La primavera è qui! Qui fa ancora freddo ma tutto intorno ci parla di lei, della stagione più fiorita.
In omaggio alla primavera e alle sue tenere figlie, le timide margherite, ecco la mia nuova fiaba.
Buona lettura e buona primavera.
Le sorelle margherite
Barbara Cerrone
Le sorelle margherite
“Sveglia, “la incitava Susanna,” non vedi che il sole è già alto?
Forza, pigrona!”
Niente, margherita Flora non ne voleva sapere di aprire la
corolla.
Allora tutte le margherite chiamarono ad una voce la sorella
addormentata, con una certa ansia perché
quel sonno così ostinato faceva quasi temere il peggio.
“Che stia male?” chiese ad un certo punto Vivì, la più anziana
delle corollate.
L’idea che la loro sorella potesse stare male aveva attraversato i
petali di tutte ma nessuna, tranne Vivì, che era senza peli sullo stelo, aveva
avuto il coraggio di confessarlo.
Le sorelle si guardarono sgomente: e se Vivì avesse visto giusto?
Bisognava appurarlo subito. Ma non fecero in tempo.
Un grido di terrore si levò all’improvviso.
“Grandi piedi!” Urlarono
le sorelle.” E’ di nuovo qui.
Pieghiamoci, presto, o ci schiaccerà tutte.”
“Oggi non è solo, ce ne sono altri con lui. Un esercito di piedi
giganteschi. Siamo spacciate, sorelle”.
I loro steli tremavano, le corolle ondeggiavano come bandiere al
vento: le sorelle margherite erano in preda al panico.
Proprio in quel momento, infatti, venti piedi stavano attraversando il prato,
incuranti dei fiori sotto di loro.
Solo Flora, svegliata dal grido, sembrava non essersi ancora
accorta del pericolo e sbatteva i petali per togliersi la polvere di dosso come
se niente fosse. Ci vollero un bel po’ di urlacci di Vivì per scuoterla e
riportarla alla realtà.
Le sorelle margherite cercarono di piegarsi il più possibile nella
speranza di evitare il peggio ma i piedi avanzavano inesorabili e le poverette avrebbero
avuto la peggio se quelli non avessero deviato all’improvviso verso la strada
adiacente, dirigendosi a calpestare
chissà dove.
“Fiùùù! L’abbiamo scampata bella.” Esclamò Vivì. “Ragazze, la
nostra vita è davvero dura, ogni giorno qui si rischia lo stelo.”
Quest’amara riflessione occupò le loro corolle come un pensiero
fisso fino al tramonto, poi si addormentarono e il campo tornò al suo placido silenzio.
Nei giorni seguenti grandi piedi non si fece vedere, le sorelle
margherite trassero un bel sospiro di sollievo ma sapevano bene che era solo
una tregua. Sarebbe tornato, prima o poi.
“Dovremmo studiare una strategia” disse un giorno Lili’, la più
brillante delle sorelle.
“Quale strategia? Cosa vuoi che possano fare dei fiori piantati a
terra, fuggire?”
Bianchetta era sempre stata una margherita pessimista ma stavolta
non si poteva darle torto, Grandi Piedi
aveva tutti i vantaggi e loro no, non potevano nemmeno strappare le loro radici
da terra e scappare via perché non sarebbero sopravvissute.
Era una gran brutta situazione, roba da far cadere i petali anche
alle più forti.
Le sorelle si spremevano le corolle per trovare il modo di
liberarsi da Grandi Piedi e da tutti
quelli che come lui non si facevano scrupoli a calpestarle, arrivarono perfino
a chiedere ai papaveri di spargere il loro addormenta-umani nell’aria intorno
al prato, in modo che chiunque si accingesse ad attraversarlo cadesse in un
sonno profondo e non potesse nuocere a tante povere margherite indifese. I
papaveri si prestarono volentieri all’esperimento. Purtroppo, proprio quando
cominciarono a diffondere la sostanza soporifera, si alzò un vento di
tramontana che trasportò gli effluvi da tutt’altra parte: quel giorno in città
si registrò un numero incredibile di persone che sui tram, sugli autobus e
perfino sui marciapiedi si addormentarono così, di colpo, accoccolandosi alla
meglio ovunque si trovassero pur di dormire.
Dopo il fallimento dell’ennesimo tentativo di salvarsi, si può
immaginare lo scoramento delle sorelle. Tutte ripiegate sullo stelo, moge moge
come se le avessero abbattute.
“Non ne usciremo, rassegniamoci al nostro destino” disse Vivì con una voce così piagnucolosa che quasi non
si riconosceva.
“Ma sì, rassegniamoci,” fecero in coro le sorelle margherite,”
inutile farsi la linfa amara”.
Passarono giorni, settimane e di Grandi Piedi nessuna notizia, non si era più visto dall’ultima
incursione con i suoi piedacci pesta – fiori.
Le sorelle margherite si interrogavano.
“Gli sarà successo qualcosa? Mi sembra molto strano che non sia
più venuto, di solito si fa vedere almeno una volta a settimana. Che sia andato
a vivere da un’altra parte? Oh, sarebbe troppo bello!” disse Flora.
