Medico. Una figura molto importante sulla quale non riversiamo solo le nostre aspettative di cura, ogni volta che dobbiamo consultarne uno vorremmo trovare in lui un professionista capace di rispondere anche alla nostra esigenza di essere ascoltati, compresi, in una parola: accolti.
Oggi vorrei presentarvene uno piuttosto originale che cura un disturbo molto fastidioso con uno strumento di sua invenzione.
A voi il mio
Dottor Singhiozzo
Barbara
Cerrone
Tanto tempo fa, in una città lontana da qui,
viveva un medico di fama internazionale, un luminare bravissimo che curava un
disturbo fastidioso e con tali e frequenti recidive da uscirne pazzi: il
singhiozzo. Per questo motivo e per molti altri ancora, nessuno sapeva il suo vero nome ma per tutti
lui era Dottor Singhiozzo.
Lo chiamavano a tutte le ore del giorno e
della notte e lui, sempre disponibile, talvolta non chiedeva nemmeno la
parcella, tanto era preso dalla nobile missione di liberar gli umani da quel
disturbo che li faceva sussultare e ostacolava più di una conversazione.
Da quelle parti, poi, era un problema assai
diffuso perché tutti mangiavano come forsennati, e questo a causa di un’usanza
di quei luoghi che voleva s’ingurgitasse il cibo in fretta e furia, giusto per
far vedere che il pasto era gradito. E
ogni volta, finito il pasto, entrava in gioco il nostro buon dottore (uomo di
scienza e di gran cultura) con il suo aspiratore, strumento all'avanguardia e
brevettato, che si applicava alla bocca del paziente per portar via il
singhiozzo in poche mosse.
Di quell'aspiratore andava molto fiero, se lo
portava dietro in ogni dove, casomai ci fosse stato un singhiozzante che lì ne
abbisognasse.
L’unica guaio era che pesava tanto, quel
benedetto strumento di salute, gli aveva perfino sviluppato i muscoli, ma solo
al braccio destro, perché il sinistro era sempre impegnato nel gran gesticolare
esplicativo: doveva pure illustrare bene, anche a quelli digiuni di ogni
scienza, cosa faceva e come funzionava quell'aggeggio, perché ve ne erano di diffidenti e timorosi assai di qualche effetto
più che collaterale.
Ma era veramente efficace quella cura e di solito di certo non falliva, solo una volta capitò un contrattempo: successe un
giorno che una grossa rana, saltando da una parte all'altra della strada per
certe sue faccende da anfibio, gli capitò davanti all'improvviso e lui, non
conoscendo il soggetto, pensò saltasse per via del singhiozzo e subito applicò
l’aspiratore.
Vedendola slanciarsi come prima, dopo la
cura, ebbe una grossa crisi esistenziale, rimuginò sul fatto di andare in
Africa a domar leoni o di impiegarsi presso un grosso circo; per fortuna ben
presto si riprese e quella crisi passò senza lasciar traccia.
Viaggiava sempre a piedi, il gran dottore, e
non sapeva di nessun altro mezzo per muoversi e andare dai pazienti.
“Nell'esercizio fisico, “diceva, “ vi è la
salute, più che in ogni farmaco.”
E grazie, direte voi, ha scoperto l’acqua
fresca! Eh, no, un momento: ciò che non sapete è che erano tempi e luoghi,
quelli, in cui non c’era ancora questa moda di correre e sudare, se non forse
per guarire in un certo modo stravagante la più estrosa delle idiosincrasie.
Così si manteneva asciutto e magro come un
ramoscello, e qualche volta oscillava al vento per quanto era leggera la sua
massa. Mangiava poco, quel tanto che bastava a stare in piedi e correr dai
pazienti.
Abitualmente portava nella tasca della giacca
l’abbecedario del dottore esperto che sempre, dico sempre, consultava prima di
dar pareri a tizio e Caio.
I suoi vestiti erano sempre neri, come il
cilindro che portava in testa.
“L’uomo di scienza,” sentenziava sempre, ”non
deve mai avere dei colori, dev'essere neutro, anche nel vestire”.
Col risultato di sembrare ancor più magro, e
se lo s’incontrava in piena notte, mentre correva da un paziente in gran
bisogno, lo si scambiava spesso per un palo, perché era alto, quasi metri due.
Non si era mai sposato perché, diceva: “Non
può tradirsi la scienza con una donna, né con la famiglia”.
Viveva solo con la governante, la signora Oriana, un tipo assai distinto, forse severa, ma stirava bene.
Viveva solo con la governante, la signora Oriana, un tipo assai distinto, forse severa, ma stirava bene.
Si narra ancora di una guarigione che a buon
diritto entrò nel libro delle scienze, e grandi onori furono tributati al buon
dottore che non ne fece un vanto.
C’era in paese un grande recidivo, con un singhiozzo che perdurava almeno da un mese, e non trovava né pace né riposo… il dottor Singhiozzo lo fece sedere, gli disse due o tre parole dolci, lo consolò, lo incoraggiò bene bene, poi gli applicò il suo aspiratore e per un mese intero non lo tolse.
C’era in paese un grande recidivo, con un singhiozzo che perdurava almeno da un mese, e non trovava né pace né riposo… il dottor Singhiozzo lo fece sedere, gli disse due o tre parole dolci, lo consolò, lo incoraggiò bene bene, poi gli applicò il suo aspiratore e per un mese intero non lo tolse.
Il pover'uomo, sì, si lamentava e lacrime
cadevano giù a fiotti su quelle guance incavate dalla fame, già che mangiare gli era
impossibile con l’aspiratore sempre incollato alla bocca ad aspirare, giusto un
po’ d’acqua, staccandolo un minuto, poteva bere e niente più. Nessuna
concessione.
Ma
dopo tutti questi sacrifici ecco che un giorno, e passato un mese, quel
singhiozzaccio lo lasciò senza far più ritorno e lui, allora, fece un monumento
(si può vederlo ancora nella piazza, tutto di marmo e alto metri tre) al suo
dottore e all'aspiratore, e testimonia quanto fosse amato, il nostro buon Singhiozzo,
dai suoi pazienti e dai concittadini.
Il
fatto è che si preoccupava per davvero di farli vivere in salute e molto a
lungo, ma ci teneva che fossero anche felici, diceva: “Conta molto esser
contenti per restare sani”.
E
sempre, dico sempre, si dedicava a
questa sua missione, specie la domenica ma non il venerdì: nel tardo pomeriggio
se ne andava a fare visita a una vecchia zia, gran brava donna ma un po’
petulante, la quale spesso gli rimproverava di non pensare a lei quanto ai
pazienti. Ma lo diceva quasi per un
vezzo e solo per sentirsi dire Non è vero!
davanti ad una tazza di buon tè al limone, accompagnata da un bignè alla crema.
Eh,
sì, credete, era lui il più grande.
Era
l’unico, il solo.
Era
il dottor Singhiozzo!
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