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giovedì 7 gennaio 2021

La nuvola

 Saranno i tempi non proprio allegri, sarà quest'atmosfera di pericolo imminente e sospeso, non so ma mi è proprio scappata una fiaba un po'...apocalittica. Mi scuso con gli appassionati del lietissimo fine perfetto: quello che vi propongo non è un finale perfetto ma è comunque lieto quanto basta perché nessuno muore. 

A volte ci si abitua anche a situazioni pericolose, non ci si fa più caso, non ci si interroga ed è proprio allora che rischiamo il peggio.

Buona lettura e...occhi sempre aperti, mi raccomando!




La nuvola

 Barbara Cerrone

 

 

Fuori c’era tutto il silenzio dell’inverno, dei rami scheletriti, delle strade lastricate di umidità.

Perfino il calpestio dei rari passanti sembrava attutito dal freddo, come se gli formasse attorno una coltre pesante, impenetrabile al suono.

Scivolando per le strade quasi deserte figurine umane infagottate e tremanti sembravano tante apparizioni, fantasmi infreddoliti che attraversavano la città veloci come topi, col naso umido e le mani profondamente ficcate nelle tasche.

Nessuno di loro aveva voglia di fermarsi: andavano. Verso casa o verso i pochi, modesti negozi illuminati. E caldi.

Si aspettava la neve da un momento all’altro, lieve e bianca come una mano gelida sul cuore. Tardava. Nessuno capiva il perché, di solito era puntuale in quel periodo, fredda e puntuale, cadeva ritmica con la sua danza aerea da ballerina consumata.

“Che dici, Geppo, arriverà prima di sera?”

Il macellaio puntava il dito grassoccio verso il cielo, quasi volesse bucarlo.

“Non credo. Stanotte, forse. Ci sveglieremo tutti bianchi”.

Geppo era stato marinaio, e con quel curriculum lo si riteneva un esperto di meteorologia. In più, aveva un certo doloretto che si risvegliava sempre ad ogni cambiamento di tempo, una vecchia frattura che si faceva ricordare quando stava per piovere. O per nevicare.

“Se proprio dovete fare le previsioni del tempo mettetevi da una parte, il marciapiede non è di vostra proprietà”.

Alduccia. Brava donna ma così pedante, così capace di puntualizzare per ogni sciocchezza che si era guadagnata il soprannome di cercapulci perché faceva le pulci a tutti. Non avendo la minima tolleranza per i propri difetti o i propri errori non voleva riconoscerli e si accaniva su quelli altrui.

“Scusa tanto, Alda. Stavamo solo chiacchierando un po’, si fa sera…sennò ci prende la noia. Guarda, ci facciamo subito da parte”.

Il macellaio strizzò l’occhio a Geppo che già guardava da un’altra parte: non aveva alcun interesse per certe polemicucce da strada, ben altro ci sarebbe voluto a stuzzicare la sua attenzione sopita da tempo, da quando la guerra dei fiumi lo aveva portato in quel villaggio anonimo, facile preda di un amore giovanile.

Gisella era sua moglie da quando aveva varcato il confine del villaggio, aveva capito che lo sarebbe stata ancora prima di sposarla. Era scritto nel suo viso pallido e incerto, nei suoi occhi smarriti, che era la sua sposa.

La guerra era finita e lui era rimasto, Gisella era tutt’uno con quel piccolo paese, non si poteva avere l’una senza l’altro, così restò e da marinaio si trasformò in contadino. Ma le zolle non erano onde, e l’orizzonte lo tagliavano montagne aspre che spezzavano il cielo.

A volte, per il gran sognare il mare, era così assorbito nelle sue fantasie che non si accorgeva di cosa gli succedeva intorno. Proprio come quella sera.

“Geppo, Geppo…cos’hai in testa?”

Il macellaio era un uomo solido, senza fantasie, non si perdeva nei vicoli della mente. Quel che ci voleva per uno come Geppo.  Per questo furono subito amici.

“Nevicherà stanotte” fu tutto quello che il marinaio Geppo riuscì a dire prima di andarsene a casa, con le vele ripiegate e l’animo in tempesta, come ogni volta che aspettava la neve.

“Ma che dici, quello? Quale neve? Non lo vedi quel nuvolone, laggiù? Nero come la pece. Pioverà”.

Marisa. Altro vate della meteorologia, sempre in contrasto con Geppo, col quale si contendeva il titolo e la responsabilità di azzeccare le previsioni del giorno.

Il Macellaio e  Alduccia fecero un gestaccio con la mano e si ritirarono, convinti che neve o pioggia comunque il tempo sarebbe peggiorato e stare in strada a far salotto fosse roba da stupidi.

Se ne andò anche Marisa, brontolando che la pioggia sarebbe arrivata presto a dimostrare che lei, e solo lei, ne capiva di previsioni anche se non era mai stata in marina.

La strada tornò deserta, avvolta in un’ovattata attesa.

