Le campane addormentate
C’era
una volta un bellissimo paese dove la gente viveva felice e in pace con tutti.
La
chiesa di questo villaggio era piccola ma molto bella, e aveva le campane più
famose della vallata.
Suonavano
così bene che venivano a sentirle dai paesi vicini, come fosse un concerto.
I
campanari del paese, poi, erano fra i più rinomati, e vincevano gare su gare,
portando a casa fior di trofei.
Il
sagrestano era così orgoglioso di quelle campane che le lustrava come l’argenteria,
dimodoché queste brillavano al sole, richiamando l’attenzione di tutti coloro
che passavano da quelle parti.
Niente
turbava la serenità di quella gente, nessun litigio, nessuna guerra, tutti
lavoravano e vivevano tranquilli, secondo le proprie possibilità.
Accadde
una mattina che l’anziano parroco si svegliasse più presto del solito.
Si
alzò che la perpetua non era ancora arrivata a preparargli il caffè, guardò su,
nel cielo, e vide che era ancora buio.
“Uhm,
troppo presto, stamani. Vuol dire che tornerò a letto, anche se non ho sonno
riposerò le mie gambe”.
Si
distese nel lettuccio e provò a chiudere gli occhi ma un rumore lo fece scattar
su come una molla.
“Chi
è? Che succede?” gridò.
Nessuna
risposta.
Si
convinse allora che era stato un topo giù in cantina e tornò a sdraiarsi.
Ma
ecco di nuovo il rumore, più forte di prima.
“Insomma,
chi è là?” fece alzandosi dal letto.
Anche questa volta non ci fu risposta e il
parroco decise di andare a vedere.
Aveva paura ma procedeva come se non ne
avesse avuta perché, pensava, un ministro di Dio non può mostrarsi timoroso,
confida nel Signore che è il suo baluardo, perciò non teme nulla.
Se lo diceva mentre si dirigeva piano piano,
circospetto, verso la cucina.
Se lo diceva e se lo ripeteva ma di paura ne
aveva eccome, povero parroco, che in fondo era pur sempre un essere umano.
In cucina non c’era nessuno, e nemmeno nella
piccola stanza da bagno, nell’ingressuccio o in cantina.
“Che sarà stato, allora?” si chiese.
Di lì a poco bussò alla porta la perpetua.
“Che ha,” chiese entrando, “sembra un
morto...che le è successo?”
“Nulla, Bertina, è solo che ho sentito un
rumore e non capisco da dove viene. Qui non c’è nessuno.”
“E se non c’è nessuno vuol dire che era un
rumore da poco” disse la perpetua, sbrigativa.
“Sarà così” rispose il parroco, e si dispose
a dir messa come ogni mattina.
Il rumore, però, si rifece vivo.
“Ah, sentito, Bertina? Qui c’è qualcuno
nascosto.”
Bertina era una brava donna, puliva, pregava
e faceva il suo dovere ma quanto a sentire...
“Eh, come? Io non ho sentito nulla!” borbottò
mentre spolverava le mensole in cucina.
“Eh, già, siamo sordi, siamo! Come al solito
dovrò sbrigarmela da solo”.
Il buon prete si fece coraggio, e si diresse come
uno sparviero verso la cantina, dalla quale il rumore sembrava provenire.
Quando fu davanti alla porta, un topo,
neanche troppo grosso, gli si fece incontro con aria minacciosa, alzandosi
sulle zampette che pareva un leone arrabbiato.
“Tu, dove pensi di andare? Io sono qui per
rovinarti la festa! “Gridò il topo.” E te la rovinerò. Non passerà un minuto
che tu, e le tue campane, cadrete in un sonno profondo e i cari compaesani se vorranno assistere alla
Messa dovranno far dei chilometri, fino
al paese vicino, perché la tua chiesa da questo momento è sotto la mia giurisdizione. Nessun prete ti potrà
sostituire, perciò niente più messe e niente più preghiere. E ringrazia che ti
addormento e non ti ammazzo!”
Figuratevi il parroco! Capì subito chi gli
stava davanti e corse a prendere l’acqua benedetta ma non fece in tempo a fare
un passo che già dormiva, e con lui le sue campane, che sembravano legate come prima
di Pasqua.
La notizia corse velocissima sulle bocche
stupite dei paesani: la buona perpetua, accortasi dell’accaduto, non perse
tempo ad informare tutto il paese, e il paese tutta la vallata.
Si tentò di chiamare un prete esorcista ma il
più vicino era in pellegrinaggio e non sarebbe tornato che dopo qualche mese.
Ne fu convocato un altro che, a quei tempi, per arrivare fin lì avrebbe
comunque impiegato il suo bel tempo, intanto i fedeli si dovevano arrangiare se
volevano assistere alla Santa Messa.
Ebbe così inizio un via vai di fedeli fra il
paese colpito dal maleficio alle chiese più vicine, via vai che faceva somigliare
quella brava gente devota a una fila di formiche in cammino verso una briciola
di pane.
