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domenica 11 novembre 2018

Parole ingarbugliate

Quando parlare non è un gioco da ragazzi...
buona lettura.








Parole ingarbugliate
Barbara Cerrone



C’era una volta un bambino carino, simpatico e intelligente, il suo nome era Giovanni.
Questo bambino aveva un problema che gli creava grande disagio: balbettava.
Era come se la sua lingua si intrecciasse  al palato, e ogni volta doveva fare grandi sforzi per non mettersi a piangere.
A scuola c’era chi lo prendeva in giro ma c’era anche chi faceva il tifo per lui e lo sosteneva, insomma di amici ne aveva, tuttavia questo non bastava a dargli la fiducia che gli sarebbe servita per superare quell'incepparsi della lingua così ostinato e fastidioso.
“Ba-ba-babalbetterò tutta la vita, lo so” diceva, in preda allo sconforto.
Avevano un bel dire i suoi amici che non era così, lui scuoteva la testa piena di riccioli rossi e poi si voltava  dall'altra parte per non far vedere che aveva gli occhi lucidi.
“Non piangere, tesoro mio,” gli diceva la mamma, “ vedrai che un giorno avrai una lingua così sciolta che ti vorranno come speaker alla tv!”
“Speaker, come no!” pensava il bambino, che almeno nei pensieri non balbettava.”Altro che speaker, è già tanto se riesco a finire una frase”.
Il tempo passava e le sue parole erano sempre più ingarbugliate, tanto che un giorno, mentre studiava ripetendo ad alta  voce, due o tre di  loro uscirono  dalla sua bocca in fretta e furia e non vollero più tornarci.
Presto anche le altre seguirono il loro esempio e fu il caos.
“To-to-toto-tornate su-su-subito qui!” gridò Giovanni, ma quelle non lo ascoltarono nemmeno e scapparono volando qua e là per la stanza, come mosche impazzite.
Una addirittura gli si posò sulla testa e cominciò a tirargli i capelli mentre un’altra gli saltava sul naso. Giovanni cominciò ad agitar le mani per scacciarle, poi corse dietro alle parole fuggiasche  che volavano, volavano  in ogni direzione: una si era rifugiata sopra le mensole, un'altra penzolava  dal lampadario, un’altra ancora si era appesa al cordone della tenda in salotto e si divertiva a oscillare come un pendolo.
 In poco tempo la stanza si riempì di vocali, consonanti e poi addirittura di frasi, intere frasi col verbo al posto giusto che chiacchieravano fra loro come comari alla finestra.
Giovanni era  riuscito a prendere solo due consonanti, la z e la w, che essendo le più pigre si erano sdraiate sul divano a ronfare come ghiri e si erano fatte acchiappare senza quasi accorgersene.
Sua madre era uscita da poco per fare la spesa raccomandandogli di non aprire la porta a nessuno e di non combinare guai, cosa avrebbe detto se rientrando avesse trovato la casa  invasa  dalle parole? C’era di che esser punito, magari con il  divieto di vedere i cartoni animati per un’intera settimana!
Per complicare la faccenda suonarono alla porta. Era il suo amico Paolo.
“Vieni fuori a giocare? Facciamo un po’ di tiri con la palla”.
Che cosa poteva dirgli? Che era nei guai  perché alcune parole gli erano sfuggite di bocca e ora giravano per casa? Non ci avrebbe creduto e di sicuro avrebbe preteso di vedere con i suoi occhi, cosa che era molto meglio evitare, conoscendolo.
Era un ragazzo simpatico ma far confusione era la sua specialità, se avesse visto tutto quello scompiglio si sarebbe divertito un mondo a crearne ancora di più e chissà cosa avrebbe architettato. Allora sì che sua madre si sarebbe arrabbiata! No, bisognava mandarlo via  subito con una scusa.
“Non po-po-poposso uscire, ho male alla gola” disse Giovanni.
L’amico lo guardò come per dire Da quando in qua un mal di gola ti impedisce di uscire? Tuttavia, vedendo che Giovanni non voleva proprio saperne di seguirlo, si rassegnò.
Stava quasi per andarsene quando una parola, la più impertinente, fece capolino sulla soglia di casa.
“E questa che roba è?” chiese l’amico.
“E c-c-cche ne so?” mentì Giovanni. “ Gi- gi-gigirano strani insetti, oggi.”
