buona lettura.
Barbara Cerrone
C’era
una volta un bambino carino, simpatico e intelligente, il suo nome era
Giovanni.
Questo
bambino aveva un problema che gli creava grande disagio: balbettava.
Era
come se la sua lingua si intrecciasse al
palato, e ogni volta doveva fare grandi sforzi per non mettersi a piangere.
A
scuola c’era chi lo prendeva in giro ma c’era anche chi faceva il tifo per lui
e lo sosteneva, insomma di amici ne aveva, tuttavia questo non bastava a dargli la
fiducia che gli sarebbe servita per superare quell'incepparsi della lingua così
ostinato e fastidioso.
“Ba-ba-babalbetterò
tutta la vita, lo so” diceva, in preda allo sconforto.
Avevano
un bel dire i suoi amici che non era così, lui scuoteva la testa piena di riccioli
rossi e poi si voltava dall'altra parte
per non far vedere che aveva gli occhi lucidi.
“Non
piangere, tesoro mio,” gli diceva la mamma, “ vedrai che un giorno avrai una
lingua così sciolta che ti vorranno come speaker alla tv!”
“Speaker,
come no!” pensava il bambino, che almeno nei pensieri non balbettava.”Altro che
speaker, è già tanto se riesco a finire una frase”.
Il
tempo passava e le sue parole erano sempre più ingarbugliate, tanto che un
giorno, mentre studiava ripetendo ad alta
voce, due o tre di loro uscirono dalla sua bocca in fretta e furia e non vollero
più tornarci.
Presto
anche le altre seguirono il loro esempio e fu il caos.
“To-to-toto-tornate
su-su-subito qui!” gridò Giovanni, ma
quelle non lo ascoltarono nemmeno e scapparono volando qua e là per la stanza, come
mosche impazzite.
Una
addirittura gli si posò sulla testa e cominciò a tirargli i capelli mentre
un’altra gli saltava sul naso. Giovanni
cominciò ad agitar le mani per scacciarle, poi corse dietro alle parole fuggiasche che volavano, volavano in ogni direzione: una si era rifugiata sopra
le mensole, un'altra penzolava dal
lampadario, un’altra ancora si era appesa al cordone della tenda in salotto e
si divertiva a oscillare come un pendolo.
In poco tempo la stanza si riempì di vocali,
consonanti e poi addirittura di frasi, intere frasi col verbo al posto giusto
che chiacchieravano fra loro come comari alla finestra.
Giovanni
era riuscito a prendere solo due
consonanti, la z e la w, che essendo le più pigre si erano sdraiate sul divano
a ronfare come ghiri e si erano fatte acchiappare senza quasi accorgersene.
Sua
madre era uscita da poco per fare la spesa raccomandandogli di non aprire la
porta a nessuno e di non combinare guai, cosa avrebbe detto se rientrando
avesse trovato la casa invasa dalle parole? C’era di che esser punito, magari con il divieto di vedere
i cartoni animati per un’intera settimana!
Per
complicare la faccenda suonarono alla porta. Era il suo amico Paolo.
“Vieni
fuori a giocare? Facciamo un po’ di tiri con la palla”.
Che
cosa poteva dirgli? Che era nei guai perché alcune parole gli erano sfuggite di
bocca e ora giravano per casa? Non ci avrebbe creduto e di sicuro avrebbe
preteso di vedere con i suoi occhi, cosa che era molto meglio evitare, conoscendolo.
Era
un ragazzo simpatico ma far confusione era la sua specialità, se avesse visto tutto
quello scompiglio si sarebbe divertito un mondo a crearne ancora di più e chissà
cosa avrebbe architettato. Allora sì che sua madre si sarebbe arrabbiata! No, bisognava
mandarlo via subito con una scusa.
“Non
po-po-poposso uscire, ho male alla gola” disse Giovanni.
L’amico
lo guardò come per dire Da quando in qua
un mal di gola ti impedisce di uscire? Tuttavia, vedendo che Giovanni non
voleva proprio saperne di seguirlo, si rassegnò.
Stava
quasi per andarsene quando una parola, la più impertinente, fece capolino sulla
soglia di casa.
“E
questa che roba è?” chiese l’amico.
“E
c-c-cche ne so?” mentì Giovanni. “ Gi- gi-gigirano strani insetti, oggi.”
“Ma
quale insetto, questa...questa è una parola! Giovanni, tu non me la racconti: hai
perso le parole!”
“No,
s-s-ssono insettacci” disse chiudendo la porta senza nemmeno salutarlo.
Paolo
non si arrese, il suo migliore amico era senza parole e doveva aiutarlo, anche
se lui non voleva. Suonò il campanello una, due, tre volte. Finché Giovanni non
aprì.
