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domenica 14 giugno 2020

Fiori di pietra



Quando l'affetto vince anche il più terribile degli incantesimi...

Buona lettura


Fiori di pietra

 Barbara Cerrone

 

 

 

 

L’inverno si era rifatto vivo, in paese, crudo e cattivo come se fosse appena cominciato.

“Stai a vedere che adesso nevica” disse la madre sbattendo le uova.

Gemma sorrise: come poteva nevicare in pieno mese di maggio? Sua madre esagerava. Era solo un capriccio momentaneo del tempo e poi sarebbe tornato il caldo, lo aveva sentito alla televisione.

“No, mamma, non nevicherà. Farà solo un po’ più freddo, per qualche giorno, e poi ci sarà di nuovo il sole.”

“Uhm, eppure una volta è successo, sì, la neve a maggio…ero una ragazzina. Che rabbia! Avevo già messo la maglietta con le maniche corte. Se ora fa uno scherzo del genere poveri i miei fiori!”

Gemma sorrise di nuovo. Per la madre i fiori erano come altri figli, ci teneva tanto; li coccolava; li curava; le ore più belle della sua giornata le passava in giardino, a parlare con le piante.

“Non nevicherà, mamma, e i tuoi fiori staranno benissimo”.

Le parve che a quelle parole il viso di sua madre si distendesse, come se avesse avuto solo bisogno di essere rassicurata. La vide gettare all'indietro la testa per scostare i riccioli scuri dalla fronte mentre accennava un sorriso.

Gemma riprese a fare i compiti, la mamma infornò il dolce che avrebbe servito a cena.

Verso sera tornò anche il padre di Gemma. Era stanco, aveva avuto una brutta giornata e non voleva quasi parlare.

Gemma gli ronzò intorno per un po’, tentò di raccontargli della mamma e della sua paura che nevicasse ma lui era distratto e non sembrava disposto ad ascoltarla.

Capita agli adulti di essere troppo stanchi, Gemma lo sapeva e non se la prese troppo. Avrebbe parlato con il padre la mattina dopo, con una bella notte di sonno sarebbe stato più disponibile.

La cena fu particolarmente buona, quella sera, c’erano i piatti che a Gemma piacevano di più e la torta, che era da leccarsi i baffi.  Poteva andare a dormire soddisfatta, magari dopo un po’ di tv e le solite coccole a Teo, il gatto.

Il giorno dopo un insolito chiarore la svegliò prima del solito. Si affacciò alla finestra: neve! Fuori il giardino era tutto imbiancato.

“Mamma, mamma, hai visto?” Disse correndo in cucina. “La neve! La neve a maggio, mamma.”

“Che ti avevo detto? Sono cose che possono succedere. Io me lo sentivo, ieri, e poi il meteo aveva parlato di precipitazioni nevose a bassa quota. Però, i miei poveri fiori! Dovrò coprirli per proteggerli, non vorrei che stanotte ci fosse una gelata. Questo tempo folle non si sa cosa ti può combinare.”

“Prepiciti…sì, insomma, io non avevo sentito di queste prepiticipi…come si chiamano. E ora? Chissà se chiudono la scuola.”

“Internet non funziona oggi, non posso collegarmi col sito della scuola o del comune per vedere se ci sono comunicazioni. Ora chiamo la mamma di Clotilde, lei abita vicino alla tua maestra, magari si sono già parlate.”

Gemma guardò la madre allontanarsi a caccia del telefonino che lasciava sempre in giro qua e là, e puntualmente dimenticava dove l’aveva messo.

“Pronto? Sì, Anna, sono Mara. Sai mica se con questa neve chiudono la scuola? Sì? Bene, sarà contenta Gemma. Domani poi è sabato, di andare a scuola se ne riparla lunedì.”

Gemma aveva sentito tutto e già si immaginava una giornata di pacchia a fare palle di neve con Michela, la sua migliore amica.

Andò a lavarsi di gran carriera, come non faceva mai quando doveva andare a scuola.

“Mamma, vado da Michela, così facciamo i compiti insieme e poi un pupazzo di neve, in giardino.”

“Va bene, va bene ma state attente a non cadere. E mettiti la sciarpa, che fa freddo. Ah, e gli scarponcini rossi, quelli che porti sempre quando andiamo in montagna.”

“Sì, mamma!”

