Ecco la prima fiaba che ho scritto, a questa hanno fatto seguito altre avventure dei due fratelli che sono state poi raccolte in un libro.
Vi lascio in loro compagnia e vi auguro buona lettura e buona vita, sempre.
Pata e Pùnfete
Pata
e Pùnfete erano due fratelli. Pata era piccolo e grassottello, aveva un enorme
ciuffo di capelli rossogialli che gli penzolava sempre sul naso ed era molto
intelligente, amabile e pieno di amici.
E
questo era Pata.
Pùnfete
, invece, era piccolo e grassottello come Pata, ma non aveva il ciuffo
penzolante sul naso, anche perché i capelli se li era tagliati due circaanni
prima e, per un ingarbugliato scherzo del destino pilifero, non gli erano più
ricresciuti ed erano rimasti corti ed
ispidi come quelli di Sigismondo, il
porcospino amico di famiglia che era sempre alla ricerca di una spazzola capace
di addomesticargli il mantello.
Anche Pùnfete era molto intelligente e amabile, ma aveva un grosso, grosso problema che lo affliggeva, rendendolo triste e solitario: il poverino cadeva in continuazione e non sulle bucce di banana ma, così, senza nessun motivo!
Anche Pùnfete era molto intelligente e amabile, ma aveva un grosso, grosso problema che lo affliggeva, rendendolo triste e solitario: il poverino cadeva in continuazione e non sulle bucce di banana ma, così, senza nessun motivo!
E
questo era Pùnfete.
Ciò
detto, è facile immaginare a quali umiliazioni era sottoposto il povero
Pùnfete, vero? Tutti lo prendevano in giro e quando lui e Pata camminavano per strada
la gente del villaggio si metteva a ridere perché, puntualmente, Pùnfete
cadeva, mentre il fratello lo aiutava a rialzarsi, diventando rosso rosso nel viso paffutello.
Fu
così che Pata disse un giorno a Pùnfete:
“Pùnfete, fratello mio, forse ho trovato il modo per non farti cadere più. C’è una donna nella casa del posto lontano che fa una pozione miracolosa, penso che dovremmo andare da lei e chiedere se ne dà un po’ anche a te. Ho monete a sufficienza per pagare e se non vuole soldi le canteremo una canzone: dicono, infatti, che ami molto la musica. Allora? Proviamo?”
“Pùnfete, fratello mio, forse ho trovato il modo per non farti cadere più. C’è una donna nella casa del posto lontano che fa una pozione miracolosa, penso che dovremmo andare da lei e chiedere se ne dà un po’ anche a te. Ho monete a sufficienza per pagare e se non vuole soldi le canteremo una canzone: dicono, infatti, che ami molto la musica. Allora? Proviamo?”
Pùnfete
lo guardò con gli occhi tristi.
“ Fratello,” disse,” non so…forse è bene
provare, ma ho perso la speranza! Ho preso tante pozioni strane, buone,
cattive, dolci, amare e nessuna mai ha funzionato finora.”
“Lo so, lo so, caro Pùnfete, questa è l’ultima
volta, poi rinunciamo e andiamo a vivere nel castello di Rivastrana, in mezzo
agli alberi del bosco che nascondono il dolore, e nessuno, mai più, ti vedrà
cadere.”
“Va bene, forse hai ragione, proviamo”.
Così
Pata e Pùnfete iniziarono a preparare il bagaglio per il lungo viaggio:
due camicie chiare e due camicie scure;
due paia di calzini di lana grattosa e due paia di calzini di lana morbidosa;
un pennello per spolverare la barba di Pata e una forbicina per tagliare i peli del naso di Pùnfete;
un sapone che fa le bolle e un sapone che non le fa.
Indossarono gli scarponi rossi per andar lontano e, mano nella mano, iniziarono il viaggio.
due camicie chiare e due camicie scure;
due paia di calzini di lana grattosa e due paia di calzini di lana morbidosa;
un pennello per spolverare la barba di Pata e una forbicina per tagliare i peli del naso di Pùnfete;
un sapone che fa le bolle e un sapone che non le fa.
Indossarono gli scarponi rossi per andar lontano e, mano nella mano, iniziarono il viaggio.
