Qualche volta i mici, come noi, si possono arrabbiare, specialmente se c'è di mezzo una buona causa.
Buona lettura.
La rivolta dei gatti
Barbara Cerrone
C’era
una volta un gatto, anzi: due. No, che dico? Tre. Macché! Erano almeno
quattro...o cinque. Ecco, ora ricordo:
sette. Sette gatti.
Dunque,
dove eravamo rimasti? Ah, sì: c’erano una volta sette gatti.
Vivevano tutti insieme in una grande casa di campagna, con l’orto e
il giardino, tante oche e galline e un cavallo.
Insieme
a loro nella grande casa c'era anche una coppia di umani, Anselmo e Aldina, con
i tre figli: Giovanni, Mimmo e Anna, la più piccolina.
Un
giorno bussò alla porta un inviato del
re per riscuotere certe gabelle.
“Ma
noi abbiamo già pagato le gabelle,” fece notare Anselmo,” cos'altro ci può essere?”
“Eh,
le gabelle non finiscono mai. Il re ha bisogno di denaro per la nuova guerra
che si appresta a fare. Suvvia, non vedete, buon uomo? Ho qui l’ordine firmato
da sua maestà in persona”.
Anselmo
sospirò, guardò la moglie che stava quasi per piangere, poi andò a prendere gli
ultimi denari che gli restavano e li consegnò al messo del re.
L’uomo
prese le monete fece un mezzo inchino e se ne andò, tutto soddisfatto.
Il
giorno dopo, mentre la famiglia riunita
per il pranzo mangiava una bella zuppa di cipolle, ecco di nuovo arrivare
l’inviato del re.
“Benone,
vedo che di cibo ne avete. Il re vuole che ogni contadino del suo regno
consegni
almeno un terzo del raccolto. Sono qui proprio per prendere il dovuto.”
“Ma
anche questo lo abbiamo già consegnato a sua maestà,” disse ancora Anselmo,”
cosa mangeremo noi se diamo via tutto?”
“Ingrato!
Il re vuole il bene dei suoi sudditi, ecco perché ha dichiarato questa guerra
che di sicuro vincerà, e il nostro regno sarà uno dei più potenti sulla terra.
Cosa può desiderare di più un suddito? E poi ho qui l’ordine firmato dal re in
persona”.
E
Anselmo consegnò grano, olio, vino e già che c’era anche cipolle.
Tre
giorni dopo, alle prime luci dell’alba, bussarono forte alla porta.
Anselmo
andò ad aprire col berretto da notte ancora sulla testa e chi si trovò davanti
un’altra volta? Sì, proprio lui. Il solito inviato del re.
“Sua
maestà deve requisire il vostro alloggio ma non temete: voi potete restare. Vi
sistemerete nella stalla, così i bambini staranno al caldo e anche voi. “
Anselmo
sbiancò in volto.
“Ma...ma...perché?”
osò chiedere.
“Che?
Discutete un ordine del re? Qui, guardate, c’è il suo sigillo!” strillò il
messo srotolando una pergamena.
Dopo
un’ora Anselmo e la famiglia, gatti compresi, sloggiarono dalla casa e si sistemarono alla meglio nella stalla.
Ma
i mici non ci stavano a far le valigie dalla loro comoda casetta. I gatti,
amici miei, non amano cambiar la residenza se non per loro scelta.
“
E chi sarà mai, questo re, che ci butta fuori da casa nostra?” disse il grigio
che era il più scaltro e aveva nome Astolfo.
“Chi
vuoi che sia? Un re, uno che comanda. Ma chi comanda dovrebbe far le cose con
giustizia, invece ci ha privati della casa senza un motivo, e per cosa? Per farci vivere quel brutto ceffo del suo inviato
con la sua signora. Io dico che bisogna ribellarsi” sentenziò Gigetto il rosso,
il più vivace della compagnia.
“Ribellarsi,
ribellarsi...si fa presto a dire ribellarsi! Siamo gatti, come vuoi che
possiamo opporci agli umani? Hanno armi e uomini, non ce la faremo mai”
brontolò un tigrato che avevano soprannominato Falco perché gli mancava un
occhio, lo aveva perso durante un combattimento con un rivale in amore.
“Ce
la possiamo fare, invece,” insisté Gigetto,” siamo sette, siamo uniti e il
cervello non ci manca. Mi farò venire qualche idea, domani stesso saprete il
mio piano. E presto torneremo a casa e scacceremo quella gentaccia.”
“Ma
se è stato il re a dare l’ordine ci manderà i soldati e allora...”
“Oh,
zitto Falco, sei il solito rassegnato. Non hai capito che c’è qualcosa di
strano? Non credo che il re abbia dato ordine di dare la nostra casa a quei
tipi. Sento puzza di bruciato, amico mio. Anzi, ti dimostrerò presto che ho
ragione: vado a fare un po’ di spionaggio.”
“C..c..come?
Sei matto? E se ti scoprono?”