La nuvola intanto cresceva come una minaccia, gonfia e scura, quasi appoggiata sulla montagna dietro il villaggio.

“Tra poco vedrai che temporale!”

Si era affacciato alla finestra con l’intenzione di far comizio, come diceva la madre. Alberto non sapeva parlare a voce bassa.

“Macché, vedrai che passa via, quella nuvola. Mica sarai come la Marisa?”

Il macellaio ne aveva approfittato per affacciarsi ancora sulla strada, dato che non aveva clienti almeno due chiacchiere le poteva pur fare. Niente di meglio che discutere sul tempo, visto che di politica non se ne intendeva e non gli piaceva anche perché, hai visto mai? Si poteva inimicare qualcuno, già che gli affari andavano maluccio…no. Troppo pericoloso. Meglio il tempo. Benché c’era da litigare anche su quello, ma  con meno foga: non ci si comprometteva, via!

“Eh, eh, pioverà. Tu mica ne capisci di tempo, caro mio. Solo di bistecche.”

Gli occhi già così sporgenti quasi gli schizzarono fuori dalle orbite, Alberto se li sentì sfuggire come se fossero stati mine lanciate conto il nemico.

“E tu apri bocca per darle fiato. Non pioverà”.

Alberto scosse il capo come per dire “Lo sai tu, che non ne capisci niente, se piove o no?” e si ritirò, mentre la madre gridava di sbrigarsi perchè si freddava la minestra.

Era la canonica ora di cena, del tempo ci si poteva occupare più tardi.

La gente aveva la mente occupata solo dai piatti fumanti. Tuttavia un pensierino su quel nuvolone appeso nel cielo restava: non ci sarebbe mica stato un nubifragio?

Ci si ripromise di affacciarsi più tardi per tener d’occhio la situazione, perché non si sa mai.

“Il tempo a volte fa brutti scherzi” si diceva pensando all’improvviso a quell’alluvione che nessuno di loro aveva vissuto ma che si raccontava da generazioni, come fosse il diluvio di Noè e loro i diretti discendenti.

Più tardi dai vicoli attorno qualche faccia incuriosita fece capolino.

La nuvola ora era un’enorme macchia nera che occupava il cielo quasi per intero.

“Non si è mai vista una nuvola così. Non sarà fumo?”

La faccia giallastra di Nico si ritirò subito, dopo aver ficcato questa pulce nell’orecchio dei compaesani.

La voce si diffuse in un attimo. Fumo. Sprigionato da chissà dove, comunque fumo. Magari un incendio. Un

 incendio? Oddio!  E dove? Se si propaga…

Uomini corsero in direzione della montagna, cercando di capire se laggiù,  dove il loro sguardo non arrivava, c’era qualcosa che stava bruciando.

“Macché. Non c’è niente che brucia”.

 Niente che bruciasse in quella sera fredda. Solo una nuvola che si era mangiata il cielo.

Il servizio meteo non funzionava. C’era una specie di guasto.

“Tipico” brontolò Marisa.

“Tipico di che?” chiese il macellaio apparso sulla soglia di casa ancora con il tovagliolo fra le mani.

“Tipico di quando c’è un disastro” ribadì Marisa.

“Ma non era un temporale?” la canzonò il macellaio.

L’alzata di spalle confermò la sensazione di incertezza dei pronostici. Nessuno era sicuro di nulla.

All’unanimità si prese la decisione di tenere d’occhio la nuvola, monitorarla per vedere se cresceva ancora e di quanto. E poi? Poi nessuno sapeva dire cosa avrebbero fatto nel caso di…nel caso di cosa? In qualunque caso.

Organizzarono turni di sorveglianza.

Il macellaio non voleva fare quello dalle tre alle cinque. Diceva che per lui erano “le ore d’oro del sonno”.

Litigarono. Perché Geppo invece non voleva fare il turno da mezzanotte alle due e Marisa non avrebbe mai cambiato il suo, dalle dieci a mezzanotte, con quello del macellaio.

Ci volle un po’, ma alla fine riuscirono a trovare un accordo.

Intanto la nuvola cresceva, a tratti sembrava quasi che assumesse sembianze umane: una specie di broncio le si disegnò su quella che sembrava quasi una faccia. Gli occhi torvi che subito mutarono, caricandosi di un’ironia cattiva, quasi volesse prendere in giro tutta quella gente mobilitata per lei, per la nuvola che aveva ingoiato il cielo. Tutto intero.

I timori di quella gente allarmata furono presto fugati da una notte che trascorse serena. Il cielo era un enorme nube scura, tuttavia nemmeno una goccia di pioggia bagnò le strade.  Una tranquillità che aveva il sapore dell’attesa.

“Buongiorno, siamo ancora tutti qui? Nessun diluvio universale?”

Il macellaio era in vena di scherzare. Alduccia passando gli lanciò un’occhiata feroce.

“Il solito scemo” bisbigliò puntando gli occhi chiari verso l’alto.

