A voi la mia fiaba.
Dunque...c’era una volta...non me lo ricordo!
Io non c’ero, me l’hanno raccontato,
forse è per questo che l’ho già scordato.
Pensa e rifletti, ho deciso adesso
che se lo invento in fondo fa lo stesso.
Bianca e
Bianco
Barbara
Cerrone
C’erano una volta un fratello e una sorella, lei si chiamava Bianca e lui
si chiamava Bianco.
Bianca e Bianco un giorno
andarono al mercato con la mamma.
“Bianca, Bianco,” disse la mamma,” state sempre vicini a me e non
lasciate mai la mia mano, altrimenti
potreste perdervi”.
I due bambini promisero di
comportarsi bene e la mamma si tranquillizzò.
“Devo comprare le uova per farvi una bella frittata a pranzo. Venite,
fermiamoci qui” disse ancora la mamma
fermandosi davanti al banco di un’anziana donna.
“Sei uova fresche per i miei bambini, prego” chiese.
“Ecco, “rispose la donna,” queste sono le più fresche che ho“.
La mamma prese le uova, pagò il
dovuto e fece per allontanarsi ma una forza invincibile la bloccò proprio lì,
davanti alla venditrice di uova.
Bianco e Bianca, allora, cominciarono a spazientirsi.
“Mamma, mamma, che fai?Andiamo a casa”.
Inutile, la mamma non si muoveva,
e non poteva nemmeno parlare poveretta! In poche parole era come impietrita,
nemmeno gli occhi riusciva a girare di qua e di là: sembrava proprio una
statua.
“Bianco, la mamma è morta” piagnucolò Bianca.
“Ma che dici? Se fosse morta sarebbe caduta giù, per terra. No, si
dev'essere addormentata. Ora la sveglio io.”
“ No, è morta, è morta.”
“Né morta né addormentata, bambinucci miei,” gracchiò l’anziana donna,”
avete mai sentito parlare degli incantesimi? Gliene ho fatto uno bello bello proprio ora.
La vostra mamma fate finta che non ci sia, in compenso ci sono io, e vi porto
via con me”.
Aveva appena finito di parlare quando una nuvola di polvere nera catturò i due fratelli e li depositò davanti a una casaccia cadente e scura, dove
la venditrice li aspettava.
“Eccovi qua, bambinucci miei,” disse,” ora nessuna mamma potrà mai
aiutarvi. Sarete al mio servizio finché mi piacerà”.
Bianca e Bianco erano disperati: dov'era finita la loro mamma? E chi era
quella strana donna?
“Mamma, mamma, dove sei?” piangeva Bianca
“Mamma, mamma, vieni a prenderci!” urlava Bianco
La venditrice invece rideva a squarciagola mentre li trascinava verso
il cortile dietro casa.
Nel cortile c’era un grande pollaio pieno di galline che razzolavano
beccandosi fra loro, mentre un gallo
piuttosto spennacchiato starnazzava ora
contro l’una, ora contro l’altra; la
venditrice prese i due bambini e ce li spinse dentro.
“Ecco,” disse,” questa sarà la vostra stanza d’ora in avanti. Dormirete insieme alle mie
galline e mangerete quello che mangiano loro. Quando avrò bisogno di voi verrò
a prendervi”.
Detto questo se ne andò tutta soddisfatta, lasciando i due piccoli nella
più nera disperazione.
Intanto le galline intorno a loro si guardavano l’un l’altra e i loro
sguardi erano così tristi e vivi da sembrare quasi umani. Bianca se ne accorse.
“Bianco, fratello mio, non ti sembrano strane queste galline? Hanno uno
sguardo...non so, come se fossero persone.”
“Ma che dici sorella? La disperazione ti ha fatto impazzire. Sono galline,
e hanno lo sguardo da galline”.
Bianca non era molto convinta ma non volle contraddire il fratello e non aggiunse
altro. Dato che era stanca, si
guardò intorno per vedere se c’era un angolino dove sedersi; notò una grossa
pietra in un angolo che sembrava quasi una poltrona: si tolse il cappottino, lo appallottolò e lo sistemò alla meglio
sulla pietra, poi ci si sedette sopra
e cadde subito in un sonno profondo.
Bianco invece non aveva sonno,
pensava solo al modo per scappar via da quel posto. Dapprima cercò di
scardinare la porta sgangherata del pollaio ma si dimostrò robusta come quella
di una fortezza.