“E
allora? Sono un gatto, no? Chi fa caso a un gatto? Possono scacciarmi da casa
ma non impedirmi di gironzolare. Ascolterò i loro discorsi e scoprirò chi sono
veramente.”
“Va
bene, Gigetto, forse non hai torto. Vai e scopri la verità”.
Gigetto
non pose tempo in mezzo, si limò le unghie con un pezzo di legno che stava lì,
buttato per terra, lavò ben bene il pelo
e si avviò verso la casa.
Poiché
la porta era chiusa, si guardò intorno per vedere se c’era una finestra aperta
dalla quale infilarsi. Quella della cucina era socchiusa.
“Molto
bene,” pensò, “ è la migliore. Così magari rimedio anche qualche bocconcino”.
Nella
stanza la cuoca stava spennando un pollo per la cena e si lamentava con il suo
giovane aiutante. Gigetto andò ad acquattarsi sotto il tavolo e si mise in
ascolto.
“Eh,
questa gente...avari, pidocchi! Per i miei servizi a corte mi davano dei bei
denari, altro che. Invece qui non ho che
un’elemosina.”
“Ma
allora perché non tornate a corte?” chiese il ragazzo col sorriso sulle labbra.
“Fai
poco il cretino o ti do una di quelle sventole che ti basterà anche per quelle
che tua che tua madre ti ha risparmiato. Sai bene che ho subito un’ingiustizia
e sono stata cacciata dal mio posto per l’invidia di una servetta.”
“Se
non sbaglio la servetta disse che rubavate dalla mensa, eh?”
“”Brutto
scimpanzé alto tre soldi! Ti faccio vedere io cosa succede a chi fa
l’arrogante con me!”
Mentre
la cuoca correva dietro al ragazzo col mattarello, Gigetto ne approfittò per
entrare.
“Uhm, dunque la cuoca è una ladra. Sono qui da pochi minuti e ho già raccolto
un’informazione interessante. Adesso vediamo dove stanno gli altri e sentiamo
cosa dicono.”
Non
fece in tempo a muoversi che entrò il messo con la moglie.
“Ma
dov'è quella scansafatiche della cuoca? Moglie mia, non per rimproverarti ma
hai scelto la peggiore.”
“Marito
mio, era quella più a buon mercato, lo sai. La sua reputazione era distrutta,
nessuno le avrebbe mai dato un lavoro perciò costa così poco. Di più non
potevamo permetterci.”
“Bella
roba, è una ladra, non mi pare un grande affare mettersi in casa una ladra. Se
ci deruba avremo perso i soldi che abbiamo risparmiato sulla sua paga. Comunque
ora non si sa nemmeno dov'è e stasera abbiamo ospiti a cena. Questo dovrebbe
essere affar tuo, come padrona di casa.”
“Certo,
certo, è affar mio. Quanto a esser la padrona, marito mio, non direi. Sai bene
che non abbiamo diritto di star qui, e se ci scoprono...”
“E
chi vuoi che ci scopra? Quei poveracci nella stalla? Hanno creduto alla storia
come babbei, sigillo e firma compresi. Non vedi? Si tratta di gente semplice,
che vive qui, in campagna, senza sapere nulla di quello che succede a corte.”
“Già,
altrimenti saprebbero che sei stato accusato di furto come la cuoca e che sei
fuggito per non finire in prigione. Rubare dal tesoro del re: come ti è venuto
in mente? Tu, uno dei suoi servitori più devoti!”
“E
delle tue pretese non ricordi nulla? Lasciamo stare, non parliamo più di questa
storia. Qui siamo al sicuro, con questa gente stolta che ci crede inviati dal
re. Resteremo solo il tempo necessario per avere un lasciapassare e andare
oltre confine. Vedrai, presto saremo ricchi e felici in Norlandia.”
“Basta
così, ho sentito abbastanza” disse Gigetto passando per la stessa finestra
dalla quale era entrato. E siccome aveva
fame non se ne andò a zampe vuote:
stringeva fra i denti il pollo mezzo spennato che la cuoca aveva lasciato sul
tavolo.
Riferì
per filo e per segno ciò che aveva scoperto; i gatti si misero subito studiare un piano, chi diceva questo... chi
diceva quello... passarono tutta la notte a discutere. Ovviamente a tenere banco
era lui, Astolfo, e alla fine fu la la sua linea a passare.
Si
basava su un programma molto semplice ma di sicura efficacia: tirare fuori
tutta la felinità che avevano in corpo.
“Che
avranno i gatti da miagolare così, stanotte?” disse Aldina.
“E
chi lo sa?” Rispose Anselmo.” Forse
anche loro soffrono per questa situazione, poveri mici”.
Il
giorno dopo il piano era pronto, non restava che agire.
All'alba
Gigetto uscì dalla stalla e andò a graffiare la porta di casa, cric, cric, cric.
“Chi
è a quest’ora di mattina?” chiese la cuoca uscendo in pantofole e vestaglia.
“Tu?