“Magari! Non ci dobbiamo illudere, quello torna. Torna e calpesta,
come sempre” fece Vivì.
Le sorelle margherite sospirarono tutte insieme: anche se la
speranza è sempre l’ultima a morire, sapevano bene che Vivì aveva ragione, non
bisognava farsi troppe illusioni se non altro per non rischiare di rimanere
deluse nel caso si fosse fatto vedere di nuovo.
Decisero di continuare la loro vita floreale sforzandosi di non
pensarci troppo, ma ognuna di loro dentro di sé era come in attesa del giorno
in cui sarebbe tornato e le avrebbe calpestate ancora umiliandole dal profondo
delle corolle.
Eppure era primavera e a primavera tutti i fiori sono tutti in
festa, per le sorelle margherite invece era come se fosse ancora inverno,
perché la loro gioia era guastata da un paio di piedi maleducati.
Tutto intorno a loro era un’esplosione di colori e profumi, gli
alberi esibivano le loro nuove gemme, le piante mettevano nuove foglie e
sorridevano al nuovo sole. Gli sbadigli delle violette facevano ridere i fiori
di pesco intenti a spargere la loro fragranza.
Un dolce tepore avvolgeva tutta la natura al risveglio dal lungo
sonno invernale.
Ma loro no, le sorelle margherite non spargevano fragranze e non
sorridevano al sole. In silenzio, strette le une alle altre, cercavano conforto
e protezione nella vicinanza delle sorelle.
“Beati i fiori che non vivono qui con noi,” dicevano,” non devono preoccuparsi di Grandi Piedi. Quell’energumeno attraversa
sempre questo prato”.
La dolcezza della stagione acuiva la tristezza delle sorelle
proprio perché non potevano goderne come gli altri fiori, sempre preoccupate
com’erano di poter essere schiacciate da un momento all’altro.
Tanto erano tristi e sconsolate che un bel giorno la Primavera in
persona ebbe compassione di loro.
“Povere le mie margheritine, in fondo sono la mia bandiera. Devo
fare qualcosa, non posso abbandonarle al loro destino”.
La Primavera rimuginò notte e giorno sulla faccenda, tanto che il
tempo ne risentì: per una settimana fu ventoso e agitato come i suoi pensieri.
All’ottavo giorno, finalmente, un’idea balzò nella mente fiorita
di Primavera.
“Ci sono!” Esclamò.” Ogni volta che proverà ad attraversare il
prato delle mie margheritine col vento di marzo soffierò tanto di quel polline
nel naso di Grandi Piedi da fargli
venire un mare di starnuti. E sarà
inutile andare dal dottore, non ci sarà medicina che resisterà al turbine di
polline che il mio venticello gli soffierà”.
E così fece, la bella Primavera.
Due giorni dopo, infatti, ecco arrivare Grandi Piedi, andava di corsa e quando correva era ancora più
maldestro, le sorelle margherite tremavano di terrore.
“Eccolo, quell’energumeno. Corre come un pazzo, ci stenderà come
marmellata. Attenzione ragazze, giù le corolle!” gridò Vivì.
Fu una sorpresa per tutte vedere quel tanghero maleducato e
insensibile tutto d’un tratto starnutire
e lacrimare come una fontana, tanto che, preso dalla disperazione, girò sui
tacchi e andò via veloce come era arrivato, brontolando tra sé che doveva
prendere un fazzoletto.
Tornò poco dopo ma la scena si ripeté, fino a che, al quarto
tentativo, capì che il prato c’entrava qualcosa con quella sua improvvisa
allergia e decise di passare da un’altra parte.
Nei giorni seguenti Grandi
Piedi provò nuovamente ad attraversare il prato, con lo stesso risultato. Passò
un mese, fra nuovi tentativi e fughe in preda agli starnuti, prima che si arrendesse
definitivamente.
“Maledetto prataccio!” Esclamò.” Non so se siano le margherite o
l’erba che cresce qui ma ogni volta che lo attraverso mi viene l’allergia.
Andrò dal sindaco a chiedere che faccia rasare tutto a zero per metterci il
cemento, così finisce l’allergia e vi saluto fiorellini”.
Per fortuna Primavera aveva ascoltato tutto! Di certo non avrebbe
permesso che il suo prato preferito fosse falciato come erba cattiva e già che
c’era fece soffiare dal suo venticello un bel pensiero nelle orecchie dei
cittadini indaffarati.
I bei pensieri spesso danno buoni frutti.
Al sindaco, prima ancora delle lagnanze dell’energumeno, giunsero
le preghiere di chi aveva a cuore la Primavera e i prati.
Le margherite non sanno leggere né scrivere, ma quel giorno,
chissà perché, capirono lo stesso che quel cartello sul bordo della strada
parlava proprio di loro e diceva:
“Non calpestate le margherite, perché ci stanno a cuore, come ogni
filo d’erba che vive in questo prato. Chi lo farà pagherà la multa, e state
attenti perché sarà salata!”
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