I due orcacci protagonisti della mia fiaba tentano di darsi un'aria innocua per ingannare tanti poveri bambini e all'inizio ci riescono ma...leggete e saprete!
L’orco
Balordo e l’orchessa Mangiamangia
Barbara Cerrone
L’orco Balordo era triste.
“Nemmeno un umanuccio da divorare oggi, un bambinuccio magrolino, magari. Niente.” diceva piangendo
alla moglie, l’orchessa Mangiamangia.
“Eh, pazienza!” rispondeva lei.” Qualcuno passerà dal bosco, e noi lo
prenderemo. Piuttosto, mettiamo bene in ordine la casa, in modo che sia
accogliente e possa attirare i polli che passano di qui.”
“Ma io non voglio polli!” gridò Balordo che era un tonto patentato e non
capiva molto più di nulla.
“E’ un modo di dire, uffa! I polli sono gli umani sciocchi che cadono
nella trappola, ma per caderci bisogna che la casa sia invitante: una
catapecchia li farebbe fuggire a gambe levate, una casa graziosa invece può
attirarli come mosche il miele e poi...zac! Noi li prendiamo e ne facciamo un
sol boccone.”
“Sì, sì, un sol boccone. Mi piace, mi piace! Vado subito a mettere i
fiori sul davanzale”.
Balordo corse a sistemare i gerani
alla finestra mentre l’orchessa Mangiamangia lucidava a specchio porte e vetri,
e spargeva caramelle sulla soglia, nel
caso passasse di lì un bambino che si fosse smarrito.
E il bambino passò, infatti.
Il giorno dopo un bel bambino dagli occhi scuri e il ciuffo ancor più
scuro bussò alla porta degli orchi.
Era uscito con la sua mamma che
lungo la strada si era fermata a
parlare con un’amica; dato che lui si annoiava quando la mamma si metteva a
parlare con le amiche, tentò prima di portarla via tirandola per la manica del
vestito e poi , visto che non si muoveva, decise di muoversi lui.
Per passare il tempo noioso prese
a rincorrere una farfalla; correndo correndo si ritrovò nel bosco e la strada
era bella che smarrita.
Piangeva, il bambino, piangeva e chiamava la mamma che non poteva
sentirlo, allora lui piangeva ancora di più e ancora di più si allontanava.
Quando vide la bella casetta degli orchi e tutte quelle caramelle sulla
soglia il nostro amico si rallegrò.
“Finalmente!” disse.”Qui c’è una casa, potrò chiedere aiuto e farmi riaccompagnare
dalla mamma. E quante caramelle! Ne mangio subito un paio”.
Poveretto. Di certo non immaginava cosa lo aspettava là dentro.
Bussò piano piano alla porta, l’orchessa Mangiamangia stava spolverando
il salotto e aveva un bel fazzolettone rosso in testa: sembrava proprio una
brava massaia.
“Oh, chi si vede?” esclamò quando
aprì la porta.”Un bambino che si è smarrito! Balordo, vieni. Qui c’è un bel bambino che ha perso la strada. Entra,
piccolo, che qui troverai ciò che cerchi.”
Il piccolo, che si chiamava Paolo, entrò tutto allegro e quasi cantava
per la gioia.
“Grazie, signora...” disse tendendole la mano.
“ Man...Manfreda” rispose l’orchessa che non voleva dire il suo vero nome
perché Mangiamangia lo poteva far insospettire.
“...signora Manfreda, piacere! Ho perso la strada, la mia mamma stava
parlando con un’amica e io mi annoiavo, così mi sono messo a giocare con una farfalla
ed eccomi qua. Mi può’ accompagnare dalla mamma?”
“Ma certamente, vero Balordo?” rispose l’orchessa strizzando l’occhio al
marito.
“Balordo? Che strano nome” disse il bambino.
“Vero? Eh, ma è un soprannome scherzoso. Il vero nome è Bernardo, non è
così, maritino mio?” disse Mangiamangia strizzando di nuovo l’occhio.
“Sì, sì, Bernardo,” confermò Balordo,” detto Balordo per scherzo. Vieni, bambino, prima di andare dalla
mamma prendi una tazza di cioccolata con noi, per farti passare lo spavento.”
“Uh, cioccolata? Volentieri! Ma poi andiamo subito dalla mamma, eh?”
“Senz'altro, piccolino. Subitissimo”.
Paolo non era ancora entrato in cucina dove una tazza fumante di
cioccolata stava lì, sul tavolo, a dirgli Bevimi, bevimi! che i due orcacci lo avevano già messo in un sacco e buttato
nella dispensa, insieme a tanti altri
bambini catturati dai due mascalzoni.
“Così mi piace,” gongolò Balordo,”
ora abbiamo una riserva di carne che ci
basterà per tutto l’inverno. Mangeremo come signori, moglie mia”.
Figuratevi quei poveri bambini ! Sentendo le parole dell’orco non stavano
più nella pelle dalla paura, volevano scappare, gridavano: “Aiuto, aiuto!” ma
nessuno poteva sentirli nella casa degli orchi, in pieno bosco scuro.
Sembrava una situazione senza via d’uscita, ma per fortuna questa è una
fiaba e nelle fiabe la via d’uscita si trova sempre.
L’orchessa Mangiamangia stava raccogliendo erbe aromatiche nell'orchesco
orto dietro casa, servivano per l’arrosto di bambino che intendeva preparare
per cena; canticchiando e ballonzolando raccoglieva e metteva via il raccolto dentro una
sporta di tela massiccia.
