Nella mia fiaba il sogno si realizza.
Buona lettura.
Il
regno di pietra
Barbara Cerrone
C’era
una volta un bosco...fin qui niente di strano, vero?
Il
fatto è che il bosco in questione era nato,quasi per una distrazione degli
umani, dentro una città fortificata dove il re aveva proibito di far crescere
qualunque pianta, perfino il colore verde era vietato, e chi lo indossava
veniva messo a morte.
Il
suo regno fuori dai confini era conosciuto come il regno di pietra, e di sole pietre era fatto, senza l’ombra di un
prato o di un fiore.
Il
re aveva stabilito che anche le terre da
coltivare fossero poche, troppo poche
per sfamare quella povera gente che spesso soffriva la fame, mentre lui si faceva mandare pane e companatico dal ricco e prosperoso regno di un monarca
suo amico e gozzovigliava, mangiando delizie e primizie di ogni sorta.
Accadde
un giorno che il re, di ritorno dall'ultima guerra, per caso alzasse lo sguardo
verso l’alto e vedesse le cime degli alberi del bosco svettare ondeggiando al
vento.
“Alberi!
” gridò in preda all'ira.”Un bosco nel mio regno? Com’è successo? Guardie,ministri,
ciambellani:a me! Che quegli alberi siano subito abbattuti o saranno le vostre teste a cadere!”
Quei
poveretti non se lo fecero dire due volte,
si affannarono subito a cercare boscaioli
e taglialegna, e chi non riusciva a trovarne uno correva a prendere la scure e si arrangiava da solo per far vedere la
buona volontà.
Picchia
e taglia ne abbatterono una decina, ma il re non era ancora soddisfatto.
“Tutti,
tutti! Dovete tagliarli tutti! ” starnazzava correndo come un pazzo da una
stanza all’altra della reggia.
Il
fatto è che quel sovrano al posto del bosco voleva costruire un altro palazzo,
per la gloria sua e del suo regno di pietra, e gli architetti, gli ingegneri e
tutti i gran cervelli del momento già si sentivano le tasche gonfie delle monete d’oro che il re aveva promesso a chi
avesse presentato il progetto più ambizioso.
In
tutto quel trambusto c’era anche chi non si curava affatto di ciò che stava
accadendo, Mercuzio, ad esempio, dormiva come un ghiro disteso sul pagliericcio
nella stalla.
Non si era accorto, il buon stalliere del re,
che intorno a lui c’era tutta quella agitazione e pigro com'era non se ne
voleva proprio accorgere.
Non
era un cattivo soggetto, Mercuzio, ma la sua infingardaggine era nota in tutto
il regno; il re aveva spesso minacciato di licenziarlo ma lui trovava sempre
qualche scusa e alla fine il re se lo teneva perché come stalliere era il più
bravo e i suoi cavalli gli erano così affezionati che lo seguivano ovunque egli
andasse.
Mercuzio,
dicevamo, dormiva lietamente nella stalla mentre il re gridava e i taglialegna
si affannavano ad abbattere tutti quegli alberi meravigliosi.
Era
proprio nel bel mezzo del suo riposino quando la fata Misurina lo svegliò.
“Mercuzio,
Mercuzio: svegliati!”
“Oh,
oh, chi mi chiama?” fece Mercuzio aprendo a malapena gli occhi.
“Sono
io, mi vedi? La fata Misurina, sono qui per darti un bell’incarico e se lo fai
a modo sarai il più ricco e il più felice di tutto il regno.”
“Ricco?
Io? Ti ascolto.”
“
Il gran consiglio delle fate ha deciso. il bosco deve essere salvato e tu sei
stato scelto per l’impresa. Le mie sorelle sono stanche di veder distruggere il
verde in questo triste regno. Se riuscirai avrai il tesoro nascosto nella
grotta del sorriso.”
“Magari!
Eccomi qua, sono pronto. E poi, detto fra noi, il verde piace anche a me e sono stanco di vedermi intorno solo pietre. Che
cosa devo fare?”
“Con
una scusa sospendi il taglio degli alberi,
aspetta che faccia buio, vai nel bosco ma cammina sempre dritto, non
girare mai né a destra né a sinistra o ti perderai. Cammina cammina arriverai
davanti ad una casa: non esitare, entraci subito, o la porta si chiuderà per
sempre.
