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sabato 15 maggio 2021

L'arcobaleno tascabile

 

Eccomi di nuovo, dopo un po' di silenzio. 

Non ho smesso di scrivere, ho solo sospeso per qualche tempo le pubblicazioni sul mio blog perché in fondo ho con quest'ultimo un rapporto "distratto" e discontinuo, lo ammetto.

Che dire della fiaba di oggi? Eh, se bastasse un arcobaleno tascabile a riportare la pace! 

La guerra sembra non voler finire mai, così pure le scaramucce fra noi umani,  piccole o grandi che siano.

Pace, allora? Ma sì, almeno nel mio blog. Pace, e un bell'arcobaleno  a sigillare il patto.

Buona lettura.



 L’arcobaleno tascabile

 Barbara Cerrone



Ferruccio era un omino piccolo piccolo e grasso grasso  che girava sempre con un arcobaleno in tasca, “Perché non si sa mai,” diceva,” metti che il grande arcobaleno non si senta bene o non abbia voglia di uscire, io tiro fuori il mio dalla tasca e siamo a posto!”

Per questo fatto molto particolare era diventato famoso in tutto il mondo, anzi: in tutta la galassia. Forse anche oltre, ma al momento non lo posso confermare.

L’arcobaleno tascabile non serviva solo in caso di temporale, Ferruccio lo usava anche per dirimere le contese. Dopo un litigio che c’è di meglio di un piccolo arcobaleno per riportare il sorriso fra due vecchi amici? Ferruccio lo sapeva bene e all’occorrenza, dopo che i due contendenti avevano finito di gridare, prendeva l’arcobaleno tascabile,  lo metteva in mezzo a quei due galli scatenati e di lì a qualche minuto i litiganti tornavano ad abbracciarsi e a scherzare come prima.

Non era una vita facile, la sua, sempre a correre dove c’era bisogno, fosse pure in capo al mondo. Senza contare che Ferruccio lavorava, era un falegname molto richiesto, faceva di quei mobili, ma di quei mobili! Capolavori, ecco che cos’erano. Aveva clienti a tutte le latitudini, ma quando c’era da tirar fuori l’arcobaleno lui non conosceva né fatica né lavoro e andava ovunque a fare il suo dovere di paciere, fra le nuvole nel cielo o sulla terra, in mezzo ai battibecchi degli umani.

Mi ricordo una volta, era di giovedì, giorno di festa in paese. Ferruccio aveva appena portato un nuovo sgabello a Matteo, il calzolaio, e stava tornando a casa fischiettando tutto allegro.

Lungo la via si imbatté nella sua vicina di casa, Clelia, un’anziana signora dedita al ricamo e al pettegolezzo.

 Ferruccio notò che la donna sembrava disorientata, si  guardava intorno  con l’aria sgomenta di chi sta cercando qualcosa e dispera di ritrovarla.

“Clelia, tutto bene?” le chiese.

La vicina lo guardò come se non lo conoscesse e proseguì senza rispondere. La cosa parve ancora più strana al nostro uomo che decise di fare una piccola deviazione e di seguirla, malgrado si stesse avvicinando l’ora di cena e lui avesse una gran fame.

Cammina cammina finalmente Clelia si fermò davanti alla bottega del fornaio, ormai chiusa a quell’ora. Bussò due o tre volte alla vetrina poi cominciò a chiamarlo Duccio, Duccio! Prima piano, poi sempre più forte Duccio, Duccioooo!

Il fornaio, sentendo tutto quel chiasso si affacciò, piuttosto seccato.

“Che c’è, chi mi vuole a quest’ora di un giorno festivo?”

“Duccio, delinquente, ridammi il mio panino!” urlò la donna  agitando un pugno in aria.

“Che dici, sei pazza? Quale panino?”

“Il panino che ho pagato stamattina e che non mi hai dato. Forza, dammelo!”

“Ti sbagli, non mi hai pagato nessun panino. Hai preso il solito mezzo chilo di pane e te ne sei andata.”

A queste parole Clelia, montando su tutte le furie, aveva cominciato a prendere a calci prima la vetrina, poi la porta, urlando sempre più forte ladro,ladro! In modo che tutti la sentissero.

E la sentirono, infatti. In pochi minuti tutto il paese si fece nei pressi del forno a curiosare, sentenziare, prender parte per l’una o per l’altro.

Si formarono così due fazioni opposte: quelli pro fornaio e quelli pro Clelia, e presero a lanciarsi ingiurie come fossero stati vecchi nemici giurati.

In tutto questo trambusto l’unico che manteneva il controllo era proprio Ferruccio, che lì per lì non sapeva cosa fare, se tirar fuori dalla tasca il suo bell’arcobaleno o lasciare che quegli scalmanati se la sbrigassero da soli.

“In fondo sono degli sciocchi, “ si disse,” non meritano il mio aiuto. Il fornaio avrebbe dovuto fare il superiore e darle il panino, visto che è un’anziana donna, e Clelia non avrebbe dovuto fare una scenata simile per un misero panino”.

Stava per andarsene a godersi la sua cenetta quando sentì qualcosa bussargli piano piano al cuore: era la sua coscienza. Non gli permetteva di lasciare quei due ai loro guai, gli imponeva, visto che lui poteva, di fare qualcosa.

Ferruccio allora tornò sui suoi passi, prese, seppure di malavoglia, l’arcobaleno e lo mise ( a fatica, perché quei due ormai si stavano accapigliando) in mezzo ai litiganti.

Dopo un minuto erano già a chiedersi scusa, a guardarsi come se non capissero cosa fosse successo.

La pace fu fatta, e il panino donato a Clelia che lo mangiò tutta soddisfatta, quella sera, col formaggio fresco del pastore Emilio.

Che giorno memorabile fu quello! E che pace storica per il paese. Le fazioni si ricomposero, tutti tornarono amici di tutti e il brutto episodio fu presto dimenticato.

Quella fu una delle imprese più memorabili del caro Ferruccio.

Per non parlare di quando scoppiò la guerra fra il principato di qua e il ducato di là. 

Non ci furono morti né feriti ma avrebbero potuto esserci, sapete com’è, era pur sempre una guerra.

 Il nostro amico Ferruccio fu chiamato in causa, prima dagli abitanti del principato, poi da quelli del ducato. Entrambi dicevano di volere la pace ma alla fine, puntualmente, veniva fuori che si pretendeva dall’arcobaleno tascabile una qualche magia che facesse vincere l’una o l’altra parte.

Che fece Ferruccio, allora? Da vero paciere si rifiutò di fare qualunque altra cosa che non fosse mettere fra i due nemici il suo arcobaleno, per portare pace, e solo pace.

Che cosa avreste fatto voi, al posto di ducato e principato? Forse all’inizio vi sareste arrabbiati col paciere, poi, vedendo che non c'era modo di tirarlo dalla vostra parte e che si rischiava di farsi male a forza di combattersi, vi sareste calmati e convinti che la cosa migliore per tutti era proprio quella di mettere in mezzo l’arcobaleno del Ferruccio. Così fecero, infatti, e fu la pace. Una pace duratura, a quanto so, perché tuttora resiste e nessuno, fra quella brava gente, nemmeno principi e duchi, sembra volerla turbare per nessun motivo.

Al buon Ferruccio si deve questo e molto altro ancora, non sto qui a dirvi tutto perché sarebbe troppo lungo il discorso e io ho da fare.

Devo scrivere un’altra fiaba prima di sera, prima che il buio, gli affanni, o una maligna distrazione mi portino da un’altra parte col pensiero.

E io non voglio, non lo vorrei mai.

 

 

 


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