Gemma uscì con le ali ai piedi per andare da Michela, la sua amica abitava a poca distanza da casa sua, in un grande appartamento al terzo piano di un tranquillo caseggiato.

I compiti, quella mattina, li fecero per davvero. D’accordo, un po’ alla svelta, ma li fecero. Poi decisero che era l’ora di andare da Gemma, in giardino, a fare il pupazzo.

A casa trovarono la mamma di Gemma intenta a coprire i fiori con il telo perché il freddo improvviso non li uccidesse.

Si misero a fare il loro pupazzo, ridendo e tirandosi palle di neve. Come si divertirono!

Mentre giocavano così una strana donna passò per la strada, indossava una specie di palandrana nera e aveva un cappello grigio dal quale spiovevano lunghi capelli bianchi e arruffati. Con fare misterioso di avvicinò al cancello, Gemma e Michela ne furono quasi spaventate.

“Vi divertite, eh, bambine? Eh, questo è un paese pieno di gente allegra. Si sta bene in questo posto, vero? Sì, ma non sarà per molto!” disse la donna con una risataccia acida che avrebbe fatto venire i brividi al più coraggioso degli eroi, e poi si allontanò in gran fretta, guardandosi attorno come se avesse paura di essere inseguita

Le bambine si guardarono negli occhi: che fosse una pazza, quella strana donna?

Gemma avrebbe voluto correre subito dalla mamma per parlarle di quello strano incontro ma Michela, che non aveva voglia di tornare a casa, l’aveva fermata e, portando il dito indice alla tempia, le aveva fatto capire che quella donna doveva essere matta e non bisognava badarle. Meglio continuare a giocare.

 

Il pomeriggio passò veloce, fecero un bellissimo pupazzo e poi l’amica tornò felice a casa sua, Gemma rientrò in casa per la cena e andò a letto presto, perché fra una cosa e l’altra si era stancata un bel po’.

Durante la notte fece strani sogni e la mattina seguente si svegliò piuttosto agitata.

Come faceva ogni giorno, per prima cosa si diresse verso la cucina per salutare la mamma che, come sempre, a quell’ora preparava la colazione.  Passando lanciò un’occhiata veloce alla finestra: quello che vide la lasciò di sasso.

Il giardino, il suo bel giardino pieno di fiori, ora era un cumulo di sassi. La neve era scomparsa, la terra, arida, senza un filo d’erba, dava a tutto l’insieme l’aspetto di un deserto.

“Mamma, mamma! Hai visto? Il nostro giardino…” gridò correndo in cucina.

Ma la mamma non c’era, anzi, in casa sembrava non ci fosse nessuno, tale era il silenzio che regnava ovunque.

Gemma fece il giro delle stanze, ma non trovò neppure Teo, il gatto. Tutti sembravano scomparsi.

“Forse sono a far la spesa?” si disse per rincuorarsi, anche se i suoi non andavano mai a far la spesa così presto. Quanto al gatto, poi, uscì in giardino a cercarlo ma non era nemmeno lì. Dileguato anche lui. Di certo non era nei paraggi: un gatto pigro e fifone come lui, che non aveva mai varcato la soglia del cancello…impossibile.

Si guardò intorno, il giardino-deserto le faceva quasi paura. Che cosa era successo? Le veniva da piangere, non avrebbe voluto ma le lacrime le pungevano gli occhi. Pungevano così tanto che alla fine pianse davvero.

“Mamma, papà, dove siete? Cosa è successo?” gridava, tra le lacrime.

Finalmente si fece coraggio e andò a cercare Michela, voleva vedere se almeno da lei era tutto normale.

A casa di Michela non c’era nessuno. Gemma suonò più volte il campanello ma non ebbe risposta.

Si guardò intorno: silenzio e vuoto ovunque.

“Che cosa faccio, ora? Dove vado?”

Decise di andare al negozio di alimentari della Gina, per vedere se i suoi erano lì. In ogni caso, pensava, il negozio della Gina era una specie di centro smistamento chiacchiere dove se in paese succedeva qualcosa si sapeva subito.

Con suo grande sgomento vide che anche il negozio era chiuso. La faccenda si faceva preoccupante sul serio.

Non sapendo più che fare, la bambina decise di provare con i suoi vicini, chissà che non sapessero qualcosa, e in ogni caso la potevano aiutare: era sola, la casa sembrava abbandonata e in giro nessuno che potesse dirle cosa era successo.