Provò allora a fare una buca sotto la rete scavando con le mani e con le
unghie ma sotto il primo strato di terra trovò la pietra e di certo non si
poteva scavare. Infine tentò di
arrampicarsi in cima al reticolato per scavalcarlo ma questo era scivoloso come
se fosse stato spalmato di sapone e più
Bianco saliva più tornava indietro.
“Niente da fare, qui non c’è modo di scappare” esclamò il povero bambino
con le lacrime agli occhi.
Le galline, intanto, lo guardavano e chicchiriavano e coccodeavano fra di
loro, come tante comari a commentare l’accaduto.
“Che avete da guardare, eh?” gridò Bianco arrabbiato.” Pensate di esser
più brave di me? Avanti, forza: fatemi vedere!”
A questo punto, il gallo, che aveva nome Chiriché, si avvicinò piano piano fissando gli occhietti tondi in
quelli del bambino.
“Che c’è? Che vuoi , sciocco di un gallo?” chiese Bianco fra le lacrime.
“Non siamo sciocchi, siamo come te” disse una vocina acuta.
“Chi è? Chi ha parlato?”
“Sono io, il gallo Chiriché. Un
tempo ero un bambino uguale a te, andavo a scuola, facevo i compiti, giocavo.
Tutto uguale a te.”
“Cosa, cosa, cosa? Non ci credo, questo è un sogno e tu sei un mostro del
sogno. Mamma, voglio la mamma!”
“Non vedrai più la tua mamma, presto anche tu sarai una gallina, proprio
come loro. E’ così che la strega Tempesta trasforma i bambini.”
“Chi è la strega Tempesta?”
“E’ la donna che vi ha rapito. Lei non vi lascerà mai tornare a casa,
rassegnati, e preparati a razzolare.”
“Io non razzolo, e non diventerò mai una gallina” gridò Bianco.
“Forse preferiresti essere un
gallo? Per ora ci sono io, ma se dovesse uccidermi...prova a chiederle se vorrà
fare di te il nuovo gallo.”
“Né gallo, né gallina. Voglio restare quel che sono.”
“Un modo ci sarebbe per evitare il cambiamento ma è una cosa davvero difficile, quasi
impossibile: non dovresti addormentarti mai. E’ nel sonno che avviene la
trasformazione, ma nessuno finora ci è riuscito. Si addormentano tutti, prima o
poi.”
“Se non è che questo...vedrai che io non mi addormenterò. Anzi, vado
subito a svegliare la mia sorellina prima che sia troppo tardi”.
Ma ecco arrivare la strega
Tempesta, accompagnata dal fido
domestico Pestapiedi , un tipo alto e ossuto che sembrava oscillare ad ogni
soffio d’aria per quanto era magro.
“Eccoci qua, “disse gongolando la
stregaccia,” Pestapiedi, vai subito a vedere se le mie gallinelle hanno fatto
l’uovo.”
Pestapiedi entrò nel pollaio e trovò ben cinque uova fresche.
“Brave le mie gallinelle!” esclamò la strega arraffandole. ” Ora con
queste belle uova farò un dolce per il pranzo dei maghi di domani”.
E se ne andò, seguita dal dondolante Pestapiedi.
Bianco, che si era fermato vedendo arrivare Tempesta, appena questa se ne ne andò corse a svegliare la sorella, ma appena le fu vicino si accorse
con sua grande disperazione che aveva le braccia e le gambe coperte di piume.
“Bianca, sorellina mia, che ti succede? Svegliati, per carità,
altrimenti diventerai una gallina!”
Bianca, però, non si svegliava e intanto le sue mani erano diventate zampe.
“Bianca, Bianca, svegliati o sarà troppo tardi.”
Niente, Bianca non si svegliava. Il suo viso si era già riempito di piume e al centro, dove prima
c’era la bocca, un robusto becco si apriva e si chiudeva ad ogni suo respiro.
“Bianca, Bianca, svegliati o dovrai razzolare.”
Nemmeno per sogno. Bianca dormiva saporitamente e in pochi attimi diventò
una bella gallinella, con gran dolore del fratellino Bianco.
“Bianca, Bianca...oh, è troppo tardi! Io però non mi addormenterò, te lo
giuro, e troverò il modo di farti tornare come prima”.
Bianco cominciò a riflettere e a riflettere, con tanto impegno che alla
fine aveva il mal di testa.