I turni proseguirono ancora per tre notti, poi si disse che forse ci si era spaventati inutilmente, che la vita doveva proseguire il suo corso normale, non ci si poteva fermare per qualcosa che non era ancora avvenuto e forse non sarebbe mai successo.

La gente cominciò a muoversi come ogni giorno, brulicanti formichine passarono frettolose lungo le vie del paese, lamentandosi per il buio che la nuvola coprendo tutto il cielo aveva provocato.

Sembrava far parte già del quotidiano quel clima opprimente, come se fosse sempre stato così e non si dovesse temere nulla di più di quella tenebra fuori orario.

Venne sera, e non una sola goccia di pioggia aveva ancora bagnato la terra.

Giorni e giorni passarono, con quel cielo annerito e strano. La nuvola sembrava guardarli dall’alto, come una nera signora piena di sussiego. Nessuno le faceva più caso, ormai.

Solo Geppo, di tanto in tanto, alzava lo sguardo al cielo e poi scuoteva la testa, pensoso.

Una donna, venuta a trovare dei parenti, una mattina si mise a parlare con il macellaio. Chiedeva come mai in quella piccola città non si vedeva mai il sole e se era sempre stato così.

Il macellaio rispondeva e non rispondeva, qualche passante, udendo per caso le sue parole diceva che era vero, ultimamente il sole era scomparso ma non c’era nulla da temere. Bizzarrie del tempo, roba passeggera. La donna però non sembrava molto convinta, pochi giorni dopo andò via dicendo che non sarebbe più tornata e che avrebbe raccontato in giro come in una certa cittadina ridente solo sulle cartoline si vivesse in un’eterna notte.

Trascorsero molti altri giorni. Settimane. Mesi. Un anno intero.

Nessun temporale o alluvione o altra catastrofe aveva devastato la città, ma il cielo era rimasto chiuso nella sua oscurità impenetrabile.

La gente sembrava assuefatta. Fra loro c’era chi non ricordava già più com’era la vita quando i raggi del sole inondavano finestre e cortili.

Qualcuno addirittura trovava più bella l’atmosfera, quel buio costante e innaturale…altri invece dicevano che era meglio così, perché non si aveva voglia di perder tempo in passeggiate al parco e ci si concentrava solo sul lavoro. Si apprezzava anche il fatto che, da quando c’era la nuvola, pareva non esservi più bisogno della pioggia per irrigare la terra perché un’umidità sottile e diffusa forniva tutta l’acqua necessaria a mantenere in vita esseri umani, piante e animali.

Il paese diventò famoso per il suo cielo che non vedeva mai la luce, curiosi e turisti si alternarono per vedere quello che veniva considerato da tutti un fenomeno naturale inspiegabile, e per questo ancora più affascinante.

Fra falsi allarmi e pronte smentite dieci lunghi anni scivolarono via veloci senza che la nube scomparisse.

Non si temeva più, anche per questo fu tutto così inaspettato. E sconvolgente.

Cominciò con qualche gocciolone. Alcune teste, sentendo cadere la pioggia, si sollevarono dai cuscini simili a serpenti allarmati.

All’alba di una mattina di aprile, un oceano di acqua si rovesciò sul paese mentre era ancora immerso nel sonno.

Ben presto le strade furono fiumi fangosi sui quali galleggiavano oggetti e arredi rubati alle case allagate dalla furia dell’acqua. Molti fra gli abitanti si riversarono in strada in pigiama, calzando un paio di scarponi infilati alla meglio sopra i piedi ancora caldi di letto.

In poco tempo al fiume d’acqua si unì quello di una folla disorientata e terrorizzata che sciamava qua e là, senza sapere dove andare.

Si cercò di inviare un SOS, ma né radio né telefoni funzionavano più: I. era un villaggio isolato.

Il macellaio, la moglie per mano, fuggì verso la montagna. Altri scelsero le colline intorno, ci fu anche chi, in preda al panico, corse alla cieca verso la valle sotto la città nella stessa direzione del mare d’acqua.

Uno squarcio si aprì all’improvviso nel cielo, lasciando intravedere un raggio di sole, mentre la pioggia non cessava di cadere, violenta, sulle case e sugli uomini. Il cielo si liberava del suo cupo ingombro, sembrava tornare a respirare dopo tanto tempo.  

Sotto di lui, I. era già interamente sepolto dall’acqua che correva rabbiosa a raggiungere il fiume per gettarsi nel mare.

Il bancone del macellaio, ridotto in pezzi dalla violenza dei flutti, galleggiava sulla superficie del fiume quasi fosse il relitto di un naufragio.

Quel giorno cancellò per sempre il villaggio dalle carte geografiche. Nessuno, nei secoli a venire, si ricordò più della sua esistenza.

Gli abitanti, per fortuna o abilità, si salvarono e si dispersero, sciamando come api impazzite in tutte le direzioni.

 Non si rividero mai più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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