"Cosa vuoi fare da grande?" domande che a volte i bambini si sentono fare dagli adulti.
Le risposte possono essere fantasiose ma non so quanti dichiarerebbero così, apertamente, il segreto progetto di esercitare la nobile professione di fata...
Buona lettura
Professione fata
Barbara Cerrone
Marta
era una bambina molto carina e intelligente, le piacevano un sacco di cose come
giocare, correre, combinare guai, mangiare dolci e patatine fritte e stare a
letto fino alle undici del mattino.
Fratelli
non ne aveva, viveva in una grande casa con i genitori e il cane Armando, un pastore maremmano bello
e irruento, capace di distruggerti un divano nel breve spazio di un pomeriggio
estivo.
Nel complesso Marta era una bambina come
tante, serena e piena di vitalità.
Solo
una cosa la rendeva diversa dagli altri, un sogno molto particolare che più che
un sogno per lei era un progetto.
“Da
grande voglio fare la fata” diceva sempre alla mamma.
“Va bene ma prima devi studiare” le rispondeva ogni volta la madre.
Lei, per studiare,
studiava eccome: fiabe e racconti dove le fate la sapevano lunga e risolvevano
guai di ogni tipo, anche i più strani. Da Cenerentola alla Bella Addormentata,
nulla sfuggiva a Marta del mondo magico delle sue amate fate.
Del
resto, non voleva certo essere una di quelle ciarlatane che vendevano fumo
senza arrosto, lei aspirava ad essere una fata di quelle serie, subito pronte a
realizzare desideri, rimediare guai, vincere mostri e liberare principi e
principesse da incantesimi e magie varie.
Una
vera professionista, insomma.
Un
giorno, mentre era nella sua cameretta a leggere uno di quei suoi libri con l’amica
Amalia, e ripeteva una certa formula che
la fata recitava nella storia per liberare una tal principessa dalla fattura che
la imprigionava, successe una cosa molto strana.
Non
so come fu ma la sua stanza scomparve, insieme alla sua amica, e Marta si ritrovò
in un magnifico salone. Al posto del letto c’era un grande trono fatto di marmo
e di frutta secca. Sul trono era seduto un re che somigliava a un carciofo ma
aveva gli occhi buoni, e dolci, come le prugne, e le mani inanellate e belle
che avevano l’aspetto degli asparagi.
“Un
re verdura” si disse la bambina, e quasi quasi si sarebbe messa a ridere se
solo non avesse avuto paura di farlo arrabbiare.
“Vuoi
vedere che a forza di recitare formule magiche qualcosa è successo per
davvero?” si chiese.
Non
fece in tempo a darsi una risposta che re verdura le rivolse la parola.
“Giovane
fata, dimmi, tu che sai tutto della magia: come posso liberarmi
dall'incantesimo che mi vuole più simile all'orto di mio padre che a un giovane
principe aspirante al regno? Maga Almidia mi ridusse così cent’anni fa e non
c’è stata fata capace di riportarmi alle mie fattezze umane. Vuoi provarci tu?
Saprò ricompensarti, chiedi ciò che vuoi.”
“Io?”
chiese Marta con gli occhi che sprizzavano meraviglia.
“Tu,
sì! E cerca di far presto perché soltanto ieri ho visto una ragazza che mi
piace, vorrei farne la mia regina e con lei regnare per tanti e tanti anni, non
vegetare come faccio adesso, carciofo fra i carciofi, mani d’asparago e corpo
di melanzana.”
“Io?
Sono una bambina e poi non so ancora fare magie” avrebbe voluto dirgli, ma si
trattenne: mica poteva dir di no a un re, seppure vegetale!
Così,
senza sapere come era successo né dove si trovava esattamente, capì che il suo
bel sogno di essere fata ora era lì, alla portata delle sue manine, non le
restava che cogliere l’occasione e dare prova di ciò che aveva imparato leggendo fiabe a più non posso.