Passò un mese, il parroco dormiva ancora
della grossa, appoggiato sul lettino sistemato dalla fedele perpetua con
quattro cuscini, come fosse un re.
Giunse dalla città la notizia di un incidente
capitato all’esorcista che veniva da lontano.
Come
se non bastasse quel che è successo e Le disgrazie non vengono mai sole furono i commenti della gente,
assai poco originali, ma di originale c’era già un prete che dormiva da un mese
e un maledetto maleficio che colpiva le campane e la chiesa, per quella gente
era già abbastanza.
L’esorcista, nel tentativo di cacciare un
diavolo dal corpo di un anziano contadino quasi alla fine della propria vita,
per lo sforzo immane era caduto dentro una fossa, e lì si era spiacevolmente
accorto che una delle sue robuste gambe non aveva gradito il volo e si era,
guarda un po’, proprio rotta, costringendolo a star fermo per un pezzo.
E
ora che si fa? Fu il
seguito del commento, anche questo poco originale ma che ci potevano fare se il
problema era proprio quello: che fare?
Fra tante facce costernate e incerte, si fece
avanti un giovanotto dal fisico robusto e il cuor di leone, proprio come si
addice a un giovane che non conosce il pericolo e ci va incontro come ad una
festa.
Disse, con gran baldanza, che avrebbe tolto lui
le castagne dal fuoco e il parroco dal letto.
“Che ci vuole? Basta stanare il topo invasato
e fargli uscire a forza quel demoniaccio dal corpo. Ci penso io, non occorre il
prete.”
Gli occhi della gente fecero un domino nel
guardarsi l’un l’altro, l’ultimo sguardo ritornò al ragazzo che se lo prese e
ridendo disse:
“Non vi preoccupate, me la cavo. Sono grande
e grosso e il topo è piccolo, glielo caccio io il demonio dal corpo”.
Fu inutile ricordare al ragazzotto che non
era tanto questione di forza quanto di preghiere, di autorità nel cacciar
diavoli e di esperienza, infine, che solo un prete esorcista poteva avere; fece
spallucce, poi prese un bastone e se ne andò a caccia del topo come un gatto.
Rivoltò la casa da cima a fondo finché non lo
trovò, quel maledetto, col naso ficcato nel formaggio.
“Eccoti qua, ora ti sistemo a dovere!” gli
urlò roteando il bastone.
Ma il topo, invasato, era più forte di lui.
Con i denti aguzzi gli diede un morso sulla
mano e così forte che lo costrinse a lasciare cadere il bastone, il topo fu
lesto a raccoglierlo e cominciò a picchiarlo.
Ne prese così tante, quel povero ragazzo, che
quasi ne moriva o giù di lì.
Scappò, approfittando di un momento di
distrazione di quell’ infame, e non si ebbero più notizie di lui per anni e
anni.
Appena fu noto l’esito della missione lo
sconforto si impadronì di nuovo di quel popolo smarrito.
“E ora cosa ci si inventa?” questa la domanda
che ora circolava di bocca in bocca.
Venne su un vecchio, un anziano che andava in
chiesa tutti i giorni e pregava come un santo.
Gli dissero:” Per carità! Vuoi morire? Quel
topo ha il maligno in corpo e ti ucciderà!”
Il vecchio, però, non volle saperne e andò
deciso incontro al suo destino.
Trovò il topo ma non lo sfidò. Non aveva
armi, solo il suo rosario.
Si mise a sedere davanti a quella bestia
cominciò a sciorinare preghiere su preghiere.
Il topo gli vomitava addosso tutti gli
insulti che il suo infame ospite gli suggeriva, finché gli insulti non gli
bastarono più e passò all’azione.
Gli si avventò contro come una furia e prese
a morderlo con tutte le sue forze.
Il vecchio sanguinava, aveva il corpo piagato
dalle ferite ma continuava a pregare e a pregare, con più fervore, semmai.
Continuò fin quasi all'alba, le sue forze
erano esaurite e pensava già di morire quando finalmente il topo ebbe un
sussulto e stramazzò a terra che sembrava morto.
Nello stesso istante dalla sua bocca uscì una
melma nera e fetida che a contatto con l’aria si dissolse e sparì.
Il topolino, allora, aprì gli occhietti furbi
e si rialzò, correndo via veloce.
“Venite, fratelli, è tutto finito!” urlò il
vecchio.
Una fiumana di gente si riversò nella casa e
gli si fece attorno: medicarono le sue ferite, lo abbracciarono, lo acclamarono
come un eroe e lo portarono in trionfo giù per strada.
Le campane suonarono a festa e il parroco finalmente
si svegliò gridando il nome della perpetua, che non lo sentì perché la sua
sordità era rimasta tale e quale.
Nella chiesa si riprese a celebrare la messa
e in paese tornò la felicità che non se ne andò più, perché fra quella brava
gente ci si trovava bene. Molto bene.
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