Non si dovrebbe, il matrimonio è una cosa seria...
ecco cosa succede a questo giovane e coraggioso re.
Buona lettura
Il
re si sposa
Barbara
Cerrone
Quando
un giovane principe, bello e forte, non si decide a sposarsi, per il re suo
padre sono grandi preoccupazioni.
“Figlio
mio, quando ti deciderai a scegliere una moglie? Io sono vecchio, non voglio
morire prima di vederti a fianco di una bella sposa, e padre del futuro erede
al trono.”
“Padre
mio, lo sapete: io non voglio sposarmi senza amore. Pazientate ancora un poco".
Il
re, allora, scuoteva la testa, e siccome era un buon padre prima ancora di
essere un buon re e voleva che il figlio fosse felice, pazientava.
Pazientò
così a lungo che morì, e il principe non
si era ancora ammogliato.
Così,
un bel giorno, il gran consiglio reale, stanco di aspettare si riunì e stabilì di
cacciare il giovane re se non si fosse
sposato entro un mese.
Il
sovrano, allora, messo alle strette, disse che se proprio doveva sposarsi
rinunciando all'amore, allora l'avrebbe fatto con la prima ragazza incontrata per
strada, durante la sua passeggiata in carrozza. O così, o niente matrimonio.
I
consiglieri fecero un bel baccano: protestarono, risero, piansero perfino, ma il
re fu irremovibile e la mattina seguente uscì a passeggio sulla sua carrozza
deciso a portare a termine la missione.
Bisogna
sapere che ogni volta che la carrozza reale percorreva le vie della capitale
c’erano sempre due ali di folla ai lati della strada che si sbracciavano,
sventolando cappelli e guanti come forsennati per salutare il re.
Ma
il caso volle che quella mattina,fra la folla accorsa come sempre al passaggio del
sovrano non ci fosse nemmeno una donna. Tutti uomini.
“Strano,
“pensò il re, “ che sia una trovata dei consiglieri per impedirmi di sposare la
prima che capita?”
Mentre faceva ritorno alla reggia una giovane mendicante si avvicinò al
finestrino.
“Mio
re, vi supplico, fate la carità a una povera donna.”
“Farò
di più: vi sposerò. Venite, salite a bordo della mia carrozza”.
Ci
volle del bello e del buono per convincere quella poveretta, le guardie reali
furono costrette a minacciarla perché accettasse; alla fine, spaventata, salì pensando
di avere a che fare con un pazzo.
Durante
il breve tragitto di ritorno il re si sforzò di dimostrarsi gentile con la
ragazza in modo da metterla a proprio agio, ma quella, timorosa, stava in un
angolo senza dire una parola, con lo sguardo di un agnello alla vigilia della
Pasqua.
“State
tranquilla, non vi sarà fatto alcun male” assicurava il re, mentre la poverina non
smetteva di tremare.
Quando
furono a corte la situazione non migliorò di certo: allo spavento per la ragazza si aggiunse l’umiliazione di vedersi
squadrare da capo a piedi da tutta quella gente baldanzosa e ricca,
scandalizzata dalla presenza di un’accattona.
“Non
lo farà sul serio,” diceva una gran dama,” non sposerà questa pezzente!”
“Ma
no, ma no! Si tratta certamente di uno scherzo, l’ha portata qui per il suo
spasso, vedrete” diceva un’altra con un sorrisetto.
La mendicante stava quasi per svenire, il re invece, tutto soddisfatto, come se
niente fosse la presentò al gran ciambellano dicendo:
”
Ecco la mia regina, come vedete ho mantenuto la promessa. Le nozze si faranno
fra tre giorni, ordino che nel frattempo
sia vestita e nutrita, e che le sarte di
corte si adoperino per cucirle il più bell'abito da sposa che si sia mai visto”.
Il
ciambellano prima strabuzzò gli occhi, poi li roteò, infine perse i sensi. Ma
li dovette riacquistare quasi subito perché le cose da fare erano tante e le
nozze si dovevano celebrare dopo tre giorni.
