un bel tazzone almeno o forse due, la principessa, e sentì come un morso allo stomaco, tanto che si temette per la sua salute.
Si chiamò d’urgenza il medico di corte e si gridò, dapprima, all'omicidio cercando sotto e sopra il mago Artemio e tutta la sua cricca.
Mentre si gridava e si brigava, un paggio solerte notò che era rimasta sveglia da trenta e più i minuti la bella Betsabea!
“Figlia mia adorata, “la vezzeggiò la madre chiamata al suo capezzale, “ tu dunque resti sveglia, finalmente? Oh, grande gioia, oh gioia senza fine!” e tirò fuori l’eterno fazzoletto.
Il mal di stomaco, intanto, era passato e la fanciulla, più sveglia di un’allodola al mattino, saltò sul letto pronta a far le corse.
Artemio fu condotto innanzi al re per fargli i complimenti e ricolmarlo dei più alti onori: primo ministro, primo ciambellano, primo un po’ in tutto e una tenuta fuori porta, per gradire.
La nostra Betsabea, che da quel dì ne bevve di  qahwa e lo diffuse fra le sue amiche, le più addormentate, finalmente ebbe una vita sveglia e piena di gioia.
Un giorno si sposò con un principe straniero, mi pare, figlio di quel signore che le mandava il qahwa ogni mese; a dire il vero questa fu un’idea del re suo padre il quale, per risparmiare sul costo della merce, pensò a un matrimonio combinato con quel rampollo, e pensò bene. Lo sposo era assai bello, assai ricco, assai intelligente e assai gentile, fu subito amore e amor per sempre. Condito da un bel po’ di lapislazzuli.
Che volete da me? Questa è una fiaba e tutto fila liscio, perfino i matrimoni combinati.
I due sposini, felici, felicissimi, ebbero subito un bellissimo bambino, sano e robusto come si conviene.
Sì.
Peccato che non dormiva mai.
 “Ve l’avevo detto, principessa.Troppo qahwa nella dolce attesa”,  diceva il medico e sospirava la nutrice.
Pazienza pensava il re.  “La perfezione non è di questo mondo” diceva alla consorte rassegnato,
 “ beviamo un po’ di qahwa che anche per stanotte veglieremo.”



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