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sabato 21 aprile 2018

Barbagianni, figlio di re



A volte capita che una bugia diventi realtà e che un millantatore resti imprigionato nella sua millanteria. O almeno, questo è quello che succede nella mia:







Barbagianni, figlio di re
 Barbara Cerrone



C’era una volta un uomo grasso e grosso che tutti chiamavano Barbagianni per via di quel suo naso adunco che somigliava a quello di un barbagianni, appunto.
Barbagianni, che di lavoro faceva il taglialegna, quando era libero passava il tempo all'osteria del paese dove lo conoscevano tutti e lo canzonavano ben benino a causa del suo naso e della sua dabbenaggine che non aveva pari in tutta la regione.
Un giorno in cui gli altri avventori erano più in vena del solito, lo martoriarono a furia di parole al punto che Barbagianni si arrabbiò e si rivoltò contro di loro come mai aveva fatto sino allora.
“Eh, voi, brutti ceffi...ora mi avete bello che stufato! Vi faccio vedere io di che pasta è fatto il sottoscritto” urlò lanciando un pugno sul tavolo dei buontemponi.
 “Ehilà, Barbagianni, non esser permaloso, “ fecero quelli in coro, “ si scherza un po’ dopo la fatica del lavoro, che? Hai perso l’umorismo?”
 “No, ma voi ora perdete la testa o qualcos'altro perché io ordinerò di farvela tagliare!” “Che? Che? Vuoi forse spaventarci allocco? E come potresti tu, un barbagianni stolto, farci tagliar via la testa? Noi siamo dieci e tu, pur grosso, sei uno.”
“Voi siete dieci ma non potete nulla, io invece, cari messeri, sono figlio del re e se lo chiedo mio padre vi farà il servizietto per la cagione che mi avete offeso.”
“Eh? Senti, che storia ci racconta quest’omone, “disse uno di loro, “ci prendi in giro, ora? Tu sei un poveraccio come noi.”
 “Eh, no, è qui che ti sbagli,”  rispose Barbagianni,”sono il figlio segreto del re e lo posso dimostrare. Prima di sera tu che parli così da arrogante, sarai in gattabuia”.
A quella frase le risate si levarono fino al cielo ma Barbagianni non si diede pena, alzò la mano minacciosa come a dire: Vedrai se non è vero, e si rimise a bere seduto al bancone. Nemmeno il tempo di un sorso di quel vino che all'ingresso si presenta il capo delle guardie tutto ansante.
 “Chi di voi è Monaldo il calzolaio?”
“Son io signore, per servirvi“ rispose l’uomo che Barbagianni aveva minacciato.
“Seguitemi, siete in arresto.”
 “A – a- a-r-resto? Che dite mai?” balbettò il poveraccio incredulo. “Son uomo onesto e non faccio male né a bestie né a cristiani.”
“Poche storie! Venite o vi trascino con la forza.”
Quel disgraziato lo seguì, tra gli sguardi attoniti degli avventori.
“Visto, ragazzi? Ve l’avevo detto! Ogni mio volere è legge per il babbo mio” esclamò Barbagianni gongolante, e in quella un altro degli astanti si levò.
 “E’ puro caso quello che è successo, caro buffone: tu non sei nessuno!”
“Non mi sfidare o fai la stessa fine” urlò Barbagianni, con gli occhi fuori dalle orbite.
Un attimo dopo ecco di nuovo la guardia.
 “Giovanni il fabbro è qui?”
“Eccolo, per servirvi” rispose Giovanni.
 “Venite, siete in arresto come il vostro amico.”
 “Che scherzo è questo? Tu l’hai architettato “ accusò l’uomo rivolto a Barbagianni che rideva come un matto.
 “Nossignore, “replicò quello fra le risa, “non è uno scherzo, è l’augusto padre mio che vendica il figliolo, bel tomo!”
E anche Giovanni fu portato via.
Persuasi che ci fosse una magia di mezzo, un qualche incantamento, quei buontemponi si fecero da parte.
Nessuno osò più aprir la bocca, temendo un nuovo incarceramento, finché l’oste in persona non ruppe quegli indugi.