E
la nostra mendicante? Dire che era confusa è dire poco. Disorientata, guardava
l’andirivieni della servitù come si osserva un miraggio; si stropicciava gli
occhi, poi li chiudeva e li riapriva ancora, ma quel miraggio era ancora lì.
Il
giorno stesso una fantesca dalle braccia robuste le fece il bagno, un’altra la
vestì con un abito prezioso, un’altra ancora le calzò ai piedini un paio di deliziose
scarpette. Tutte e tre, poi, la condussero davanti ad un enorme specchio dalla
cornice dorata.
Una
bella fanciulla, elegante, pelle di rosa e sguardo di velluto, la
guardava con aria stupita. La mendicante non si riconosceva.
“Siete
uno splendore!” disse la prima fantesca.
“Bellissima!”
le fece eco la seconda.
“”Una
vera regina!” concluse la terza.
Così
pulita, profumata e vestita la condussero al cospetto del re.
“Non
credo ai miei occhi,” esclamò il sovrano,” che trasformazione! Siete ben degna
di sedere sul trono".
Felici
e contenti, se ne andarono tutti a mangiare perché, fra un lavaggio e una
vestizione, si era fatto tardi e il re aveva anche un certo appetito.
Fu
a tavola che cominciarono i primi problemi.
La
futura regina non conosceva l’uso delle posate e mangiava con le mani,
sporcando vestito e tovaglia, mentre tutta la corte la guardava scuotendo la
testa.
“Non
basta vestirla da regina, “ commentò il ciambellano, “ qui bisogna darle anche
le buone maniere. Impossibile in tre giorni, sire, non la dovete sposare.”
“In
tre giorni si fanno tante cose,” rispose il re,” la giovane mi piace e poi quel
che è detto è detto. Si trovi subito un maestro che le insegni a stare a tavola
e a conversare”.
Detto,
fatto: il più celebre, presuntuoso, cicisbeoso maestro del regno fu convocato
per dar lezioni alla promessa sposa.
Per
tre giorni il maestro insegnò alla mendicante come si siede a tavola, come si
sorbisce una bevanda, come si mettono le dita intorno a una tazza di caffè,
ecc.,ecc.
Il
terzo giorno la sposa aveva le idee più confuse delle foglie trascinate da un mulinello
di vento, tuttavia era tardi per rimandare le nozze. Gli invitati più importanti
erano già arrivati con il loro seguito imponente, bisognava sperare che il
giorno del matrimonio qualche buona stella assistesse quella poveretta, e anche
il re, perché i suoi ospiti non sapevano che la futura regina era una
mendicante.
Venne
il fatidico giorno, il re era nervoso, la sposa era nervosa, il ciambellano era
nervoso, tutta la corte era nervosa.
La
vestizione della sposa occupò un paio d’ore, intanto gli invitati aspettavano in chiesa,
fremendo per vedere la giovane donna che era riuscita a rubare il cuore del re.
Quando
finalmente la mendicante fece il suo ingresso nella cattedrale, si levò da ogni
parte un Oh! di meraviglia, tanto era lo splendore di quel viso dalle guance
di porcellana e gli occhi lucenti.
Il
re, all'improvviso, si rese conto di non
sapere ancora il suo nome e appena lei gli fu accanto le sussurrò all'orecchio:
”
Mia cara, non so nemmeno il vostro nome, come dovrò presentarvi?”
“Mio
re, non lo so, non ho conosciuto i miei genitori. Sono orfana e cresciuta per
strada. Nessuno mi ha mai chiamata.”
“Allora
ne sceglierò io uno per voi: vi chiamerò Marica, splendente, perché splendente
voi siete”.
La
sposa fu felice di avere finalmente un nome e la cerimonia proseguì senza altri ostacoli.
Marica
si ricordò ogni precetto del suo maestro e fu perfetta, tanto che tutti gli ospiti pensarono che provenisse
dalla più fiera nobiltà.
Da
quel giorno in poi, marito e moglie regnarono felici su quel paese bello e
fortunato, dove la gente era allegra e il cibo buono e abbondante.
Una
terra degna di una splendente regina e di un ancor più splendido re.
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