Finalmente dopo tanto pensare ebbe un’idea ma non disse niente a nessuno,
nemmeno alla sorella, e si mise in un
angolo fermo e buono ad aspettare la nuova visita della strega.
La mattina dopo ecco arrivare la
strega Tempesta accompagnata da
Pestapiedi.
“Le mie belle gallinelle! Pestapiedi,
vai a vedere se ci sono uova.”
Pestapiedi entrò e trovò due uova fresche fresche.
“Uhm, bene, “ disse Tempesta, “ ma cosa vedo? C’è ancora un bambino, qui?
Come mai non è un pennuto?”
“Eh, non dorme quello lì,” rispose Pestapiedi,” non dorme mai.”
“Cosa, cosa? Non dormi? Questa sì che è bella, figliolo! Tutti devono
dormire, e i bambini più di tutti. Prima o poi cascherai dal sonno. Vedrai.”
“Niente da fare, strega, se non c’è chi mi legge una fiaba io non dormo.”
“Fiaba? Che fiaba?”
“Fiaba, fiaba. Non sai cosa sono le fiabe? Hai presente Cappuccetto Rosso? E Cenerentola?”
“Ah, robaccia. Insomma non vuoi dormire senza quelle stupidaggini?
Pestapiedi non sa leggere perciò dovrò farlo io, accidenti! Non abbiamo libri in
casa, dovrò prima procuramene uno. Pestapiedi andrà a cercarlo, tu aspetta qui:
faremo presto”.
La strega si allontanò, seguita da Pestapiedi che si mise subito
all'opera.
Intanto la sera stava scendendo e Bianca piagnucolava perché voleva la mamma.
“Stai calma, sorellina, rivedrai presto la mamma se la mia idea è buona.
Il guaio è che anche se riusciremo a scappare non so come farti tornare uguale a prima” disse Bianco accarezzandole
le ali.
La notte passò, venne il mattino e arrivò anche la strega Tempesta.
“Eccomi qua, Pestapiedi ha fatto un buon lavoro: mi ha portato quattro
libri. C’è l’imbarazzo della scelta, ragazzino. Dunque, quale fiaba vuoi che ti
legga?” disse Tempesta entrando nel pollaio.
“Vorrei tanto sentire Il gatto con
gli stivali “ rispose Bianco.
“Il Gatto con gli stivali, eh?
Certamente, certamente. Ecco qua...”
Tempesta si sedette per terra e cominciò a leggere la fiaba.
Man mano che leggeva i suoi occhi si facevano sempre più piccoli, finché
si chiusero del tutto e Tempesta cominciò a russare come un orso in letargo.
“Dorme, finalmente” disse Bianco che, invece, non dormiva affatto.
Sfilò piano piano la chiave della porta dalla cintura della strega, poi chiamò a
raccolta tutte le galline e il gallo, prese Bianca e tutti insieme uscirono dal pollaio chiudendoci dentro Tempesta addormentata.
“Ma come ti è venuta questa bella idea? “ gli chiese il gallo dopo che
furono usciti.
“E’ semplice, ho pensato alla mamma. Ogni volta che mi legge una storia
per farmi dormire si addormenta insieme a me. Crolla così: paf! Allora mi sono
detto che forse anche Tempesta poteva far lo stesso.”
“Sei un genio, fratellino” esclamò Bianca mettendogli le braccia al
collo.
Braccia? Sììì!
“Oh, amico mi ero scordato di dirti che il sortilegio funziona solo
dentro al pollaio. Appena si esce, si ritorna come prima” disse Chiriché che
ora aveva le sembianze di un bel bambino dai capelli rossi .
“Bianca, sorella, siamo salvi, ora si torna a casa!” gridò Bianco e poi,
uno alla volta, abbracciò tutti i bambini.
Quando ebbero finito di farsi i complimenti, presero ognuno la via di
casa.
Mentre andavano cantavano canzoni e filastrocche per la gran felicità.
Mentre andavano cantavano canzoni e filastrocche per la gran felicità.
L’unica che non fu felice affatto fu Tempesta che quando si svegliò si trovò
chiusa nel pollaio, da sola. Chiamò più
volte il fido Pestapiedi ma quel disgraziato,
nel frattempo, temendo la sua ira era scappato
a cercar fortuna più lontano che poteva.
Aveva un bel gridare, la stregaccia: “Pestapiedi, figlio di un rospo,
vieni a liberarmi!”
Nessuno la sentiva, e anche se qualcuno l'avesse sentita mai e poi mai l'avrebbe liberata.
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