 “Oh, Barbagiannino, tu sei figlio di re e non di un cane come si pensava! Mi fa piacere ma se questo è vero, dovresti essere in grado di farli liberare dopo che li hai messi tutti al gabbio.”
 “Eh, sì, bazzecole, se io volessi…”
“E allora, su, dimostraci che sei nobile d’animo e che sai perdonare. Quale migliore prova d’aver origini regali?” intervenne il maniscalco che aveva nome Goffredo.
Barbagianni ci pensò su per qualche minutino, roteò gli occhi, tirò su col naso, poi aprì la bocca e sentenziò così:
 “Miei cari, mi è cosa assai gradita mostrare a tutti il mio nobile cuore ma si dà il caso che il mio augusto padre non sappia perdonare chi fa uno sgarro al suo amato figlio, perciò non garantisco che sortirò l’effetto.”
 “Eh, bella scusa,” fece il maniscalco che era il più brillo di tutti gli avventori, “ allora non è vero che sei figlio di re.”
“Ah, così? Allora in galera insieme ai tuoi amici!” proclamò Barbagianni con il bicchiere in mano.
Dopo un minuto la guardia era già lì.
“Vorrei tanto sapere che accade oggi in questo paesino,”brontolò quello asciugandosi il sudore, ”dunque, ci risiamo: chi di voi è Goffredo, il maniscalco?”
“Son io. Eccomi qua,” disse il tapino che già se lo aspettava, “ bene, seguitemi come gli altri”.
Via anche il maniscalco.
Non era ancora volata una mosca che Annetta, moglie del Barbagianni, venne a cercarlo per riportarlo a casa.
“Gesualdo, ubriacone, vieni a casa che è l’ora. Guarda in che stato sei ridotto!”
 “Moglie, oggi non è giornata di fastidi e tu non devi molestarmi sennò ti faccio far la stessa fine di quei quattro gonzi che mi hanno provocato.”
“Che maniera è questa di trattarmi? Proprio perché sei sbronzo, altrimenti...”
 “Altrimenti cosa, moglie? Guarda che son figlio di re e posso farti chiuder nel sacello!” 
“Che sei tu, ubriacone? Falla finita e vieni via che ridicolo ti sei reso da un bel pezzo.” 
“Così mi provochi? E sia!”
 Annetta non lo stette più a sentire, lo prese per la manica e cominciò a strattonarlo ma proprio in quell'istante ecco la guardia.
 “Sei tu Annetta, di Giacomino, moglie di Gesualdo, detto Barbagianni?”
 “Sissignore, sono io, per servirvi.”
“Siete in arresto, seguitemi madama”.
 Le grida della donna le udirono anche i sordi ma non ci fu salvezza:  la presero e la trascinarono via in prigione come gli altri.
Gesualdo, trionfante, non stava più nella pelle per l’orgoglio: si vantava a destra e a manca continuando a bere e a bere, mentre gli altri avventori si guardavano fra loro in preda allo sgomento.
Bevve finché l’oste in persona, giunta la mezzanotte, non lo cacciò fuori.
Come fu come non fu, si fece mattina e Gesualdo, che non aveva avuto nemmeno la forza di tornare a casa e si era addormentato sulla soglia dell’osteria, si svegliò ma, fra il mal di testa che gli faceva scoppiare quel suo cervello poco sviluppato e i dolori nelle ossa per la notte all'addiaccio, faticava ad alzarsi in piedi.
Fece un tentativo ma ricadde quasi subito giù a terra; un secondo; un terzo; un quarto; al quinto, finalmente, ci riuscì.
Camminando traballante per la strada si rese subito conto che fra i passanti, tutti compaesani e perciò conosciuti, nessuno lo salutava, anzi, tiravano dritto chinando gli occhi come se avessero visto le pustole di un appestato.
 “Che gli prende a questa gente? Ho fatto qualcosa di brutto, ieri sera?“ si chiese Barbagianni sgomento, ma non trovò la risposta perché della sera precedente lui non ricordava nulla.
Più andava avanti, più incontrava gente che lo evitava e più si convinceva di aver fatto qualcosa di grosso: cosa, che diamine?
“Lo chiederò all'Annetta, quando arrivo a casa. Lei, di certo, lo sa e non mancherà di farmelo sapere, magari con la scopa in mano per farmela pagare. Pazienza, purché si possa rimediare e non sia cosa da andarci in galera”.