Prima di andare dai vicini passò da casa, per vedere ancora se per caso erano tornati i suoi, o almeno Teo si era rifatto vivo.

Il giardino, a guardarlo, era una desolazione. Ci passò in mezzo come in un campo di battaglia. C’era di che mettersi a piangere di nuovo, Gemma sentiva arrivare un fiume di lacrime dal profondo del suo cuore smarrito quando improvvisamente lo vide. Un fiore. Di pietra, sembrava…no, no, forse era sale…no! Sabbia, ecco, era sabbia. Insomma Gemma non capiva che strano tipo di fiore fosse, somigliava ad un’enorme margherita, ma le faceva così tanta impressione!

Fece per avvicinarsi quando PUF! Eccone spuntare un altro, a poca distanza dal primo.

“Quante stranezze in un giorno solo!” mormorò la piccola avvicinandosi ai fiori.

All'improvviso Gemma ebbe come un’illuminazione, si ricordò della strana donna che lei e Michela avevano visto il giorno prima.

Ripensare a quell'episodio ora, con quel mistero inspiegabile, tutta quella gente che sembrava scomparsa e quegli strani fiori le faceva venire i brividi: e se fosse stata una strega? E se avesse lanciato una maledizione sul paese, sulla sua casa? Una specie di maleficio, insomma.

Annusò entrambi i fiori.

“Buffo, “pensò, ”questo ha lo stesso profumo che indossa mamma quando esce. E quest’altro, poi…è uguale al dopobarba di papà.”

“Per forza, piccola mia, “disse una voce che conosceva bene, “sono io, la mamma! E quello è papà.”

“Mamma!” Gridò la bambina guardandosi attorno. “Dove sei? Non ti vedo.”

“Dove meno te lo aspetteresti. Qui. “

“Qui dove?”

“Il fiore, Gemma.”

“Il fiore? Vuoi dire che sei diventata un fiore?”

“Proprio così, un fiore di pietra. E lo stesso tuo padre ma lascialo stare, per ora. Sta dormendo, gli parlerai più tardi.”

“Mamma com'è possibile? Chi è stato a farvi questo?”

“E chi lo sa? Io stavo preparando la colazione, Teo stava mangiando nella sua ciotola quando…PAF! Ci siamo ritrovati così.”

“Una magia, per forza. Lo sapevo, non dovevo dar retta a Michela. Ieri sera abbiamo incontrato una  donna misteriosa, ci ha detto che ci vedeva felici ma non lo saremmo state ancora per molto. Sembrava proprio una strega.”

“Oh, figliola, non so se raccontarmelo sarebbe servito a qualcosa, che avrei potuto fare contro una strega? ”

“Ma Teo dov'è? Non vedo altri fiori, qui.”

“Lui è proprio scomparso, non si sa che fine abbia fatto, povero micio. Mi dispiace, tesoro, non so dirti altro.”

“E tutti gli altri? I nostri vicini? La gente del paese? Dove saranno?”

“Scomparsi anche loro? Poveri noi, Gemma, qui la faccenda è seria davvero”.

Madre e figlia chiacchierarono ancora un poco, poi la mamma disse a Gemma che era ora di cenare, del resto in frigo c’era di tutto e le avrebbe detto lei come e cosa preparare. Stesse pur tranquilla.

La bambina obbedì, seppure a malincuore, perché l’idea di cenare tutta sola, senza i suoi né Teo che si sdraiava sulle sue gambe le dava una grande tristezza.

“Chissà come mai solo i miei sono diventati dei fiori di pietra mentre tutti gli altri sono scomparsi. Ci sarà pure un motivo…” pensava la bambina apparecchiando la tavola vicino alla finestra per vedere i suoi genitori.

“Certo che c’è!”

Gemma si voltò, spaventata: dietro le persiane c’era lei, la strega del giorno prima.

La piccola fece un salto.

“Mamma, mamma!” gridò.

Ma che poteva fare sua madre?

“Che vuoi ancora da me? Non ti basta quello che hai fatto?” disse Gemma alla strega.

“Mi basta, mi basta. Tu chiedi perché solo i tuoi sono stati trasformati in fiori ed io voglio risponderti. Tutto il paese è scomparso. La tua gente è prigioniera nella terra della dimenticanza. Nessuno si ricorderà di quelle persone, resteranno per sempre laggiù e tu non le vedrai mai più. I tuoi, invece, li ho fatti diventare dei fiori di pietra perché tutti erano felici, in questo paese, ma tu eri la più felice di tutti. Per questo ho deciso che fossi la sola ad avere sempre qui, sotto gli occhi, i tuoi genitori in modo da non poter mai scordare come li ho trasformati.  Volevo che ti tormentassi nel vederli e soffrissi più degli altri.”