Piccola peste, che vuoi? Vattene via subito!” urlò la donna impugnando una scopa.
Gigetto fu più svelto di quella megera e svicolò come un’anguilla entrando nell'ingresso.
La
cuoca provò a rincorrerlo ma rinunciò quasi subito, era grassa ed era ancora così
presto! Il suo comodo letto la chiamava per un’altra mezz'oretta di sonno.
Gigetto fu libero di salire su per le scale e andare
fino in camera da letto dove i due imbroglioni dormivano della grossa.
Intanto
gli altri gatti stavano girando intorno alla casa, e miagolavano a
squarciagola: Miaooo! Miaooo! tanto
che i due furfanti si svegliarono e si affacciarono alla finestra.
“Brutti
gattacci, andate via!” urlò la donna.” Ora prendo un secchio pieno d’acqua
e vi faccio un bel bagnetto!”
Nel
frattempo Gigetto era salito sul letto e con la massima nonchalance stava
facendo pipì sul cuscino della signora.
“Norberto, non vedi cosa fa quel gattaccio? Fermalo
subito!”
In
due si misero a correre dietro a Gigetto che saettava di qua e di là e non si
faceva prendere.
La
baraonda svegliò di nuovo la cuoca che tanto per sgranchirsi le gambe si mise
anche lei a correre dietro al gatto.
E
gli alti mici? Continuavano a miagolare come pazzi, l’aiutante della cuoca uscì
per cacciarli e i felini ne approfittarono per sgusciargli tra le gambe ed
entrare, quindi si lanciarono per le scale veloci come fulmini.
Trovarono
Gigetto che correva e correva e i due mascalzoni dietro a lui, insieme alla
cuoca.
Ne
nacque una baruffa che sembrava la fine del mondo. Ad un certo punto tutti
inseguivano tutti e non si capiva più chi era l’inseguito e chi l’inseguitore.
Fu
Gigetto, come al solito, che pose fine a quel trambusto.
Nel
bel mezzo di quella corsa sfrenata inaspettatamente si fermò e ...bum! I tre
mariuoli precipitarono giù per le scale come salami, cadendo uno sull'altro.
Dato
che tutti e tre erano grassi, grossi e goffi non riuscivano a rialzarsi, senza
contare le membra indolenzite.
Toccò
al povero ragazzo di cucina aiutarli, li tirò su uno ad uno, senza dimenticarsi
di fare due risate.
“Pagliaccio!
“ gli gridò la cuoca.” Se non la smetti di ridere ti sistemo io! Lascia che mi
riprenda. e poi vedi”.
Nello
stesso istante i gatti, capitanati da Gigetto, stavano scendendo a rotta di
collo per la battaglia finale.
Non
avevano ancora avuto la forza di muoversi, quei tre bellimbusti, che sette
gatti infuriati si lanciarono contro di loro aguzzando le unghie come tigri.
“Aiutooo!
Aiutooo!” si sentiva gridare.
Anselmo
e Aldina si stavano alzando dal loro povero giaciglio di paglia, udirono
quel fracasso provenire dalla loro casa e si precipitarono fuori per vedere
cosa stesse succedendo.
Lo
spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi lo raccontarono come una novella
per anni e anni nelle fredde sere d’inverno, davanti al camino.
Gigetto
aveva una gamba della cuoca fra i denti, il pessimista Falco teneva un braccio
dell’uomo fra le zampe e lo graffiava con tutte le sue forze, Astolfo, che era
il più furbo, dirigeva le operazioni e badava che la signora, prigioniera degli
altri tre mici, non scappasse.
“Ma
che avete fatto?” disse Anselmo mettendosi le mani nei capelli.” Ora il re ci
condannerà tutti”.
Mentre cercava di liberare quei tre farabutti notò
un biglietto per terra che uno di loro doveva aver perso nella lotta.
Il
biglietto diceva:
“Qui
tutto bene, i due sciocchi contadini ci sono cascati. Siamo padroni della casa
e della terra. Ti faremo sapere quando saremo arrivati in Norlandia.”
“Allora
siete degli impostori! E noi saremmo sciocchi contadini? Ragazzi:addosso!”
E
si mise a graffiarli insieme ai gatti.
Sfiniti,
i furboni finalmente si arresero e
confessarono tutte le loro malefatte.
Il
ragazzo di cucina fu inviato a chiamare le guardie del re che vennero e li misero
in prigione a rimpiangere di aver fatto
tanti guai.
Anselmo
e i suoi, finalmente, tornarono nella loro amata casa, insieme ai gatti.
Il re in persona li proclamò tutti eroi, non solo, assegnò un vitalizio alla famiglia e pesce fresco a volontà ai felini, per tutta la vita.
Il re in persona li proclamò tutti eroi, non solo, assegnò un vitalizio alla famiglia e pesce fresco a volontà ai felini, per tutta la vita.
E
vi assicuro che da allora nessuno turbò mai più la loro pace, e vissero tutti felicissimi e molto, molto, molto
contenti.
Davvero.
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