Finalmente, quando era quasi a un passo da casa, incrociò il viso rubicondo del suo amico Melandro.
 “Oh, chi si vede! Proprio tu fai al caso mio: sai cos'è successo ieri sera? Ero ubriaco come una damigiana piena e non so cos'ho fatto, ma qualcosa devo averla combinata perché nessuno mi saluta e tutti mi trattano come un ladro.”
“Come? Non ti ricordi? Hai fatto arrestare tre persone, compresa la tua signora” sibilò quello e scappò subito come rincorso dai cani.
“Ho fatto arrestare tre persone? La mia signora? Ma che dice quello stolto? E come avrei fatto, di grazia? Ecco Landolfo, forse lui mi dirà la verità, è un uomo serio. Oh, amico, dimmi un po’: sai tu cos'è successo alla taverna ieri?” chiese rivolto a un omino piccolo piccolo che passava lesto come un furetto. “Tutti mi evitano come un appestato e Melandro dice che ho fatto arrestare…”
“...tre persone, più tua moglie, sciagurato! Ma il bello è che non ti si può far nulla perché sei figlio del re” rispose l’omino e scappò via anche lui.
“Come, come? Figlio del re? Ora ho capito, è uno scherzo! Questi birboni si prendono gioco del sottoscritto, non bastano le burle all'osteria, ci voleva anche questa messinscena. Ora vado a casa e si vedrà se la mia consorte è in galera o davanti ai fornelli, come sempre”.
Detto ciò, il nostro Barbagianni filò via come un fulmine, ansioso di veder come stavano le cose nella sua magione.
Arrivato a casa, trovò la porta chiusa.
 “Moglie! Moglie! Annettaaa!” prese a gridare.”Aprimi, sono io…se sei arrabbiata, fattela passare.”
Ma Annetta non rispondeva.
 “Che sia successo qualcosa? Sarà uscita a cercarmi? O è per orti a cercare erbette?” si chiese il Barbagianni grattandosi la testa spelacchiata.
Passò di lì una vecchietta.
 “Disgraziato!” disse la donna.”Che cerchi mai? La tua consorte è in gabbia, ce l’hai mandata proprio ieri sera”.
“Ancora con questa storia! “rispose il Barbagianni assai seccato.”Non credo una parola ma qui non c’è nessuno, andrò a vedere alle prigioni tanto per dimostrare che son sciocchezze senza fondamento”.
 Il palazzaccio, come lo chiamavano in paese, distava sì e no dieci minuti dalla sua casa e Gesualdo, detto Barbagianni, arrivò in un baleno.
 “Guardie, aprite! Sono Barbagianni, vengo a vedere se la mia signora è qui, vostra prigioniera, o trattasi di scherzo sciagurato che saprò  tosto ricambiare.”
Il portone si aprì e una delle guardie, dopo averlo scrutato ben benino, gli si rivolse più o meno così:
 “Principe, entrate pure. Il re vostro padre ha ingabbiato bene quei figuri che hanno osato mancarvi di rispetto, vedrete con i vostri occhi. Quanto alla moglie, anche lei deve imparare che la consorte di un futuro re non può trattarlo male davanti al suo popolo”.
“Che? Che?” urlò Barbagianni.”Anche voi siete impazzito o partecipate a questo brutto scherzo? Basta, vi dico, ora esagerate! L’essere il capo delle guardie non vi autorizza a prendervi gioco di un pover'uomo onesto come me.”
 “Non è uno scherzo, “ ribatté la guardia,”piuttosto voi scherzate, principe e mi prendete in giro, del resto siete un principe e tutto vi è concesso. Entrate, vi faccio accompagnare”.
Barbagianni aveva un diavolo per capello e meno male che di capelli ne aveva pochi: esser preso in giro da quel bellimbusto…e che poteva mai fare, lui, povero diavolo, che una sera per troppa ubriachezza si era detto figlio di re e per questa bravata veniva ora deriso dai suoi compaesani? Niente. Seguì la guardia e brontolando arrivò nell'angusto luogo sotterraneo dove avevano sede le carceri e lì, dietro le sbarre come tanti uccelli, vide gli amici della sera prima che l’avevano provocato. C'era anche la sua signora, scarmigliata e rossa in viso per la rabbia.
