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giovedì 28 maggio 2020

Professione fata


"Cosa vuoi fare da grande?" domande che a volte i bambini si sentono fare dagli adulti. 

Le risposte  possono essere fantasiose ma non so quanti dichiarerebbero così, apertamente, il segreto progetto di esercitare la nobile professione di fata...

Buona lettura



Professione fata

Barbara Cerrone



Marta era una bambina molto carina e intelligente, le piacevano un sacco di cose come giocare, correre, combinare guai, mangiare dolci e patatine fritte e stare a letto fino alle undici del mattino.

Fratelli non ne aveva, viveva in una grande casa con i genitori e il cane Armando, un pastore maremmano bello e irruento, capace di distruggerti un divano nel breve spazio di un pomeriggio estivo.

 Nel complesso Marta era una bambina come tante, serena e piena di vitalità.

Solo una cosa la rendeva diversa dagli altri, un sogno molto particolare che più che un sogno per lei era un  progetto.

“Da grande voglio fare la fata” diceva sempre alla mamma.

“Va bene ma prima devi studiare” le rispondeva ogni volta la madre.

Lei, per studiare, studiava eccome: fiabe e racconti dove le fate la sapevano lunga e risolvevano guai di ogni tipo, anche i più strani. Da Cenerentola alla Bella Addormentata, nulla sfuggiva a Marta del mondo magico delle sue amate fate.

Del resto, non voleva certo essere una di quelle ciarlatane che vendevano fumo senza arrosto, lei aspirava ad essere una fata di quelle serie, subito pronte a realizzare desideri, rimediare guai, vincere mostri e liberare principi e principesse da incantesimi e magie varie.

Una vera professionista, insomma.

Un giorno, mentre era nella sua cameretta a leggere uno di quei suoi libri con l’amica Amalia, e ripeteva  una certa formula che la fata recitava nella storia per liberare una  tal principessa dalla fattura che la imprigionava, successe una cosa molto strana.

Non so come fu ma la sua stanza scomparve, insieme alla sua amica, e Marta si ritrovò in un magnifico salone. Al posto del letto c’era un grande trono fatto di marmo e di frutta secca. Sul trono era seduto un re che somigliava a un carciofo ma aveva gli occhi buoni, e dolci, come le prugne, e le mani inanellate e belle che avevano l’aspetto degli asparagi.

“Un re verdura” si disse la bambina, e quasi quasi si sarebbe messa a ridere se solo non avesse avuto paura di farlo arrabbiare.

“Vuoi vedere che a forza di recitare formule magiche qualcosa è successo per davvero?” si chiese.

Non fece in tempo a darsi una risposta che re verdura le rivolse la parola.

“Giovane fata, dimmi, tu che sai tutto della magia: come posso liberarmi dall'incantesimo che mi vuole più simile all'orto di mio padre che a un giovane principe aspirante al regno? Maga Almidia mi ridusse così cent’anni fa e non c’è stata fata capace di riportarmi alle mie fattezze umane. Vuoi provarci tu? Saprò ricompensarti, chiedi ciò che vuoi.”

“Io?” chiese Marta con gli occhi che sprizzavano meraviglia.

“Tu, sì! E cerca di far presto perché soltanto ieri ho visto una ragazza che mi piace, vorrei farne la mia regina e con lei regnare per tanti e tanti anni, non vegetare come faccio adesso, carciofo fra i carciofi, mani d’asparago e corpo di melanzana.”

“Io? Sono una bambina e poi non so ancora fare magie” avrebbe voluto dirgli, ma si trattenne: mica poteva dir di no a un re, seppure vegetale!

Così, senza sapere come era successo né dove si trovava esattamente, capì che il suo bel sogno di essere fata ora era lì, alla portata delle sue manine, non le restava che cogliere l’occasione e dare prova di ciò che  aveva imparato leggendo fiabe a più non posso.