Sulla
strada che cammina non c’era nessuno, ciò parve strano a Pata il quale disse,
preoccupato, a Pùnfete:
“ Fratello mio, cosa pensi di questo silenzio? Non c’è nessuno sulla strada e gli uccellini non cantano, non è normale: che cosa sarà successo?”
“ Fratello mio, cosa pensi di questo silenzio? Non c’è nessuno sulla strada e gli uccellini non cantano, non è normale: che cosa sarà successo?”
“Non lo so, Pata, forse il silenzio è tornato.
Da tanto tempo non si faceva vedere, ricordi? Era partito per un lungo viaggio
in terre di sole, chissà, magari si è stancato e ha deciso di tornare qui.”
“Forse, comunque non capisco perché nessuno
sapeva del suo ritorno. Il vento che viene dal nord di solito porta notizie,
come mai non ha fatto sapere nulla?”
“Mah! magari siamo noi che non abbiamo
ascoltato, succede.”
“ Sì, succede,” ammise Pata, “ a volte succede”.
Ripresero
il cammino. La strada tortuosa girava a giringiro vicino ad una vecchia
quercia, e lì, dove il bivio faceva un punto interrogativo, Pùnfete esclamò:
” E ora? Tu sai da che parte dobbiamo andare?”
” E ora? Tu sai da che parte dobbiamo andare?”
“No, “sospirò Pata”però credo che se
punto il dito verso l’aria del sud capirò da che parte bisogna dirigere il
cammino, perché il caldo asciugherà il dito che indicherà la direzione giusta”.
Ecco
che Pata puntò il dito verso l’aria del sud e il dito cominciò a scaldarsi, a
scaldarsi, a scaldarsi finché per il
gran calore non si piegò come Pata aveva previsto, indicando la direzione del
giro di giraasinistra.
“
Ecco, visto Pùnfete? L’aria del sud ha parlato, dobbiamo andare da quella parte”.
Prese di nuovo per mano il fratello e insieme imboccarono la via del giro di giraasinistra.
Prese di nuovo per mano il fratello e insieme imboccarono la via del giro di giraasinistra.
Dopo
circa cento passi grossi, incontrarono un cervo triste che passava di là.
“
Cervo triste, buongiorno a te,” disse Pata, “per caso sai come mai oggi sulla
strada che cammina non c’è nessuno?”
“ No, amico, non lo so,”rispose il cervo, “e
non m’interessa, ho altro da fare. Devo piangere per tutti i dolori del mondo,
capirai, un compito piuttosto
impegnativo! Ora vi lascio, oggi è una giornata, sapeste... devo anche aiutare la mia amica lince a togliersi
le briciole dell’albero del sonno dalla pelliccia, dorme da settimane ormai e
se non le tolgo quelle briciole pisolerà in eterno.”
“Capisco, cervo, “continuò Pata, “ma speravo
tu ne sapessi qualcosa di più. Peccato, lo chiederò al prossimo incontro, se ci
sarà. “
“ Va bene, chiedi al prossimo incontro, e ora
scusami, vado dove è giusto che io vada”.
Il
cervo si allontanò, mentre Pata e Pùnfete si chiedevano quanto tempo avrebbe
impiegato il loro amico per togliere le briciole dell’albero del sonno dalla
pelliccia della lince, dato che quelle briciole erano così piccole e vischiose
che quando si attaccavano a qualcosa ci volevano almeno due decimillenni
per toglierle; Pata e Pùnfete rinunciarono a chiederselo oltre, perché
avevano il loro bel da fare e da pensare con il viaggio e la pozione e Pùnfete
che, come sempre, inciampava e cadeva e cadeva e inciampava.
E
come se non bastasse il cammino si stava facendo sempre più tortuoso, al punto da costringere i due fratelli a storcere i loro lunghi piedi
per adattarli alla strada, e tanto li storsero che ad un certo punto le dita
cominciarono a toccare i talloni.
“Oh,
guarda, Pata, i nostri piedi sono diventati come ciambelle. Che facciamo ora?”
“ Non saprei, e’ difficile dire cosa fare,
penso che quando gireremo verso casa torneranno come prima.”
“Davvero,
Pata? Speriamo tu abbia ragione, ma sono davvero scomodi così!”
Ripresero il cammino. Era un cammino pieno di passi e richiedeva grandi sforzi,
Pata e Pùnfete erano esausti, la
casa del posto lontano ancora non si vedeva e faticavano tanto con i loro piedi
a ciambella.