Al centro della stanza vedrai un tavolo
con una zolla, prendila e
portala qui ma attento a non perderne neanche un granello, poi mettila davanti
alla porta del palazzo reale e vai a dormire nella tua stanza come al solito.”
Dette
queste parole la fata scomparve in un baleno, come sono solite fare le fate,
specie se hanno fretta.
Mercuzio
non pose tempo in mezzo e corse subito a sbrigare quella faccenda.
Prese
i cavalli, gli sussurrò due paroline all’orecchio e quelli si lanciarono come
furie addosso ai taglialegna che presero a fuggire qua e là, terrorizzati, e
non ci fu guardia armata che poté farli tornare indietro a rischiare di finire sotto gli zoccoli di
quelle bestie inferocite.
“E
questa è fatta” disse tra sé Mercuzio, “ al re dirò che i cavalli sono
impazziti per il rumore che facevano tutte quelle scuri e che domani darò loro
una pozione per calmarli.”
Il
re si bevve quella bella storia e Mercuzio si dispose ad aspettar la sera.
Quando
calò il buio si incamminò tutto baldanzoso verso il bosco ed eseguì a puntino
il piano della fata.
Tornato
a casa, mise la zolla davanti alla porta del palazzo, chiuse la stalla
e andò a dormire in santa pace.
Il
giorno dopo il re fece per affacciarsi alla finestra ma questa era bloccata e
non si apriva. Allora chiamò le guardie ma nemmeno loro riuscirono ad aprirla,
provarono perfino con l’ariete: nulla.
Il
bello era che tutte le finestre erano sigillate, come se qualcuno nella notte le
avesse inchiodate al muro.
“Proviamo
ad aprire la porta” disse il re che già cominciava a spaventarsi.
Niente.
Nemmeno la porta si apriva.
Il
sovrano allora si mise a urlare all’attentato, corse di qua, pianse di là,
tutta la corte udì le sue grida e i suoi lamenti ma nessuno sapeva cosa fare.
E
nel bel mezzo di tutto quel trambusto eccoti comparire la fata Misurina.
“Non
ti affannare, re della pietra, la terra si vendica e tu non puoi farci nulla!
Intorno al tuo palazzo nella notte è cresciuta una foresta di alberi, arbusti, di
rampicanti e di edera vischiosa che tiene il tuo palazzo nel suo pugno verde.
Non puoi uscire, non puoi affacciarti. Rassegnati, sei prigioniero.”
“Ma
ci sarà un modo per salvarsi, aiutami,fata!” la implorò il re.
“Un
modo ci sarebbe. Devi pentirti per tutti gli alberi che hai fatto abbattere,
per tutto il verde che hai distrutto, e lasciare che il bosco viva in pace. Non
solo, prometti che farai nascere ovunque nel tuo regno orti e giardini, e che
d’ora in poi smetterai di costruire solo
palazzi e lascerai che la terra da coltivare sia abbastanza da sfamare tutti i
tuoi sudditi.
Lascia
che il tuo regno diventi finalmente come un giardino dove l’amore per le piante
sia secondo solo a quello per le persone. Soltanto così ti salverai, ma bada:
non fare imbrogli o finirai sepolto nella tua stessa reggia.”
Il
re, che tremava come una foglia, giurò e spergiurò che avrebbe fatto del suo
paese un paradiso e subito si mise a dare ordini.
Nello
stesso istante la morsa del verde lasciò il palazzo e porte e finestre si
aprirono, leggere come l’aria.
“Tutto
grazie a una zolla di terra!” esclamò Mercuzio
correndo a prendere il suo premio.
La
fata Misurina lo aspettava già nella
grotta del sorriso.
.“Ecco, tutto questo è tuo,” disse,” fanne buon uso.”
.“Ecco, tutto questo è tuo,” disse,” fanne buon uso.”
E
scomparve un’altra volta, benedetta fata.
Mercuzio
si riempì le tasche di gioielli e monete d’oro e tornò a casa più allegro di un
fringuello.
E
il re? Mantenne la promessa. Piantò alberi, giardini e orti dappertutto.
La gioia si diffuse con il profumo dei fiori, i contadini ebbero terra da coltivare in abbondanza e il cibo non mancò mai più a nessuno nel regno che era stato delle pietre.
La gioia si diffuse con il profumo dei fiori, i contadini ebbero terra da coltivare in abbondanza e il cibo non mancò mai più a nessuno nel regno che era stato delle pietre.
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