Proprio in quel momento messer Logatto stava facendo un giretto di ricognizione da
quelle parti; cercava topolini di giornata, oppure un po’ più stagionati, purché fossero teneri e grassi da mangiarsi anche senza
posate.
Si guardava intorno con grande attenzione, il nostro messere, e quando
vide l’orchessa Mangiamangia tutta intenta
a raccogliere erbette si fermò a far due chiacchiere con lei, così,
tanto per passare il tempo e per avere informazioni di prima mano sulla
circolazione topesca da quelle parti: sapeva, infatti, che spesso i due orchi mangiavano topolini
allo spiedo come stuzzichini prima dei pasti.
“Buongiorno, madama Mangiamangia. Che si dice da queste parti? Come va la
vita?”
“Benone, messere. Ci stiamo preparando
a una grande mangiata.”
“Oh, beati voi! Io invece non riesco a trovare nemmeno l’ombra di un
topo. Per caso se n’è visto qualcuno qui
intorno?”
“Non saprei, non bado ai topi. A meno che non rubino il mio cibo.”
“Uh, che peccato! Be’, come non detto. Tanti saluti all'orco Balordo,
allora, io riprendo la mia caccia”.
Messer Logatto stava per andar via quando sentì dei lamenti venire dalla casa dell’orchessa.
“Oh, oh, cosa succede? Qualcuno piange” disse Logatto.
“Macché! Sono solo quei bambinelli che non vogliono esser mangiati,
testardi che sono! Ma dico io, a che serve un bambino se non ad esser
mangiato?”
“Bambini? A me sembrava come uno squittio...”
“Quale squittio e squittio? “disse l’orchessa indispettita.” Solo i topi squittiscono e qui
non ci sono topi, solo bambini.”
“Sarà, ma a me sembrano proprio
topolini! Mangiamangia non me la racconta giusta” pensò messer Logatto ma non volle insistere: l’orchessa se contrariata poteva diventare
assai pericolosa, ne sapeva qualcosa un suo lontano cugino che per voler mantenere il punto a tutti i costi era stato arrostito da Balordo e Mangiamangia, e poi offerto come cena prelibata alla festa degli
orchi scapoli.
Messer Logatto, allora, fece finta di allontanarsi e si nascose dietro un
albero; attese che Mangiamangia si allontanasse e poi quatto quatto si
infilò nella casa degli orchi dalla porta di servizio.
L’orchessa e suo marito erano seduti davanti al caminetto, Mangiamangia
lavorava a maglia e Balordo si puliva le unghie col rastrello.
“Bene, sono distratti” pensò Logatto, e si diresse verso la cucina.
“Se sono fortunato quei due bugiardi hanno preso un bel po’ di topolini, io li scoverò e glieli porterò via. Parola di messer
Logatto”.
In queste situazioni, si capisce, non c’è mai il tempo di verificare: si rischia di esser sorpresi se si indugia. Messer Logatto
entrò sinuoso in cucina, e poiché questa era buia e i piccoli erano tutti chiusi dentro un gran sacco e
questo sacco era nascosto dentro la
dispensa, non fece altro che aprire lo sportello e caricarsi quel sacco sulle spalle senza guardare cosa c’era
dentro.
“Accidenti come pesa!” diceva mentre correva come una lepre fuori di casa.
Corse finché non fu al sicuro, chilometri e chilometri lontano dall'orchesca
dimora.
Quando giudicò di essere abbastanza lontano si fermò, si sdraiò
sull'erbetta fresca, e quando ebbe
riprese le forze aprì il sacco.
Immaginatevi la sorpresa, e la delusione, quando vide sbucar fuori uno
dopo l’altro dieci, cento, mille bambini!
“E voi che fate qui dentro?” chiese Messer Logatto inviperito.” Dovevate
esser topi! E adesso? Che ne è della mia cena?”
“Oh, povero gatto!” esclamarono in coro quei piccini.” Ci dispiace ma non
è colpa nostra, sono stati gli orchi a chiuderci qui, volevano mangiarci. Noi
ti ringraziamo per averci liberati e più di noi ti ringrazieranno i nostri
genitori. Accompagnaci a casa, vedrai che sarai ricompensato”.
Messer Logatto, che a dire il vero era un buon gatto e aveva un cuore
generoso, non si fece pregare troppo, rimise i bambini nel sacco per
trasportarli meglio e uno a uno li ricondusse a casa.
Ben presto in tutto il regno si seppe della buona azione che aveva fatto messer
Logatto e il re in persona volle dargli
un premio per la sua bontà.
“Messer Logatto, “disse il sovrano,”
per aver salvato i bambini del regno dalle grinfie di quei due orchi ti conferisco l’ordine di Acchiappatopi reale. Sarai tu, d’ora
innanzi, l’unico gatto autorizzato a catturare i topi del mio palazzo e come
acchiappatopi del re vivrai a palazzo, avrai pesce a volontà e una cuccia calda e comoda vicino alla mia
stanza”.
Messer Logatto raggiunse l’apice della felicità e subito, senza far tante
storie, fece i bagagli e si trasferì a palazzo dove si dice viva ancora,
anziano e benvoluto.
E i due orchi? Per la gran rabbia diventarono vegetariani, e si tennero ben lontani
dai gatti e dai bambini per il resto della loro vita.
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