D’un
tratto, un luminoso ranocchio scappato da uno stagno vicino saltò sulla gamba
di Pùnfete, in segno di saluto.
“Oh,
guarda, “esclamò Pùnfete pieno di meraviglia, “un ranocchio luminoso! E’ il
primo che vedo nella mia vita, certo è anche il primo viaggio che faccio, anzi,
che facciamo, vero Pata? Ciao, ranocchio,
come mai da queste parti? “
“Ciao, persona che viaggia,”gracidò il
ranocchio, “sono qui perché la fuga dallo stagno mi ha portato lontano. Non
volevo saltare a così grande distanza ma la mia vita è una vita che salta ed io
la devo seguire e ogni volta è una gran fatica, sapessi!”
“Perché
sei scappato dallo stagno?” chiese Pata.
“ Perché ogni ranocchio cresciuto prima o poi
deve fuggire dallo stagno, si sa, è la prassi! Poi si torna, sai? Solo che io
ora mi sono perso e non so più trovare la strada per tornare a casa.”
“Oh, mi dispiace,”piagnucolò Pùnfete,”ed è per
questo che sei saltato sulla mia gamba? Perché speri che ti accompagni al tuo
stagno? “
“No! Io non salto sulle gambe delle persone
per comodità, ma per fare amicizia! Tu non puoi aiutarmi, devo trovare la
strada da solo: è sempre la prassi!”
“ Capisco, e ora scusami,
ranocchio luminoso, ma io e mio fratello dobbiamo proprio andare. Abbiamo un
posto lontano da trovare e i piedi a ciambella. Ciao, ranocchio.”
“
Ciao, persone che viaggiano: viaggiate bene”.
Pata
e Pùnfete tornarono ad essere soli con i loro piedi a ciambella. La fatica li
affaticava ma avevano il cuore leggero e questo bastava a farli andare veloci
come l’aria marzolina.
Camminando
e parlando, ogni tanto levavano gli occhi al cielo e ad un certo punto si
accorsero che si era fatto più triste.
“ Cos'ha il cielo, “ chiese Pata,” sembra
abbia voglia di piangere…”
“
Sì, lo vedo, e mi dispiace per lui. Cielo, c’è qualcosa che non va?”
“Niente, niente,” borbottò il cielo da sotto
le nuvole,” sto bene, è solo un po’ di allergia, passerà. Sono un cielo primaverile,
sapete, e i pollini non mi danno tregua. Etciù’! Scusate, adesso
lacrimerò un po’ ma voi non preoccupatevi: potete ripararvi sotto quella palma,
non ci vorranno troppe lacrime, poi arriverà il vento e tornerò a soleggiare.”
“Grazie. Arrivederci cielo,” disse Pata, “adesso
andiamo sotto la palma e aspettiamo che il vento soffi”.
I
due fratelli saltarono sotto le foglie verdi della palma, aspettando che
passassero le lacrime del cielo.
Il cielo pianse a lungo, in realtà, perché
quell'allergia era più forte del previsto.
Pata e Pùnfete erano proprio stufi, la palma era scomoda e cominciavano ad avere freddo, sotto le sue braccia verdi non passava il sole e la primavera somigliava ad un inverno caldo.
Pata e Pùnfete erano proprio stufi, la palma era scomoda e cominciavano ad avere freddo, sotto le sue braccia verdi non passava il sole e la primavera somigliava ad un inverno caldo.
“Pata,”
gemé Pùnfete,”sono stanco, forse dovremmo rinunciare a questo viaggio, il cielo
non sta bene, i nostri piedi sono a ciambella, la strada è tortuosa ed io
continuerò a cadere sempre! Sono un pasticcione, è più forte di me, sono nato
per cadere, non cambierò.”
“ Sei così dolce e amabile, cosa vuoi
che importi se cadi sempre? Io ti voglio bene lo stesso e anche gli amici del
bosco e della valle e della casa che non c’è. Loro ti amano così. Comunque, non
disperare, ce la faremo, vedrai,
riusciremo a trovare la donna e la pozione, ne sono certo.”
Improvvisamente
il cielo smise di piangere e allungò una mano
verso Pùnfete.