“Ma perché? Che ti ho fatto?”

“Nulla. Io odio le persone felici, e buone, come te. Io non sono né buona né felice. E ora, se permetti, torno da dove sono venuta. Buon divertimento, carina. Ah, ah, ah!”

Gemma restò senza fiato. Una cattiveria così non pensava proprio che esistesse.

Il guaio era che non sapeva come uscirne, ammesso che ci fosse una via d’uscita.

“Ci vorrebbe un mago, o una fata. E chi conosce fate o maghi? Io no di certo”.

Con questi pensieri si addormentò quella sera. Anche il lettino, come la tavola prima, lo aveva portato vicino alla finestra, così da vedere i suoi e magari mandargli un bacio, prima di dormire.

Nonostante i mille pensieri che le affollavano la mente si addormentò subito, e sognò.

Sognò la sua amica Michela, vestita di azzurro, le veniva incontro con un sorriso triste.

“Gemma, “le disse,” sono prigioniera della terra della dimenticanza, tutto il paese è con me. Resteremo per sempre laggiù se tu non ci aiuti. Pensa a noi, Gemma, ogni giorno, non ci dimenticare. Solo così possiamo sperare di tornare”.

A questo punto Gemma si svegliò, con il cuore le batteva forte.  Il messaggio della sua amica le dava nuova speranza, no, non l’avrebbe mai dimenticata! Né lei né la sua gente.

Era ancora notte fonda e si rimise a dormire.

La mattina seguente appena sveglia corse a raccontare tutto ai suoi genitori.

“Che dici, mamma? Era davvero un messaggio di Michela? O era solo un sogno?”

“Io credo di sì, “rispose la mamma,” in ogni caso non resta che aspettare questa notte. Se Michela comparirà di nuovo nel sonno, se ti parlerà ancora allora è probabile che non si tratti solo di sogni ma che sia proprio lei a comunicare con te nell'unico modo che ora le è possibile.”

“Sì, credo anch'io. E tu, papà? Cosa ne pensi?”

“Credo che tua madre abbia ragione. Bisogna aspettare stanotte, e chissà che la tua amica Michela non abbia qualche messaggio utile anche per noi”.

Il cuore di Gemma si riempì di nuova speranza, la notte, che prima le faceva paura così, tutta sola, nella casa vuota, ora le sembrava il più bel momento della giornata e non vedeva l’ora che arrivasse.

Quella sera andò a dormire prima del solito e si addormentò subito perché la giornata era stata pesante, con tutte quelle cose da fare! Ora che mamma e papà erano stati tramutati in fiori di pietra toccava a lei fare tutto, dalle pulizie alla cucina, e la sera era completamente esausta.

Dopotutto era pur sempre una bambina.

Insomma, si addormentò come un angioletto, e dopo pochi minuti il sogno arrivò.

“Gemma, sono io, Michela. Non posso stare molto, questa volta. Non mi è permesso venire a trovarti ma io ho trovato il modo: penso intensamente a te, alla casa. Tutto qui, il segreto, ma guai se la strega se ne accorge! Mi spingerà nel fondo dell’oblio e per me non ci sarà più scampo. Dunque, se vuoi farci tornare tutti devi fare lo stesso, ogni giorno. Pensa a noi, pensa al paese com’era. Mi raccomando! Ora devo andare. Non so se riuscirò a tornare, ma tu pensaci e desidera fortemente che tutto torni come prima”.

Gemma si svegliò. Questa volta non c’erano più dubbi, il messaggio veniva proprio da Michela.

Il giorno dopo ne parlò di nuovo con i genitori.

“Gemma,” disse sua madre, “adesso non ti resta che fare come dice la tua amica. Forse è la soluzione per liberare anche noi dall'incantesimo. Non resta che provare.”

“Sì, mamma. Non sarà difficile pensarvi tutti, ricordarvi com'eravate. Vi penserò giorno e notte, vedrai. Anche Teo, penserò”.