“Ma quale insetto, questa...questa è una parola! Giovanni, tu non me la racconti: hai  perso le parole!”
“No, s-s-ssono  insettacci” disse chiudendo la porta senza nemmeno salutarlo.
Paolo non si arrese, il suo migliore amico era senza parole e doveva aiutarlo, anche se lui non voleva. Suonò il campanello una, due, tre volte. Finché Giovanni non aprì.
“C-c-ccosa c’è, ora? ”
“Ti aiuto a prenderle.”
“E v-vva bene, entra”.
“Eh, ma sembra uno sciame di mosche!” esclamò Paolo entrando in casa.
I due ragazzi si misero a rincorrerle insieme, le birbone sembravano foglie portate dal vento, un turbine di parole che neanche Paolo riusciva  a catturare.
Anzi, una di loro, una r bizzarra e capricciosa, si fece accanto a Paolo e cominciò a tirargli la manica del maglione per dispetto.
Nel bel mezzo di questa scenetta ecco arrivare la madre di Giovanni, di ritorno dalla spesa.
“Che succede, qui? Che state combinando voi due?” chiese.
“Nulla, signora, giochiamo a prendi la parola” rispose Paolo, che aveva la scusa sempre pronta.
Prendi la parola?  Che gioco è? E poi che ci fanno qui tutte queste mosche? Ce le avete portate voi due, eh? Le voglio subito fuori di qui, alla svelta!”
Per fortuna la madre di Giovanni era presa da mille pensieri e non si accorse che quelle cose scure che giravano per casa non erano affatto mosche. Comunque si era arrabbiata e in un modo o nell'altro bisognava risolvere la faccenda.
Farle uscire? No, sarebbero andate perdute per sempre. E allora?
“Giovanni, conto fino a tre, se al mio tre quelle mosche non saranno uscite stasera niente cartoni.”
Intanto quelle vigliacche delle parole avevano sentito tutto ma neanche ci pensavano a rientrare al loro posto, macché! Anzi, tanto per fare più dispetto si misero a girare intorno alla testa della mamma che si infuriò ancora di più.
Paolo e  Giovanni non sapevano più che fare.
“Dille la verità, è l’unica” sentenziò Paolo.
Allora Giovanni si avvicinò alla madre che stava sistemando la verdura in frigorifero, le fece segno di porgergli l’orecchio e mormorò:
”Non s-s-ssono mosche, mamma”
“No? Dio mio, e che insettacci sono, allora?”
“Non s-s-ssono insetti, mamma.”
“E allora che cosa sarebbero, sentiamo?”
“S-s-ssono le mie parole. Mi sono uscite dalla bocca e non vogliono rientrarci.”
“Questa poi! Come ti è venuta una bugia così fantasiosa? Guarda, è così originale che quasi mi passa la voglia di arrabbiarmi. Comunque sia voglio quegli insetti fuori di qui, subito.”
“Ma...mamma, guardale bene...non s-s-ssono insetti, sono pa-pa-paparole”.
La madre, finalmente, fissò l’attenzione su quella nuvola nera e brulicante e  quel che vide la fece restare a bocca aperta, tanto che non ebbe  neppure  la forza di arrabbiarsi con Giovanni.
La nuvola nel frattempo si era ricomposta, parole sparse avevano formato  racconti, poesie, perfino un romanzo che finì appiccicato sul soffitto,  la mamma lo lesse tutto d’un fiato.
"Appassionante" esclamò, quando ebbe finito.
I tre, tutti insieme,  lessero fino a tarda sera e ancora non ne avevano abbastanza.
Quando arrivò il padre di Giovanni era già ora di cena, li trovò che dormivano uno accanto all'altro sul divano con un’espressione beata sulla faccia.
Le parole, intanto, come l’acqua di un fiume in piena quando ritorna nel suo letto, si erano ritirate nella bocca di Giovanni che ora le teneva ben strette dentro di sé.
“Ehi, svegliatevi, voi tre!” disse il papà scuotendoli dolcemente.” Che cosa avete combinato per essere così stanchi?”
“Niente, papà,” rispose Giovanni, “ avevo perso le parole e ora le ho ritrovate.”
“Ma tu non balbetti, te ne sei accorto?”
“Io? Non so, io...è vero. Mamma, Paolo, sentite come parlo? Non balbetto, non balbetto più!”
Che cosa era successo? 
E chi lo sa? A volte, le parole fanno scherzi che neanche si possono immaginare, fatto sta che da quel giorno Giovanni non balbettò mai più e le sue parole restarono per sempre insieme a lui, a fargli compagnia, uscendo solo e sempre  al momento giusto.








































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