 “Ah, sei qui, disgraziato!” lo apostrofò appena lo vide.”Tirami fuori da questo posto e alla svelta, sfaticato ubriacone.”
 “Moglie mia ma com'è successo? Chi ti ha incarcerato e perché?”
 “Chi? Perché? E me lo chiedi? TU! Fa anche il finto tonto, ora! “
“Io? Com'è possibile? Bando alle ciance, parleremo a casa, ora importa solo farti uscire. Guardia, aprite questa gabbia, mia moglie torna a casa.”
 “Subito, signore, ai vostri ordini”.
Annetta uscì come un’anguilla, si rassettò alla meglio i vestiti stropicciati come il suo viso, giacché non aveva dormito molto la notte precedente, poi prese il marito sottobraccio, gli fece due occhiacci come per dire E ora viene il bello e fece per andar via ma gli altri derelitti che avevano subito la sua stessa sorte reclamarono anch'essi la liberazione.
 “Barbagianni, dove vai? E noi? Ci lasci qui senza colpa alcuna tranne qualche scherzo innocente all'osteria? Liberaci, per amor del cielo, abbiamo moglie e figli anche noi”.
Barbagianni, che era di cuore e un po’ si dispiaceva per aver causato tutto quel trambusto, ordinò che fossero liberati.
Quando furono usciti, non ce ne fu uno che non mandasse al diavolo Barbagianni, il quale, costernato, si sfiniva a dire: “Mi dispiace, ero sbronzo, figlioli, non succederà più” oppure “Sono mortificato, non me ne capacito”.
Ma loro niente. Non volevano sentire, e se ne andarono con i fulmini negli occhi.
Barbagianni decise allora di andare fino in fondo a quella storia, voleva capire com'era stato possibile che un disgraziato come lui dicendosi figlio di re potesse essere poi trattato come tale, dare ordini di carcerare questo e quello ed essere obbedito. Congedò la consorte con una scusa e andò a palazzo per chiedere udienza al re.
Il re, come tale, abitava in una magnifica dimora, Barbagianni non c’era mai entrato prima e ne fu un po’ intimidito.Con sua grande sorpresa anche lì fu accolto come un gran signore, il re lo ricevette subito e gli fece mille moine: Caro figliolo di qua…Caro mio erede di là.
Il povero diavolo rimase a bocca aperta, come poteva dar torto a sua maestà e dire:
 "Mio re, non son tuo figlio e lo sai bene, se non sei scimunito"? Oppure acconsentire e fare come se fosse vera quella panzana o, meglio ancora, starsene allo scherzo se di scherzo si trattava, poiché gli bruciava assai quella faccenda e non lo faceva ridere per nulla?
Lo trasse dall'impaccio il gran primo ministro, portando la notizia di un attacco.
 “Il nemico, sire. Ci ha invaso, è alle porte della città”.
Nel caos che seguì, Barbagianni sentì solo la voce del re che gli ordinava di mettersi alla testa dell’esercito per combattere l’invasore a costo della vita: dato che lui era vecchio e non poteva più fare il condottiero, toccava a lui difendere il suo regno. 
Al nostro, che a far la guerra non pensava proprio, si accapponò la pelle dalla fifa e pensò subito a come filar via. Approfittando della confusione e della distrazione del sovrano che dava ordini  a destra e a manca andando su e giù davanti al trono, indietreggiò pian piano verso l’uscita finché, non visto, sgattaiolò fuori e prese a correre come una lepre davanti ai cacciatori.
 Arrivò a casa che non aveva più fiato né parole, disse alla moglie d’essere stanco e di voler dormire e che la cena non gli andava proprio.
Si coricò zitto come una tomba ed ebbe incubi per la notte intera.
Il giorno dopo quando si svegliò fu ben felice d’esser Barbagianni, figlio di contadino e non di re, gli parve bello anche il suo soprannome e l’esser preso in giro dai beoni all'osteria.

 Non seppe mai cosa fosse successo, se incantesimo, burla o follia, e non lo chiese perché la storia ormai era scordata, spazzata via da una nuova guerra.



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