“
Amico,” sospirò, “sono addolorato dal tuo dolore e, anche se non sono autorizzato ad indicarti la
strada per arrivare alla tua pozione … dato il caso…ho deciso di fare
un’eccezione! Ti dirò come fare per arrivarci prima e senza troppa fatica.”
“Grazie, cielo piangente,” esultò Pùnfete,”non
ci speravo più, ormai. Dimmi, anzi, dicci, cosa dobbiamo fare.”
“ Oh, nulla di speciale, in realtà, dovete
soltanto aggrapparvi al mio dito ed io vi porterò su una delle mie nuvole, la
leggera dal colore rosa, sapete? Quella che si mette sempre in mostra vicino al
sole che tramonta, presente? Per una volta, invece che pavoneggiarsi, farà
qualcosa di utile.”
“
Grazie, caro cielo,” disse Pata, “a nome di noi due fratelli, grazie!”
Il
cielo porse un’altra delle sue dita azzurrine e li sollevò con delicatezza.
Pùnfete pesava un bel po’ e soffriva di
vertigini ma il cielo fu davvero bravo a portarlo su fino alla nuvola vanitosa.
“Ecco, “sbuffò dopo lo sforzo,”adesso siete
sulla nuvola leggera, fate buon viaggio e credete nel credere o non ce la
farete mai.”
“Ciao, ciao, ciao!” salutarono Pata e
Pùnfete, partendo con la nuvola alla
velocità del vento che soffia.
La
nuvola leggera fece il suo dovere, quella volta, il viaggio fu rapido e senza scosse, con il sole alle spalle
e la luna negli occhi: in un battiminuto arrivarono al posto lontano, davanti
alla casa della donna e della pozione.
“Siamo
arrivati, siamo arrivati, siamo arrivati!” giubilò Pata saltellando di gioia
mentre Pùnfete, come al solito, inciampava.
Tanto
fecero rumore gioioso che si svegliò la donna della pozione. Dormiva sempre
dietro l’albero dei sogni, pieno di fiori bianchi ma circondato da siepi
coperte di spine (per scoraggiare i
visitatori sgraditi).
“Cosa c’è? Chi grida in questo modo? “ brontolò la donna sollevandosi dal suo giaciglio.
“ Siamo
Pata e Pùnfete signora, “urlò Pata per essere sicuro che lo sentisse,”
siamo qui per chiedere il suo aiuto.”
“Il mio aiuto? Mah! Che dire? Ultimamente non sono riuscita ad aiutare
nessuno. Sono molto stanca e gli anni cominciano a pesare. Da dove venite?”
chiese la donna.
“ Da un posto lontano,”rispose Pata,”che per
noi è vicino e che ci manca tanto. Ora, vede, il problema riguarda mio
fratello, il quale, poverino, si chiama Pùnfete e con questo nome, capirà, si
trova nella difficile situazione di uno destinato a cadere sempre. Siccome è giovane
e timido e si vergogna delle brutte figure che fa e io che sono suo fratello
soffro per lui...”
“...piano,
piano. Così non capisco nulla! Parla più lentamente, ragazzo.”
“Dicevo … siccome è timido e giovane e non
vuole fare brutte figure e invece le fa continuamente, ecco che ci siamo decisi
a venire fin qui per chiederle aiuto. Sappiamo della sua pozione e di quanto
sia buona per i casi come il nostro, vorremmo comprarla, se lei è d’accordo. Ho
le monete e, se vuole, le posso cantare una canzone.”
“Oh,
no! Basta con le canzoni, “sbottò la donna,” non ne posso più. Le monete ve le
potete tenere. Sono vecchia, ormai, e vivo di altre cose. Qui non mi manca
nulla, che me ne farei delle vostre monete? No, piuttosto sentite: la pozione
che chiedete io ce l’ho ma non funziona per i casi come il vostro, vi hanno
informato male. Sì, qualche caso l’ho trattato ma senza successo, perché il
poverino di turno è stato bene per un po’, poi
ha ricominciato a cadere. No, non vi serve la pozione. Tuttavia un consiglio
io l’avrei.”
“Dica,
dica, gentile signora,”supplicò Pùnfete, “ io farei di tutto per guarire.”
“Calma,
calma, sappi che è un’impresa difficile
per due come voi. Comunque, si tratterebbe di salire sull'albero più alto dell’alto
e da lì, senza penzolare troppo,
guardarsi in uno specchio d’acqua.”