Frugò
nella mente per vedere se fra tutte le tiritere impresse nella sua memoria ce n’era una adatta alla situazione.
Pensa
e ripensa finalmente gliene venne in mente una, con aria d’importanza si mise al
centro del salone e cominciò a recitare a gran voce la formula che doveva
riportare un re carciofo a sembianze umane.
Lì
per lì non successe nulla, Marta stava già pensando a dove poteva scappare
nel caso il re l’avesse presa male.
Il
carciofo, pardon, il re tamburellava con le dita asparago sul
bracciolo dorato del suo trono, era impaziente, si vedeva bene, del resto come
dargli torto? Chiunque, al posto suo, lo sarebbe stato.
Questo,
capirete bene, aumentava la tremarella della nostra amica che si vedeva già
imprigionata o chissà cosa.
Ma la fortuna, o non so come chiamarla, quel giorno stava dalla sua parte.
Abbassò
gli occhi, Marta, solo per un attimo. Quando li rialzò vide il suo re verdura
alto e imponente vicino a lei, che sorrideva tendendole la mano.
“Grazie,
sapevo che mi avresti liberato! “disse il bel giovane che le stava accanto.
Del
carciofo e della melanzana neanche l’ombra. Gli asparagi spariti, al loro
posto mani bellissime, affusolate, si protendevano verso di lei come per
abbracciarla.
Marta
fu proclamata Fata di Corte, e la sua fama corse veloce per ogni angolo del
regno: chi la cercava di qua, chi la chiamava di là, non aveva tempo neppure per le fiabe. Aveva così tanto lavoro che
a volte, la sera, non riusciva a infilarsi il pigiamino, per quanto era
stanca. Si coricava così, vestita, e la mattina dopo via al lavoro, a liberare
qualche sfortunato da un incantesimo o da una fattura.
Non
si poteva dire che non fosse felice, amata e rispettata, faceva il lavoro che
aveva sempre sognato e viveva in un bellissimo palazzo, ma... c’è sempre un ma che
complica le cose, anche nelle situazioni più fortunate.
Il
suo ma stava nel fatto che da mesi ormai non vedeva più
i genitori e quel cane -tempesta dell’Armando, per non parlare degli amici. Aveva tanta nostalgia di casa, al punto
che un giorno ne parlò al re.
“Sire,
sono orgogliosa e felice di essere fata di corte. Ho realizzato il mio sogno ma
ho tanta nostalgia di casa e dei miei genitori. E poi, in fondo, sono ancora una bambina!”
“Ti
comprendo, “rispose il re,” è cosa assai normale. Ti concedo il permesso di
andare a fargli visita ma solo se prometti di tornare.”
“Tornerò,
sire, lo prometto. Mi piace troppo questo lavoro di fata per lasciarlo così.
Grazie, mio re”.
Per
tornare a casa pensò di usare la stessa formula che aveva recitato
il giorno in cui, dalla sua cameretta, per un caso o per vera magia, era arrivata fino lì.
La
recitò ad alta voce, con grande convinzione, e neanche a dirlo funzionò
davvero!
Tutto
il palazzo scomparve in un secondo, Marta era di nuovo nella sua stanzetta, con i
pupazzi, le bambole e i suoi libri. Tutto era come l'aveva lasciato quel giorno lontano. Solo Amalia
si era addormentata, mentre di là in cucina si sentiva la mamma trafficare ai
fornelli: che fosse già ora di cena?
Svegliò
l’amica che si riscosse tutta felice, dicendo che aveva fatto un sogno incredibile: Marta era una fata di corte e tutti l’acclamavano, guadagnava fior di monete d’oro
ed era ricca quasi quanto un re!
Marta sorrise: Amalia non si era accorta di nulla, per tutto quel tempo aveva solo dormito.
Di
sicuro anche la mamma non sapeva.
A
lei non restava che abbracciarle entrambe e mantenere stretto il suo segreto, fino alla
prossima partenza per il mondo delle sue amate fate.
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