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mercoledì 14 marzo 2018

Un medico particolare...


Medico. Una figura molto importante sulla quale non riversiamo solo le nostre aspettative di cura, ogni volta che dobbiamo consultarne uno vorremmo trovare in lui un professionista capace di rispondere anche alla nostra esigenza di essere ascoltati, compresi, in una parola: accolti.
Oggi  vorrei presentarvene uno piuttosto originale che cura un disturbo molto fastidioso con uno strumento di sua invenzione.

A voi il mio












Dottor  Singhiozzo
Barbara Cerrone

Tanto tempo fa, in una città lontana da qui, viveva un medico di fama internazionale, un luminare bravissimo che curava un disturbo fastidioso e con tali e frequenti recidive da uscirne pazzi: il singhiozzo. Per questo motivo e per molti altri ancora,  nessuno sapeva il suo vero nome ma per tutti lui era Dottor Singhiozzo.
Lo chiamavano a tutte le ore del giorno e della notte e lui, sempre disponibile, talvolta non chiedeva nemmeno la parcella, tanto era preso dalla nobile missione di liberar gli umani da quel disturbo che li faceva sussultare e ostacolava più di una conversazione.
Da quelle parti, poi, era un problema assai diffuso perché tutti mangiavano come forsennati, e questo a causa di un’usanza di quei luoghi che voleva s’ingurgitasse il cibo in fretta e furia, giusto per far vedere che il pasto era gradito.  E ogni volta, finito il pasto, entrava in gioco il nostro buon dottore (uomo di scienza e di gran cultura) con il suo aspiratore, strumento all'avanguardia e brevettato, che si applicava alla bocca del paziente per portar via il singhiozzo in poche mosse.
Di quell'aspiratore andava molto fiero, se lo portava dietro in ogni dove, casomai ci fosse stato un singhiozzante che lì ne abbisognasse.
L’unica guaio era che pesava tanto, quel benedetto strumento di salute, gli aveva perfino sviluppato i muscoli, ma solo al braccio destro, perché il sinistro era sempre impegnato nel gran gesticolare esplicativo: doveva pure illustrare bene, anche a quelli digiuni di ogni scienza, cosa faceva e come funzionava quell'aggeggio, perché ve ne erano di  diffidenti e timorosi assai di qualche effetto più che collaterale.
Ma era veramente efficace quella cura e di solito di certo non falliva, solo una volta capitò un contrattempo: successe un giorno che una grossa rana, saltando da una parte all'altra della strada per certe sue faccende da anfibio, gli capitò davanti all'improvviso e lui, non conoscendo il soggetto, pensò saltasse per via del singhiozzo e subito applicò l’aspiratore.
Vedendola slanciarsi come prima, dopo la cura, ebbe una grossa crisi esistenziale, rimuginò sul fatto di andare in Africa a domar leoni o di impiegarsi presso un grosso circo; per fortuna ben presto si riprese e quella crisi passò senza lasciar traccia.
Viaggiava sempre a piedi, il gran dottore, e non sapeva di nessun altro mezzo per muoversi e andare dai pazienti.
“Nell'esercizio fisico, “diceva, “ vi è la salute, più che in ogni farmaco.”
E grazie, direte voi, ha scoperto l’acqua fresca! Eh, no, un momento: ciò che non sapete è che erano tempi e luoghi, quelli, in cui non c’era ancora questa moda di correre e sudare, se non forse per guarire in un certo modo stravagante la più estrosa delle idiosincrasie.
Così si manteneva asciutto e magro come un ramoscello, e qualche volta oscillava al vento per quanto era leggera la sua massa. Mangiava poco, quel tanto che bastava a stare in piedi e correr dai pazienti.
Abitualmente portava nella tasca della giacca l’abbecedario del dottore esperto che sempre, dico sempre, consultava prima di dar pareri a tizio e Caio.
I suoi vestiti erano sempre neri, come il cilindro che portava in testa.
“L’uomo di scienza,” sentenziava sempre, ”non deve mai avere dei colori, dev'essere neutro, anche nel vestire”.
Col risultato di sembrare ancor più magro, e se lo s’incontrava in piena notte, mentre correva da un paziente in gran bisogno, lo si scambiava spesso per un palo, perché era alto, quasi metri due.
Non si era mai sposato perché, diceva: “Non può tradirsi la scienza con una donna, né con la famiglia”. 
Viveva solo con la governante, la signora Oriana, un tipo assai distinto, forse severa, ma stirava bene.
Si narra ancora di una guarigione che a buon diritto entrò nel libro delle scienze, e grandi onori furono tributati al buon dottore che non ne fece un vanto.
C’era in paese un grande recidivo, con un singhiozzo che perdurava almeno da un mese, e non trovava né pace né riposo… il dottor Singhiozzo lo fece sedere, gli disse due o tre parole dolci, lo consolò, lo incoraggiò bene bene, poi gli applicò il suo aspiratore e per un mese intero non lo tolse.
Il pover'uomo, sì, si lamentava e lacrime cadevano giù a fiotti su quelle guance incavate dalla fame, già che mangiare gli era impossibile con l’aspiratore sempre incollato alla bocca ad aspirare, giusto un po’ d’acqua, staccandolo un minuto, poteva bere e niente più. Nessuna concessione.
Ma dopo tutti questi sacrifici ecco che un giorno, e passato un mese, quel singhiozzaccio lo lasciò senza far più ritorno e lui, allora, fece un monumento (si può vederlo ancora nella piazza, tutto di marmo e alto metri tre) al suo dottore e all'aspiratore, e testimonia quanto fosse amato, il nostro buon Singhiozzo, dai suoi pazienti e dai concittadini.
Il fatto è che si preoccupava per davvero di farli vivere in salute e molto a lungo, ma ci teneva che fossero anche felici, diceva: “Conta molto esser contenti per restare sani”.
E  sempre, dico sempre, si dedicava a questa sua missione, specie la domenica ma non il venerdì: nel tardo pomeriggio se ne andava a fare visita a una vecchia zia, gran brava donna ma un po’ petulante, la quale spesso gli rimproverava di non pensare a lei quanto ai pazienti.  Ma lo diceva quasi per un vezzo e solo per sentirsi dire Non è vero! davanti ad una tazza di buon tè al limone, accompagnata da un bignè alla crema.
Eh, sì, credete, era lui il più grande.
Era l’unico, il solo.
Era il dottor Singhiozzo!

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