“ Salire su di un albero? Guardarmi in uno
specchio d’acqua? Ma a che serve tutto questo? “ domandò Pùnfete, deluso.
“
Serve, serve. Se lo vuoi fare bene sennò amici come prima. Io te l’ho dato il consiglio,
al resto pensaci tu.”
Così
dicendo si ritirò e tornò a dormire, fra gli sbuffi dei papaveri, sempre più
assonnati.
“Ecco,
Pata, siamo punto e a capo. Conviene tornarcene a casa, sconfitti più di prima.”
“No,
no, no e ancora no! Siamo venuti fin qui per risolvere il tuo problema e, per
tutti i destini stregati del mondo, lo risolveremo! Proviamo, che ci costa?
L’albero più alto dell’alto è qui vicino ed io sono un bravo scala alberi, tu puoi salire aggrappato a me, ti
terrò, vedrai”.
Pata
e Pùnfete allora fecero l’ultimo tentativo per risolvere il delicato caso e
presero il vicolo per l’albero più alto dell’alto.
Dopo pochi minuti di passi piccoli erano arrivati
davanti all'albero che, in effetti,
stava aspettando proprio loro.
“Oh, bene, siete arrivati,” disse dal profondo
delle radici il vecchio albero,” sbrigatevi perché lo stagno qui sotto sta per
asciugarsi, si è scocciato, non ce la fa più a continuare quella vita umida, e
non c’è verso di convincerlo! Uhm, no, questo è un altro problema. Avanti,
salite, e non vi fate male, perché il prato erboso è di cattivo umore oggi e
potrebbe respingervi se cadete".
Pata
e Pùnfete iniziarono la salita. Ci vollero due notti doppie e due giorni tripli
per arrivare in cima.
Finalmente,
al secondo giorno triplo, i due toccarono la cima dell’albero.
“Pata,
Pata, non vedo nulla! Dov’è lo specchio d’acqua?”
“Pùnfete, abbi pazienza, ora guardiamo meglio:
eccolo, eccolo! Come si è ritirato! Tra un po’ non ci sarà più. Su, forza, guardati
prima che sia troppo tardi.”
Pùnfete
si sporse verso il basso ma mentre si sporgeva uno dei suoi due piedi a
ciambella si impigliò in un ramo.
“
Pata, Pata, Aiuto!” gridò il poverino mentre il fratello si affannava per
liberarlo.
“Pùnfete,
stai calmo, ci penso io, ecco, ho quasi fat…tooo!”
Terribile!
Pata, nel tentativo di liberare il fratello, era scivolato e ora penzolava
appeso ad un ramo sottile, mentre Pùnfete, in preda alla disperazione e con il
piede ancora impigliato nel ramo, non sapeva che fare.
“Pata,
Pata,” gemeva Pùnfete, “e ora? Come facciamo? Io non riesco a prenderti!”
Mentre
Pùnfete tentava di divincolarsi per afferrare il fratello, il ramo a cui era
appeso Pata scricchiolava e scricchiolava finché…Craac! Si spezzò!
Pùnfete,
che aveva fra mille giri e rigiri raggiunto la mano del fratello, gli si
aggrappò nell'estremo tentativo di tenerlo, ma fu tutto inutile: precipitarono
insieme giù, nello stagno che specchia.
“Pata…”
“…Pùnfete!”
Urlarono
all'unisono mentre cadevano a precipizio giù, verso l’acqua e verso l’ignoto.
L’acqua
dello stagno, piuttosto infastidita a dire il vero, si voltò irata verso i due ospiti inattesi,
arrivati così, senza essere annunciati .
“Ehi,
voi, ma che educazione è questa? Stavo dormendo! Vi pare questo il modo di
presentarvi in casa della gente?”
“Scusi,
signora, non volevamo, siamo precipitati giù dall'albero contro la nostra
volontà e ora... glu, glu, glu... non sappiamo come fare perché non sappiamo
nuotare" rispose Pata raggelato da questa fredda accoglienza.
“Ah,
sì? E che precipitate a fare, allora, se neanche sapete nuotare? Mi dispiace,
ma io non posso aiutarvi: come vedete sono ridotta all'osso, non ho forza a
sufficienza per sostenervi, vi dovete arrangiare.”