“C-c-ccosa
c’è, ora? ”
“Ti aiuto a prenderle.”
“E
v-vva bene, entra”.
“Eh,
ma sembra uno sciame di mosche!” esclamò Paolo entrando in casa.
I
due ragazzi si misero a rincorrerle insieme, le birbone sembravano foglie portate
dal vento, un turbine di parole che neanche Paolo riusciva a catturare.
Anzi,
una di loro, una r bizzarra e capricciosa, si fece accanto a Paolo e cominciò a
tirargli la manica del maglione per dispetto.
Nel
bel mezzo di questa scenetta ecco arrivare la madre di Giovanni, di ritorno
dalla spesa.
“Che
succede, qui? Che state combinando voi due?” chiese.
“Nulla,
signora, giochiamo a prendi la parola”
rispose Paolo, che aveva la scusa sempre pronta.
“Prendi la parola? Che gioco è? E poi che ci fanno qui tutte
queste mosche? Ce le avete portate voi due, eh? Le voglio subito fuori di qui,
alla svelta!”
Per
fortuna la madre di Giovanni era presa da mille pensieri e non si accorse che quelle cose scure che giravano
per casa non erano affatto mosche. Comunque si era arrabbiata e in un modo o
nell'altro bisognava risolvere la faccenda.
Farle
uscire? No, sarebbero andate perdute per sempre. E allora?
“Giovanni,
conto fino a tre, se al mio tre quelle mosche non saranno uscite stasera niente
cartoni.”
Intanto
quelle vigliacche delle parole avevano sentito tutto ma neanche ci pensavano a
rientrare al loro posto, macché! Anzi, tanto per fare più dispetto si misero a
girare intorno alla testa della mamma che si infuriò ancora di più.
Paolo
e Giovanni non sapevano più che fare.
“Dille
la verità, è l’unica” sentenziò Paolo.
Allora
Giovanni si avvicinò alla madre che stava sistemando la verdura in frigorifero,
le fece segno di porgergli l’orecchio e mormorò:
”Non s-s-ssono mosche, mamma”
”Non s-s-ssono mosche, mamma”
“No?
Dio mio, e che insettacci sono, allora?”
“Non
s-s-ssono insetti, mamma.”
“E
allora che cosa sarebbero, sentiamo?”
“S-s-ssono
le mie parole. Mi sono uscite dalla bocca e non vogliono rientrarci.”
“Questa
poi! Come ti è venuta una bugia così fantasiosa? Guarda, è così originale che
quasi mi passa la voglia di arrabbiarmi. Comunque sia voglio quegli insetti
fuori di qui, subito.”
“Ma...mamma,
guardale bene...non s-s-ssono insetti, sono pa-pa-paparole”.
La
madre, finalmente, fissò l’attenzione su quella nuvola nera e brulicante e quel che vide la fece restare a bocca aperta,
tanto che non ebbe neppure la forza di arrabbiarsi con Giovanni.
La
nuvola nel frattempo si era ricomposta, parole sparse avevano formato racconti, poesie, perfino un romanzo che finì appiccicato sul soffitto, la mamma lo lesse tutto d’un fiato.
"Appassionante" esclamò, quando ebbe finito.
"Appassionante" esclamò, quando ebbe finito.
I
tre, tutti insieme, lessero fino a tarda
sera e ancora non ne avevano abbastanza.
Quando arrivò il padre di Giovanni era già ora di cena, li trovò che dormivano uno accanto all'altro sul divano con un’espressione beata sulla faccia.
Le
parole, intanto, come l’acqua di un fiume in piena quando ritorna nel suo letto, si erano ritirate nella bocca
di Giovanni che ora le teneva ben
strette dentro di sé.
“Ehi,
svegliatevi, voi tre!” disse il papà scuotendoli dolcemente.” Che cosa avete
combinato per essere così stanchi?”
“Niente,
papà,” rispose Giovanni, “ avevo perso le parole e ora le ho ritrovate.”
“Ma tu non balbetti, te ne sei accorto?”
“Io?
Non so, io...è vero. Mamma, Paolo, sentite come parlo? Non balbetto, non
balbetto più!”
Che
cosa era successo?
E chi lo sa? A volte, le parole fanno scherzi che neanche si possono immaginare, fatto sta che da quel giorno Giovanni non balbettò mai più e le sue parole restarono per sempre insieme a lui, a fargli compagnia, uscendo solo e sempre al momento giusto.
E chi lo sa? A volte, le parole fanno scherzi che neanche si possono immaginare, fatto sta che da quel giorno Giovanni non balbettò mai più e le sue parole restarono per sempre insieme a lui, a fargli compagnia, uscendo solo e sempre al momento giusto.
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