Re Balzello
Barbara Cerrone
C’era
una volta un re che prosciugava le tasche già vuote dei suoi poverissimi
sudditi con tante di quelle tasse e
gabelle che lo avevano soprannominato Re Balzello.
Re
Balzello ogni giorno si alzava con una nuova tassa in testa, chiamava il suo
primo ministro e dava ordine di farne subito una legge, per la disperazione dei
poveracci che non sapevano più come campare.
Naturalmente
ce n’erano di quelli che non riuscivano a pagare, a questi la legge regale
riservava un trattamento sopraffino: per prima cosa le guardie sequestravano anche
il pane secco dalla loro dispensa e poi, se non bastava, i disgraziati venivano
presi e sbattuti in galera senza troppi
complimenti.
In
tanti si dibattevano in tale sciagurata situazione, in troppi, a causa di
queste frequenti spremiture, facevano la fame.
Il
popolo era talmente immiserito che chi passava da
quelle parti, vedendo tutta quella desolazione, faceva in modo di andarsene il
prima possibile.
Uno
degli spremuti più disperati era Gervaso, un contadino che aveva un fazzoletto
sterile di terra che non rendeva più di uno sputo di grano e qualche oliva
stitica da farci l’olio giusto giusto per la sua famiglia: alla mietitura gli
sgherri del re prendevano quasi tutto quel granuccio, e la raccolta delle olive
non andava meglio.
Un
giorno, stanco di quella vita disgraziata, Gervaso disse alla moglie:
“Marta, qui non si mangia più, i nostri figli
sono magri e malaticci, noi fatichiamo e non abbiamo nulla. Io dico che bisogna
scappar via da questo posto.”
“Marito mio, e dove vuoi andare? Saremo
poveri ovunque andremo, la fame ci seguirà come un cagnolino.”
“Ci sarà pure un posto dove regna un sovrano
che non asciuga le tasche dei più poveri. Cerchiamolo, almeno! Se poi non lo
troviamo possiamo sempre tornare qui, con un po’ di fortuna nel frattempo il nostro Re Balzello potrebbe essere stato scacciato, magari da un usurpatore. Succede spesso ai re.”
“Tu sogni! Il nostro sovrano ha occhi dappertutto. Nessun usurpatore lo scaccerà.”
Mentre facevano tutti questi bei discorsi
ecco comparire una certa fata che passava di lì quasi per caso. Quasi. Perché
le fate, per caso, non fanno proprio nulla.
“Tua moglie ha ragione, Gervaso,” esordì quella,” scappare non serve. Ti dirò io come liberare il regno dall'avido re
Balzello, ma dovrai essere molto coraggioso, si tratta di avere a che fare con
una strega.”
“Mia buona fata, che vuoi che sia una
strega?” rispose Gervaso.” Per chi fa la fame come noi è una sciocchezza, niente
è più spaventoso della fame.”
“Benissimo, allora senti: vai sul monte, là
troverai un torrentello con l’acqua scura scura, sulla sua riva ci sono erbette
e fiori e un comodo giaciglio dove nel
pomeriggio si stende la strega Marcigna per fare un pisolino. Tu dovrai
sorprenderla nel sonno e strapparle tre peli dal nasaccio adunco. Quando
li avrai, li porterai al servitore personale del re al quale dirai che sono peli
fatati per guarire il re dalla sua insonnia, e gli raccomanderai di metterli subito sotto
il suo cuscino. Al resto penserà la magia dei tre peli”.
Gervaso corse subito a cercare il torrentello
sul monte e lo trovò prima che facesse buio.
La strega si stava quasi per svegliare, non c’era tempo da perdere: strappò i tre peli dal suo naso e corse via veloce come un fulmine.
La strega si stava quasi per svegliare, non c’era tempo da perdere: strappò i tre peli dal suo naso e corse via veloce come un fulmine.
Arrivò a casa che era notte fonda, mise il suo
bottino al sicuro in un bicchiere e andò a dormire soddisfatto dell’impresa.
La mattina seguente prese i peli e, come
aveva detto la fata, li portò al servitore del re.
“Adesso non c’è che da attendere” disse alla
moglie tornando a casa.
Passò un giorno, ne passarono due, tre,
quattro e nulla era cambiato nel regno di Re Balzello.
“Moglie mia, la fata si è sbagliata. Il re
continua a succhiarci il sangue e non si vede uno spiraglio di luce in questa
notte buia.”
“Marito mio, sei diventato poeta? Aspettiamo ancora,
forse qualcosa succederà. Ci vuole pazienza,
le fate non sbagliano”.
E la fata non sbagliò, infatti, neanche
quella volta.
Dopo una settimana si sparse la notizia di
una strana malattia che aveva colpito il re; prima si disse idropisia, poi
piano piano si diffuse la voce, prima incerta, poi sempre più confermata da
testimoni e fatti, che il sovrano era impazzito.
“Il re è pazzo, il re è pazzo!” si sussurrava
nelle vie e nelle case.
Quando il popolo anziché sussurrare cominciò
a gridare ecco che i suoi ministri pensarono bene di prendere provvedimenti, e
senza troppo clamore catturarono il re e
lo chiusero nella torre, dove, pazzo fra i pazzi, rimase fino alla fine dei
suoi giorni.
Fu eletto un nuovo re che si dimostrò subito più
saggio, pretese dai suoi sudditi quel che potevano dare e in poco tempo il regno
prosperò.
Anche Gervaso ritrovò la pace, riempì lo stomaco
della sua famiglia ed ebbe giorni lieti a non finire.
Tutto grazie a tre peli che fecero impazzire un
re già pazzo.
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