“Signora, la prego, faccia qualcosa la scongiuro o moriremo!”
“Te
l’ho detto, ragazzo, non posso far nulla e ora, se non vi dispiace, riprendo il
mio sonnellino, auguri”.
Borbottando
così l’acqua magra dello stagno si rimise a dormire, lasciando i due malcapitati
ai loro guai.
Pata,
nella sua disperazione non si era accorto subito di aver perso di vista
Pùnfete.
Finalmente, dopo aver glugluato otto volte e otto volte aver gridato: “Aiuto! Affogo!” capì che qualcosa non andava.
Finalmente, dopo aver glugluato otto volte e otto volte aver gridato: “Aiuto! Affogo!” capì che qualcosa non andava.
“Pùnfete,
ma …dov'è mio fratello? Dove sei, Pùnfete?
E’ annegato, è annegato! Povero me, che farò senza Pùnfete?”
In
quello stesso istante un guizzo, come di pesce che nuota allegramente, lo fece
voltare: dalla parte del suo occhio sinistro, che poi era l’occhio che vedeva
le cose piccole come se fossero grandi, una figura familiare scivolava sulla
superficie dello stagno, tuffandosi ogni tanto come a cercar qualcosa.
“Ma…ma
quello è Pùnfete! Punfeteee! Ehi, fratello, sono qui! Ma com'è possibile?
Tu nuoti? E da quando?”
“Finalmente,
Pata, non riuscivo a trovarti! Neanche io sapevo di poter nuotare, che sorpresa, eh? Tranquillo, ora
ci sono io che ti prendo, il pericolo è passato.”
Pùnfete,
con due bracciate raggiunse Pata, ormai allo stremo delle forze, lo tirò su con
forza e lo trascinò fino a riva.
“Incredibile!”esclamò
Pata con l’ultimo fiato dell’ultima aria delle ultime forze che aveva,”
Incredibile, Pùnfete. Tu nuoti e sei anche bravo. Come sarà successo?”
“
Non so, Pata, è una sorpresa anche per me, ma che importa come? L’importante è che ti ho potuto salvare.”
“Ma
sì, certo. Adesso, però, torniamo sull'albero e riproviamo a guardare giù,
dobbiamo terminare la nostra missione.”
Fece
per alzarsi ma Pùnfete lo fermò.
“No,
senti, io non ne ho voglia, preferisco lasciar perdere.”
“
Come? Di nuovo vuoi arrenderti? Proprio ora? No, fratello, non te lo permetto.”
“
Pata, non è tanto questione di arrendersi, è che nell'acqua vedo che mi trovo bene. Insomma qui non cado, non
inciampo, sono agile e pieno di energia, capisci?”
“Capisco,
ma che vuoi dire? Vuoi restare in ammollo per la vita? Tu non sei un pesce, sei
un due piedi pestaterra! Pùnfete, dai, se proprio non vuoi più tentare di
guarire almeno torna a casa con me.”
“Caro
fratello, sapessi quanto lo vorrei! Però, vedi, a quanto pare l’acqua mi sia più congeniale della terra, perciò, anche se non sono un pesce, voglio restare nello
stagno.”
“Ma
lo stagno vuole ritirarsi a vita privata, non lo vedi com'è scarsa l’acqua?”
“
Lo so, lo so, ma non dispero di convincerla, a volte l’entusiasmo di un
novellino come me è contagioso, staremo a vedere. Se proprio non riuscirò a
convincere lo stagno a continuare il suo lavoro cercherò un altro specchio
d’acqua.”
Pùnfete
sembrava determinato. Pata lo guardò con occhi più tristi della tristezza piagnucolosa,
lo supplicò e lo guardò ancora ma niente: Pùnfete voleva restare, stava bene
con l’acqua e voleva restare con lei.
“Pùnfete
mio, quando mai ci rivedremo se tu non torni a casa con me? Ci perderemo per
sempre.”
“
Troverò un modo per venirti a trovare, in fondo la strada la conosco, vedrai,
non ci perderemo.”
“Sarà,
ma io non sono tranquillo. E ora che fai, ti tuffi subito in acqua o mi
accompagni per un po’?”
“
Mi è venuta un’idea, chiederò all'acqua se conosce una scorciatoia, in modo che
tu possa tornare al paese in un frangisecondo.”