Frugò nella mente per vedere se fra tutte le tiritere impresse nella sua memoria ce n’era una adatta alla situazione.

Pensa e ripensa finalmente gliene venne in mente una, con aria d’importanza si mise al centro del salone e cominciò a recitare a gran voce la formula che doveva riportare un re carciofo a sembianze umane.

Lì per lì non successe nulla,  Marta stava già pensando a dove poteva scappare nel caso il re l’avesse presa male.

Il carciofo, pardon, il re tamburellava con le dita asparago sul bracciolo dorato del suo trono, era impaziente, si vedeva bene, del resto come dargli torto? Chiunque, al posto suo, lo sarebbe stato.

Questo, capirete bene, aumentava la tremarella della nostra amica che si vedeva già imprigionata o chissà cosa.

Ma la fortuna, o non so come chiamarla, quel giorno stava dalla sua parte. 

Abbassò gli occhi, Marta, solo per un attimo. Quando li rialzò vide il suo re verdura alto e imponente vicino a lei, che sorrideva tendendole la mano.

“Grazie, sapevo che mi avresti liberato! “disse il bel giovane che le stava accanto.

Del carciofo e della melanzana neanche l’ombra. Gli asparagi spariti, al loro posto mani bellissime, affusolate, si protendevano verso di lei come per abbracciarla.

Marta fu proclamata Fata di Corte, e la sua fama corse veloce per ogni angolo del regno: chi la cercava di qua, chi la chiamava di là, non aveva tempo neppure per le fiabe.  Aveva così tanto lavoro che a volte, la sera, non riusciva  a infilarsi il pigiamino, per quanto era stanca. Si coricava così, vestita, e la mattina dopo via al lavoro, a liberare qualche sfortunato da un incantesimo o da una fattura.

Non si poteva dire che non fosse felice, amata e rispettata, faceva il lavoro che aveva sempre sognato e viveva in un bellissimo palazzo, ma... c’è sempre un ma che complica le cose, anche nelle situazioni più fortunate.

Il suo ma stava nel fatto che da mesi ormai non vedeva più i genitori e quel cane -tempesta dell’Armando, per non parlare degli amici. Aveva tanta nostalgia di casa, al punto che un giorno ne parlò al re.

“Sire, sono orgogliosa e felice di essere fata di corte. Ho realizzato il mio sogno ma ho tanta nostalgia di casa e dei miei genitori. E poi, in fondo, sono ancora una bambina!”

“Ti comprendo, “rispose il re,” è cosa assai normale. Ti concedo il permesso di andare a fargli visita ma solo se prometti di tornare.”

“Tornerò, sire, lo prometto. Mi piace troppo questo lavoro di fata per lasciarlo così. Grazie, mio re”.

Per tornare a casa pensò di usare la stessa formula che aveva recitato il giorno in cui, dalla sua cameretta, per un caso o per vera magia, era arrivata fino lì.

La recitò ad alta voce, con grande convinzione, e  neanche a dirlo funzionò davvero!

Tutto il palazzo scomparve in un secondo, Marta era di nuovo nella sua stanzetta, con i pupazzi, le bambole e i suoi libri.  Tutto era come l'aveva lasciato quel giorno lontano.  Solo Amalia si era addormentata,  mentre di là in cucina si sentiva la mamma trafficare ai fornelli: che fosse già ora di cena?

Svegliò l’amica che si riscosse tutta felice, dicendo che aveva fatto un sogno incredibile: Marta era una fata di corte e tutti l’acclamavano, guadagnava fior di monete d’oro ed era ricca quasi quanto un re!

Marta sorrise: Amalia non si era accorta di nulla, per tutto quel tempo aveva  solo dormito.

Di sicuro anche la mamma non sapeva.

A lei non restava che abbracciarle entrambe  e mantenere stretto il suo segreto, fino alla prossima partenza per il mondo delle sue amate fate.

 

 

 

 


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