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giovedì 26 aprile 2018

Re Balzello- Tasse da fiaba



Tasse, gabelle, balzelli perfino nelle fiabe? Ebbene sì ma tutto è bene...

ecco il mio Re Balzello:






Re Balzello
Barbara Cerrone



C’era una volta un re che prosciugava le tasche già vuote dei suoi poverissimi sudditi con tante di quelle  tasse e gabelle che lo avevano soprannominato Re Balzello.
Re Balzello ogni giorno si alzava con una nuova tassa in testa, chiamava il suo primo ministro e dava ordine di farne subito una legge, per la disperazione dei poveracci che non sapevano più come campare.
Naturalmente ce n’erano di quelli che non riuscivano a pagare, a questi la legge regale riservava un trattamento sopraffino: per prima cosa le guardie sequestravano anche il pane secco dalla loro dispensa e poi, se non bastava, i disgraziati venivano presi  e sbattuti in galera senza troppi complimenti.
In tanti si dibattevano in tale sciagurata situazione, in troppi, a causa di queste frequenti spremiture, facevano la fame.
Il popolo era talmente immiserito che chi passava da quelle parti, vedendo tutta quella desolazione, faceva in modo di andarsene il prima possibile.
Uno degli spremuti più disperati era Gervaso, un contadino che aveva un fazzoletto sterile di terra che non rendeva più di uno sputo di grano e qualche oliva stitica da farci l’olio giusto giusto per la sua famiglia: alla mietitura gli sgherri del re prendevano quasi tutto quel granuccio, e la raccolta delle olive non andava meglio.
Un giorno, stanco di quella vita disgraziata, Gervaso disse alla moglie:
“Marta, qui non si mangia più, i nostri figli sono magri e malaticci, noi fatichiamo e non abbiamo nulla. Io dico che bisogna scappar via da questo posto.”
“Marito mio, e dove vuoi andare? Saremo poveri ovunque andremo, la fame ci seguirà come un cagnolino.”
“Ci sarà pure un posto dove regna un sovrano che non asciuga le tasche dei più poveri. Cerchiamolo, almeno! Se poi non lo troviamo possiamo sempre tornare qui, con un po’ di fortuna nel frattempo  il nostro Re Balzello potrebbe essere stato scacciato, magari da un usurpatore. Succede spesso ai re.”
“Tu sogni! Il nostro sovrano ha occhi dappertutto. Nessun usurpatore lo scaccerà.”
Mentre facevano tutti questi bei discorsi ecco comparire una certa fata che passava di lì quasi per caso. Quasi. Perché le fate, per caso, non fanno proprio nulla.
“Tua moglie ha ragione, Gervaso,” esordì quella,” scappare non serve. Ti dirò io come liberare il regno dall'avido re Balzello, ma dovrai essere molto coraggioso, si tratta di avere a che fare con una strega.”
“Mia buona fata, che vuoi che sia una strega?” rispose Gervaso.” Per chi fa la fame come noi è una sciocchezza, niente è più spaventoso della fame.”
“Benissimo, allora senti: vai sul monte, là troverai un torrentello con l’acqua scura scura, sulla sua riva ci sono erbette e fiori  e un comodo giaciglio dove nel pomeriggio si stende la strega Marcigna per fare un pisolino. Tu dovrai sorprenderla nel sonno e strapparle tre peli dal nasaccio adunco. Quando li avrai, li porterai al servitore personale del re al quale dirai che sono peli fatati  per guarire il re dalla sua insonnia, e gli  raccomanderai di metterli subito sotto il suo cuscino. Al resto penserà la magia dei tre peli”.
Gervaso corse subito a cercare il torrentello sul monte e lo trovò prima che facesse buio.
La strega si stava quasi per svegliare, non c’era tempo da perdere: strappò i tre peli dal suo naso e corse via veloce come un fulmine.
Arrivò a casa che era notte fonda, mise il suo bottino al sicuro in un bicchiere e andò a dormire soddisfatto dell’impresa.
La mattina seguente prese i peli e, come aveva detto la fata, li portò al servitore del re.
“Adesso non c’è che da attendere” disse alla moglie tornando a casa.
Passò un giorno, ne passarono due, tre, quattro e nulla era cambiato nel regno di Re Balzello.
“Moglie mia, la fata si è sbagliata. Il re continua a succhiarci il sangue e non si vede uno spiraglio di luce in questa notte buia.”
“Marito mio, sei diventato poeta? Aspettiamo ancora, forse qualcosa succederà. Ci vuole  pazienza, le fate non sbagliano”.
E la fata non sbagliò, infatti, neanche quella volta.
Dopo una settimana si sparse la notizia di una strana malattia che aveva colpito il re; prima si disse idropisia, poi piano piano si diffuse la voce, prima incerta, poi sempre più confermata da testimoni e fatti, che il sovrano era impazzito.
“Il re è pazzo, il re è pazzo!” si sussurrava nelle vie e nelle case.
Quando il popolo anziché sussurrare cominciò a gridare ecco che i suoi ministri pensarono bene di prendere provvedimenti, e senza troppo clamore catturarono il re  e lo chiusero nella torre, dove, pazzo fra i pazzi, rimase fino alla fine dei suoi giorni.
Fu eletto un nuovo re che si dimostrò subito più saggio, pretese dai suoi sudditi quel che potevano dare e in poco tempo il regno prosperò.
Anche Gervaso ritrovò la pace, riempì lo stomaco della sua famiglia ed ebbe giorni lieti a non finire.
Tutto grazie a tre peli che fecero impazzire un re già pazzo.

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