La mamma annuì, come poteva annuire un fiore, scuotendo leggermente la corolla, mentre suo padre (così almeno le parve) abbozzò un leggero sorriso. Come sorrida un fiore non so, ma lui secondo Gemma lo fece e così dolcemente che alla bambina veniva quasi da piangere pensando al volto di suo padre quando le sorrideva.

Ecco, pensa, pensa! Si diceva Gemma, e la sua mente riviveva il passato con la vividezza del presente.

Giorni e giorni così, sempre a pensare intensamente ai suoi, al suo paese, al passato insieme.

Dopo due settimane così Gemma era scoraggiata.

“Non succede niente, niente!” si sfogò un giorno con la madre.

“Bambina mia, non so che dire, eppure sembrava proprio che Michela volesse suggerirti il modo per uscire da questi guai. “

“Forse era solo un sogno, mamma”.

Già, così sembrava. Solo un sogno, e la realtà un incubo senza fine.

La bambina era disperata, ma ugualmente non smise di pensare alla vita com'era prima dell’incantesimo.

Un giorno, tornando da una bella passeggiata lungo il fiume, le venne in mente un episodio di un anno prima. Lei e Michela che facevano lo stesso tragitto, nel pomeriggio, e si fermavano a casa di Gemma per la merenda.

Ad aspettarle, sua madre, che salutava dal pianerottolo col barattolo della marmellata in mano e l’aria allegra di chi ha fatto una bella sorpresa e non vede l’ora di dirlo.

“Forza, sbrigatevi, c’è la crostata in tavola!”

Gemma si riscosse. La sua immaginazione galoppava davvero molto forte se le sembrava di sentire proprio quella frase, come un anno prima.

“Allora, lumachine, avete perso le energie sul fiume? C’è la cro-sta-ta”.

No, non era la sua immaginazione. Qualcuno stava tirandole la manica del vestito, si voltò: era Michela!

“Ma…ma…tu sei qui!” gridò.

“E dove dovrei essere, scusa? Gemma, che hai? Mi sembri strana?”

“Io, eh?”

“Sì, dai, smettila con queste scene. Tua madre ci sta chiamando. Ha fatto la crostata. Corri, io ho fame”.

Michela sembrava non ricordare nulla di quello che era accaduto. Gemma era sconvolta e felice insieme.

A casa tutto era tornato come prima, il giardino era di nuovo verde, pieno di belle piante, nessuna traccia dei fiori di pietra. Teo le corse incontro miagolando, faceva le fusa e le saliva con le zampette sui piedi, come faceva sempre. La bambina lo prese in braccio e non finiva più di fargli le coccole.

“Mamma, ti ho liberata, ce l’ho fatta. E papà? Papà dov'è?”

“Liberata? Che dici, Gemma? Su, basta con le sciocchezze, ora. Papà è in bagno, appena esce andate a lavarvi le mani. Con le mani sporche niente crostata”.

Neanche la mamma ricordava, ora era chiaro. L’unica che sapeva e avrebbe custodito in sé il segreto di quello che era accaduto era lei, Gemma. Un grosso peso, per una bambina, ma lei aveva dimostrato di essere forte e sapeva che ce l’avrebbe fatta a sopportarlo. In fondo, l’importante era che quell'incubo fosse finito.

“Ma sarà finito per sempre? E se la strega tornasse?” si chiese, tornando triste per un attimo.

“Non accadrà più, stai tranquilla” disse una vocina dietro di lei.

Si voltò. Un passerotto era sul davanzale della finestra.

“Non temere, e ascolta, “proseguì l’uccellino, “la strega è scivolata nel fossato dell’invidia, e più si arrovella, più si mangia il fegato per la rabbia più sprofonda, senza speranza di tornare. Non ti darà più fastidio, stai tranquilla. Goditi questo giorno felice, è solo il primo di tanti altri che ti aspettano. Ciao, piccola Gemma”.

E volò via, lasciando la bambina a bocca aperta.

“Gemma, allora? “Disse di nuovo la mamma. ”Michela si è già lavata le mani e sta mangiando la crostata. Vieni anche tu, dai”.

Gemma sorrise. A questo punto non le restava che obbedire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


2 commenti:

  1. Una fiaba all'insegna del potere dei buoni pensieri e propositi, all'insegna della speranza che tutto tornerà a brillare e sorridere e agli odiosi e pericolosi invidiosi... non badiamoci. Bravissima.
    sinforosa

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  2. Grazie, Sinforosa.
    Un caro saluto
    Barbara

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