“
Grazie, Pùnfete, ma credi che me lo dirà? Prima è stata scortese con me.”
”
Ma no, era solo un po’ stanca, sono tempi duri per lei, ricordi? No, ci penso
io, siamo entrati in confidenza.”
Pùnfete
si allontanò e prese la via dell’acqua, Pata sentì il rumore del tuffo.
“Pata,
Pata, vieni!” gridò Pùnfete dal centro dello stagno.
“Che?
Dovrei entrare di nuovo in acqua? Non ci penso nemmeno.”
“Sì,
tranquillo, ci sono io, vieni, ti dico, io e l’acqua ti faremo tornare a casa.”
“Va
bene, arrivo, però ho paura”, sbuffò Pata correndo verso il fratello.
Quando,
tutto tremante, fu di nuovo immerso in quel liquido freddo che proprio non gli
piaceva, Pùnfete venne in suo aiuto, sostenendolo.
“Ecco,
visto? Sono qua io a tenerti a galla! L’acqua dice che c’è una bolla d’aria che
passa di qua ogni mattina a quest’ora, è molto puntuale, c’è da fidarsi. Pare
che sia disponibile a trasportare i forestieri in difficoltà.”
“Una
bolla d’aria? E mi trasporterebbe?” chiese Pata con gli occhi della meraviglia.
”
Ci devi entrare dentro, è ovvio.”
“Tu
e l’acqua avete bevuto del vino! “sbraitò Pata tutto rosso in viso, “come
faccio ad entrare in una bolla d’aria?”
“
Sarà facile, vedrai, l’acqua mi ha dato la sua parola. Stai tranquillo, ce la
farai.”
Proprio mentre parlavano una schiumosa, gigantesca
bolla d’aria blu si avvicinò al pelo dell’acqua. Be’, a dirla tutta, più che
avvicinarsi scivolò sull'acqua con un gran fracasso.
“
Oh, ma che razza di uragano sta arrivando?” disse Pata, “non sarà mica
questa pazza la bolla che mi deve trasportare fino a casa? Io non vado con lei.”
“
Sì, è lei ma stai tranquillo, ha solo fatto un atterraggio d’emergenza, non lo
vedi com'è grossa, poverina? Non è
facile per lei atterrare.”
“
Scusate, giovanotti, chi è di voi che devo portare a casa?” domandò la bolla.
“
Ehm, è lui, signora, è mio fratello Pata.”
”
Oh, prego, signor Pata, si accomodi pure a bordo, purtroppo ho una certa
fretta. C’è un deltaplano arenato nel sud del nord che deve essere trascinato a
terra, mi aspettano con ansia per questa operazione. Capirà, è piuttosto
delicata.”
“
Certo, certo, madame! Adesso Pata viene, vero, Pata?” disse Pùnfete spingendo
il fratello che non voleva andare.
“
Ho paura, Pùnfete, quella è sciroccata, io non salgo.”
“
Vai e non fare storie, non hai sentito che va di fretta?”
“E
noi? Quando ci rivedremo? Come faremo a
sentirci?”
“
Nello stesso modo, la bolla d’aria è
sempre in servizio e pensa anche al trasporto delle voci. La manderò da te una
volta alla settimana, così ti porterà la mia voce e a me riporterà la tua, e
quando vorremo vederci saliremo su di lei. Capito, ora, testone?”
“
Va bene, fratello, ma io sono triste lo stesso. Io soffro nel lasciarti,uééé!”
“
No, Pata, non piangere, te l’ho detto,noi non ci perderemo mai, giuro! Ed ora
vai, ma prima salutiamoci”.
Pata
e Pùnfete si strinsero forte l’uno all’altro. La bolla, sempre più spazientita,
aprì la porta schiumosa e Pata salì a bordo scivolando come un’anguilla.
Il
vento che sorride li sollevò delicatamente, Pùnfete salutava il fratello
agitando la mano.
A
Pata, che rispose al suo saluto piangendo calde e tiepide lacrime, parve di
intravedere fra le dita di Pùnfete qualcosa di argenteo, come le squame di un
bellissimo pesce.
“
Ma no,”pensò,”è l’effetto del sole che soleggia forte a quest’ora.”
E
si allontanò su nel cielo con le ultime lacrime riposte nella tasca della
giacca.
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